La Goulotte Rebuffat
Racconto dell'ascesa al picco Goulotte Rebuffat, da Chamonix, lato della Francia del Monte Bianco, di Uliano Massimi - Inviato il 26 gennaio 2007 da uliano65.
Stipati come sardine nella cabinovia che sale da La Palud, scendiamo al rifugio Torino. Una lunga scala di ferro porta ad un terrazzo e al ghiacciaio del Gigante. Da qui la vista spazia indisturbata verso sud fino al Cervino, al gruppo del Monte Rosa e a tutta la catena alpina della Valle d’Aosta.
Mentre ci leghiamo in cordata il nostro sguardo e’ magnetizzato dal Dente del Gigante, un cuneo di roccia di granito rosso che si conficca in un cielo blu cobalto. Appesantiti dagli zaini marciamo verso la Tour Ronde nei pressi della quale abbiamo intenzione di piazzare il campo prima di salire la goulotte Rebuffat, un canale di ghiaccio con pendenze fino a 70°-75° nel versante sud-occidentale della Tour Ronde. Montiamo la tenda su un sicuro pianoro di fronte alla parete nord della Tour Ronde.
Intorno i giganti granitici che hanno fatto la storia dell’alpinismo: il Dente del Gigante, le Grandes Jorasses, Aiguilles Rouges, Aiguilles Vertes, Grand Capucin, Petit Capucin, Mount Maudit e non ultimo il Monte Bianco. Per tutto il giorno la sua cima sara’ caratterizzata da un bianco pennacchio creato dalla neve sollevata dai forti venti in quota. Infiliamo tutto nella tenda e prendiamo solo uno zaino con l’indispensabile per la salita.
La zona e’ poco crepacciata e l’avvicinamento avviene senza particolari problemi. Una cordata ci precede di poco lungo la via. La via di ca. 300 metri non e’ molto impegnativa anche se vari passaggi di misto la rendono insidiosa. Dopo aver superato la facile crepaccia terminale (scollatura del ghiacciaio nei pressi delle rocce sottostanti ) risaliamo il ripido pendio nevoso di ca. 50-55° fino a quando Mario decide di fare una prima sosta con il corpo morto. Sale assicurato da Giancarlo fino alla sosta successiva costituita da un cordino infilato intorno ad una grossa roccia fuori dalla linea del canale per evitare che eventuali cadute di sassi o ghiaccio possano risultare pericolosi se non mortali.
I primi due tiri sono i piu’ difficili a causa dei vari passaggi di misto che ci impegnano non poco. Il cuore accelera i battiti per contrastare la rarefazione dell’ossigeno e permettere lo sforzo fisico. Con tecniche di dry tooling che consistono nell’arrampicare sulla roccia nuda usando le piccozze come se fossero dita, salgo le prime roccette. Sbilanciato dallo zaino faccio fatica a superare un passaggio che esce da un diedro e supera una costola rocciosa per salire poi abbastanza facilmente verso la sosta.
Quando raggiungo ansimante i miei compagni su un terrazzino di meno di un metro quadrato sono sfinito. Mi gira la testa. Ho dato veramente tanto e sono in chiaro debito di ossigeno. Mi riprendo velocemente, mi assicuro con il nodo barcaiolo alla sosta e nello stesso momento sento ritornare la circolazione nelle mani gelate. E’ come se migliaia di piccoli aghi mi si conficchino nelle dita. Il dolore e’ intenso ma e’ un buon segno. La circolazione sta riprendendo. Anche le dita dei piedi sono abbastanza infreddolite. Filo le mezze corde collaborando con Giancarlo nell’assicurazione di Mario. Il secondo tiro comincia con un delicato passaggio di misto. continua "La Goulotte Rebuffat" (Pubblicato il 26 gennaio 2007) -
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