Australia. Serial Killer


Inserito il: 26/10/2007 da Claudio Montalti
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Ho fatto altri due tentativi solo per riuscire a distinguere le parole ‘linee chiuse’ e ‘riprovare’. Evidentemente, c’era un sovraccarico di telefonate, la norma a Natale quando tutti vogliono fare arrivare i loro auguri a tutti, ma quando ho riprovato per la terza volta il telefono è ammutolito prima ancora di digitare il prefisso internazionale. Ho provato e riprovato finché l’indice non ha protestato, ma niente. Il telefono aveva smesso di funzionare, e non ero affatto contento di avere finalmente trovato una italianissima pecca nella super organizzazione australiana, e non era giusto che capitasse in quel momento e proprio a me, non nel giorno di Natale e quando avvertivo un gran bisogno di udire una voce amica. Non potendo farci nulla, sono uscito dalla cabina con il morale sotto le scarpe.

Roberta era lì che mi aspettava. Intuita la mia frustrazione sempre maggiore, non si era mossa per tutto il tempo, e tra le pieghe del suo mitragliante slang ho capito che si offriva di portarmi con la sua auto fino a un altro telefono. Ho subito acconsentito, entusiasta, e l’auto correva già da dieci minuti sulla strada tutta curve che portava verso il Mt. Victoria quando, bruscamente, il sorriso mezzo sbronzo mi si è congelato sul viso. Conversando, scoprendo che era di Sydney e che Natalie non stava viaggiando insieme a lei, ma solo in quei giorni perché Roberta aveva l'auto, ho cercato di ricordare quale città ci fosse in quella direzione. Girando con le cartine, si ha sempre un'idea, magari anche solo a livello di inconscio, dell'intera area nella quale ci si muove, e quell'area stavo cercando di riportare alla luce, concludendo ragionevolmente che in quella direzione non c'erano città, ma solo un centinaio di chilometri di bush. E nessuno mi aveva visto salire su quella macchina.

"Che intenzioni avrà Roberta?"

La domanda ha dileguato gli ultimi fumi dell’alcool e in un istante ho assecondai la mia attitudine nell'isolare in fretta gli aspetti salienti di un problema: Roberta era alta come me e ben oltre centoventi chili di peso; conosceva bene i posti; guidava lei. Fin qui tutto bene, poi ho esagerato. L'ho collegata alla storia che avevo letto appena qualche giorno prima, nelle vecchie carceri di Melbourne, dove negli anni ’30 era stata giustiziata una donna colpevole di avere ucciso diversi bimbi facendo scempio dei loro piccoli corpi. Le testimonianze, riportate successivamente alla sentenza che l'aveva condannata a morte, avevano rivelato che nessuno, ma proprio nessuno, credeva ancora alla colpevolezza della donna, a detta di tutti onesta e simpatica, che aveva sempre pronto una buona parola e un sorriso sulle labbra per tutti.

"Con quella faccia da angelo! Impossibile!" era l’assurda testimonianza che mi era rimasta impressa.

Il parallelo, folle soltanto in apparenza, ne usciva rafforzato mentre la rivedevo tagliare il massiccio prosciutto di Natale con un lungo coltello appuntito. Le angosce si sono sommate e il timore di essermi cacciato in u vero guaio mi ha reso difficile il respiro. Più volte ho maledetto il momento in cui ero salito sulla macchina. Il mio contributo alla conversazione si è assottigliato a monosillabi di risposta al suo monologo finché non ho abbassato il finestrino perché sentivo le guance bruciarmi. Avvertendo l’aria fresca invadere l’abitacolo Roberta, che in precedenza aveva dovuto accendere il riscaldamento elettrico dell’auto perché era effettivamente fresco, mi ha fissato in modo strano.

"Ho caldo" mi sono giustificato.

Nel chiarore, prima incantevole ma ora tremendamente spettrale, diffuso dalla luna, l’ombra di un ghigno agghiacciante è comparsa sulla sua faccia così fulmineo da farmi pensare di avere le traveggole. Non era una reazione esagerata, non avevo più il minimo dubbio. Il telefono era stata un’esca perfetta.

Pragmatico, ho cominciato ad organizzare la difesa. Ho rovistai nelle tasche e nel marsupio in cerca di un oggetto appuntito che potessi avere inconsapevolmente addosso, ma non avevo nulla del genere, nemmeno una chiave. Roberta, che taceva da quando avevo abbassato il vetro, ha svoltato a destra, sulla strada che conduceva al Borooka Lookout. Lì non c’erano telefoni, ne ero certo perché c’ero passato qualche ora prima, c'era però un balcone panoramico senza protezioni dal quale avevo osservato a lungo l’ostello sperando di vedere riflessi dorati di lunghi capelli serici. Ormai matematicamente sicuro che Roberta mi avrebbe attirato in quel punto con l’intenzione di spingermi nel vuoto, i peli si sono rizzati come se mi trovassi in presenza di un animale pericoloso e il cuore ha preso a battere tanto forte che pareva volere schizzare fuori dalle costole. Potevo invece rilassarmi. Ora che conoscevo il posto e il fine di Roberta dovevo assolutamente tranquillizzarmi, ma i tendini si sono tesi fino a dolermi prima di riuscirci, almeno in superficie.

Ho ripreso a colloquiare.

Quando le luci della macchina si sono spente, una densa tenebra pesante come un drappo nero è caduta tutt'intorno. Prima di scendere, ho aspettato di abituare la vista alla luce diffusa dai pochi raggi di luna che, a fatica, oltrepassavano la coltre frondosa degli alberi. Roberta ha indicato un punto lontano, piuttosto vago, ma devo dire che non ho proprio guardato in quella direzione. Lei non si muoveva, io la fissavo senza muovermi a mia volta. Non potevo certo andare avanti io. Se aveva un'arma, un coltello? Mio Dio, quella situazione mi stava facendo impazzire, e per fortuna si è mossa. Mi sono prodotto in una serie di complicate, ridicole?, manovre pur di rimanerle dietro, leggermente piegato sulle ginocchia e pronto a reagire o a scappare al minimo comportamento dubbio della over-size, non necessariamente in quest'ordine. Raggiunta la balconata illuminata dalla luna, mi sono gettato a terra su una tozza pietra ormai lisciata da innumerevoli sederi, così velocemente e maldestramente che il contraccolpo è risalito lungo tutta la schiena fino a farmi sbattere violentemente i denti.

"Siediti Roberta. Può essere pericoloso se metti un piede in fallo!" l'ho costretta a fare altrettanto.     continua "Australia. Serial Killer"

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