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Cinque giorni in Romania: da Cutici a Costinesti


Inserito il: 29/03/2007 da Andrea  Sceresini
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Troviamo posto al “Nord Hotel”, proprio di fronte alla stazione: non sarà un albergo di lusso, ma poco ci manca, costa 13 euro a notte. Lì, incontriamo Luca. Ha 30 anni, è di Roma, ed è venuto a Timisoara per un'operazione alla mascella: "Perché qui l'intervento costa pochissimo: circa un sesto rispetto all’Italia. E i medici sono molto bravi". Ci conferma che ciò che abbiamo letto è tutto vero: la città è letteralmente stracolma di italiani. "C'è un anziano di Napoli che abita qui da cinque anni. Con la pensione, campa da dio, e ogni sera va a donne. In molti fanno così". Altro che case di riposo. Nessun rispetto, invece, per i rumeni: “Sono un popolo di caproni – ci assicura -. Formiche lavoratrici, ecco quello che sono: nate per spaccarsi la schiena. Si salvano solo le donne. Peccato siano tutte troie”.

Intanto, si è fatta sera. Io e Alessandro decidiamo di mangiare fuori. Così, prendiamo un taxi: ci facciamo portare oltre il fiume Bega, al politecnico, nel quartiere dei giovani. Anche qui, gli edifici sono piuttosto fatiscenti. Il campus consiste in una serie di palazzetti scrostati, dall'aria abbastanza inquietante. Qua e là, qualche ragazzino siede a terra, con in grembo l'inseparabile sacchettino colorato. Finalmente, in Aleea Studentilor, scoviamo una specie di self-service. Si chiama “Complex 3F”, che starebbe per “Fantastic fast food”: è piccolo, sporco e molto affollato. Ma noi abbiamo fame: può andare.

In Romania, se si è italiani, la prima regola è: non far mai capire che si è italiani. Non è cosa facile, e ovviamente noi non ci riusciamo. Appena entrati nel locale, subito veniamo individuati. Bastano poche parole. Immediatamente, gli altri avventori, tutti giovanissimi, e rigorosamente autoctoni, cominciano a fissarci. La situazione è poco piacevole. In compenso, scopriamo che il cibo è veramente a buon mercato: un euro e mezzo (50.000 lei) per un piatto colmo di carne e patatine, più una birra, la mitica Timisoreana, vero e proprio orgoglio cittadino.

Ad ogni modo, mangiamo veloci, e veloci ce ne torniamo in strada. Nel frattempo, le vie si sono tristemente svuotate. Così, seduti su un gradino, ci accingiamo a dar fondo alle nostre pils. Ed ecco la polizia. Il secondo incontro con le forze dell'ordine rumene non ha nulla da invidiare al primo. I due agenti ci notano da lontano: pochi balzi, e sono da noi. Vogliono i documenti: glieli porgiamo. Poi, secchi, ci abbaiano in volto un paio di frasi: "E' vietato bere birra in strada", traduciamo a fatica. Sembra tutto molto poco logico. Sbigottiti, chiediamo ulteriori delucidazioni. Ma loro non parlano inglese, e tantomeno italiano. Proviamo col tedesco: "Sprechen Sie Deutsch?" La risposta giunge stizzita e disarmante: "Niente tedesco, niente italiano. Siamo in Romania: parlate rumeno". Non fa una grinza. Benvenuti a Timisoara.

SECONDO GIORNO: DA TIMISOARA A BUCURESTI

  Il giorno dopo, di nuovo in treno: si parte per Bucuresti. La capitale dista soli 530 chilometri da Timisoara. Ma, per coprire il tragitto, il treno impiega più di otto ore. Costo del biglietto: 600.000 lei, 17 euro. Il caldo è soffocante. Corneliu, nostro compagno di viaggio, gronda grottescamente di sudore. Ha 52 anni, di professione ingegnere minerario: la sua destinazione è Craiova, rinomata sede universitaria. Vuole iscrivere il figlio alla facoltà di medicina. Anche lui non parla né una parola di inglese, né una di italiano. Ma ci si capisce lo stesso: col linguaggio dei gesti. Sono conversazioni zoppicanti e ricche di disguidi. Ma vale la pena di intraprenderle. Corneliu ci racconta della sua famiglia, del suo lavoro. Ci parla del proverbiale odio rumeno nei confronti dell'Ungheria. Io ricordo di aver letto qualcosa a proposito ne "La Tregua" di Primo Levi. Anche Corneliu conosce Levi, e nutre un vero e proprio culto personale nei confronti di Gian Maria Volontè. "La classe operaia va in paradiso", mi biascica sorridente. Anche l'educazione stalinista ha i suoi lati positivi.

Sull'eterno convoglio, è quasi impossibile non riuscire ad attaccar bottone. Petru ci nota fin da in fondo al corridoio. "Italiani?", ci chiede. Evidentemente, il nostro mimetismo va ancora perfezionato. "Sì", ammettiamo. Ci abbraccia con calore, anche se ce ne sfugge il perché. Sospettiamo sia ubriaco. "Tutti fratelli", urla: “Io prete, amico, prete”. Poi, un po' a gesti e un po' a parole, ci racconta la sua storia. Lui era soldato: stava nell'esercito, ai tempi di Ceaucescu. "Securitate?", gli domando. "Nu, geniu: genio militare", precisa indignato. Dunque: il 21 dicembre del 1989, il popolo di Bucuresti si rivolta contro la dittatura del Partito Comunista. Petru, appunto, all'epoca era soldato. Quella notte stessa, il suo reparto fraternizza con gli insorti: "Ceaucescu voleva fuggire, noi volevamo catturarlo. Così, sabotammo i ponti sul Danubio", ci spiega. Poi, fieramente, simula lo svitamento di un bullone. I presenti sembrano tutti molto impressionati, e annuiscono computi. Petru, a mò di conclusione, mi abbraccia gongolante: è proprio ubriaco     continua "Cinque giorni in Romania: da Cutici a Costinesti"

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