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Canada. Con gli occhi a 3 metri da terra


Inserito il: 02/11/2007 da Alberto Angelici
Email: albe@iol.it
Sito web: http://www.viaggiatorionline.com/profile.asp?id=Aziza
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Due procedevano lentamente, lasciando alle cavalcature il compito di seguire il sentiero. Viaggiavano da quasi due settimane, spostandosi da un lago all'altro, da una boscaglia all'altra, lungo un percorso che li avrebbe condotti entro una decina di giorni a Thunder Bay. Avevano lasciato alla loro sinistra le cittadine gemelle di Sault St.Mary che si guardano dalle due sponde del Lake Superior, una canadese, l'altra americana. Un mare di tronchi, enormi isole galleggianti, li accompagnava.

Tronchi che come un tappeto rotolante e ruvido nascondevano interi acri di lago. In quel modo, semplice ed economico, il lavoro dei tagliaboschi era avviato alle segherie, tenuto insieme lungo il perimetro da grossi ferri a U conficcati nella corteccia e guidato da piccole barche a motore.

Fitte macchie di pini si alternavano a radi gruppi di betulle. Sulla corteccia, sanguinanti e rosse ferite rivelavano il recente passaggio di un orso. Il terreno, cedevole e spugnoso per lo strato di detriti vegetali che il tempo aveva accumulato, era disseminato di bassi cespugli che ospitavano ogni genere di animali, dai conigli alle grouses, dai fagiani agli scoiattoli. I cavalli, evitando spontaneamente i folti dove sempre nella stagione calda si annidano nugoli di voracissime zanzare, preferivano muoversi ai margini delle radure.

Il cavaliere che apriva la strada osservava con attenzione il terreno circostante. Da qualche minuto il suo cavallo, un quarter horse di quasi un metro e settanta al garrese, dava segni di nervosismo, scuotendo il collo e agitando orecchie e criniera. Frequenti orme sul terreno umido e i segni sugli alberi gli facevano temere un incontro con un grizzley. Pur conoscendo la scarsa aggressività di quei mastodonti, specialmente nel corso dell'estate, sfiorava di continuo il calcio del Winchester bolt action cal. 338 Winch. Magnum che riposava nella fonda. Ottima carabina, pensava tra se. Compatta, affidabile e capace di spingere una palla da 250 grani a oltre 2600 piedi al secondo. Non provava alcun desiderio di far strage di plantigradi e la caccia come sport non lo aveva mai interessato. Lo stesso valeva per il suo compagno che procedeva venti metri dietro di lui, ma entrambi preferivano evitare certi incontri.

Ai lati del sentiero il terreno si era fatto sgombro, coperto solo di sterpaglie e radi cespugli. Procedettero ancora, superando morbide morene simili a onde di terra congelate dal tempo, ricordo di passate ere glaciali. Non avevano incontrato altro che cervi e un solitario alce che al loro sopraggiungere non si era neppure mosso dall'acquitrino nel quale pascolava. Non un uomo o tracce di uomini. Niente tralicci dell'alta tensione o altri segni della civiltà. Dolcemente cullati dal lento passo del cavallo, erano liberi di osservare il paesaggio che sfilava sotto i loro occhi. Liberi di pensare.

I raggi del sole piovevano dall'alto e giocavano tra i rami, sciabolando e dando all'ambiente colorazioni di volta in volta differenti, quasi da acquario; effetti speciali di una discoteca dove suoni e luci erano opera di un invisibile regista. In altri momenti parevano sontuosi addobbi d'oro o tendoni paludati tra un tronco e l'altro. Com 'era bello vivere così, a contatto con l'ambiente! Sentire il respiro della natura invadere l'anima. Entrare davvero in sintonia con gli alberi, gli animali, l'acqua. Spostarsi sulla terra, a tre metri da terra anzi, sentendosi parte integrante di ciò che li circondava e che si spostava con loro, felici e consapevoli di essere accettati, forse addirittura benvoluti. Da cosa o da chi, non sapevano esattamente. Certo da ciò che regnava su quei luoghi senza tempo. Di sicuro qualcosa c'era. Era lì, li guardava e li vedeva passare.

Vivevano di ciò che ricevevano: erba per i cavalli; pesce, bacche e funghi per loro. Ricambiavano con il rispetto e cedevano al terreno i loro escrementi, in un mutuo, reciproco scambio. Non inquinavano, non facevano danni, nè lasciavano traccia del loro passaggio. Per questo evitavano i centri abitati. Gli giravano attorno, timorosi di compromettere quel meraviglioso equilibrio di energie pacifiche. Era tale il rispetto che provavano per quei luoghi e la sensazione di essere ospiti, graditi magari ma sempre ospiti, che ogni volta che smontavano il campo per spostarsi altrove, controllavano minuziosamente di aver eliminato ogni pur minima traccia del loro passaggio. Come a dire: vedete... chiediamo ospitalità ma passiamo in punta di piedi, consapevoli di non essere a casa nostra.

Superato l'ennesimo rilievo, si trovarono davanti il tronco morto di un enorme pich pine. Forse venti metri di altezza e circa uno di diametro. La caduta era stata frenata dalle piante circostanti che, quasi a volerne onorare la venerabile età, lo avevano sorretto nell'agonia coi propri rami e ne avvolgevano protettivi il grande corpo che ora riposava inclinato. Chissà da quanto si era arreso ai rampicanti e all'incessante lavoro dei parassiti! Eppure aveva ancora un'imponenza che incuteva rispetto.

"Potremmo fare il campo qui - propose il secondo - indicando con la mano guantata un tratto sabbioso della riva, sgombro da detriti e tronchi.

"Mmmm ... il posto sembra buono, e non sento zanzare, eppoi sono già le 4."

Sostando ora avrebbero avuto tutto il tempo per organizzare il pernottamento e rimediare anche qualcosa con la lenza prima del calar del sole. In questi quindici giorni siamo diventati proprio dei pescatori provetti, pensava. L'inverno passato aveva pescato più volte attraverso un buco nel ghiaccio e sapeva che Gigi si era impratichito nei fiumi delle Filippine, quando viveva laggiù. Tuttavia la facilità con cui trote e salmerini si facevano illamare ancora lo sconcertava. Dal momento che l'esca toccava la superficie di solito non passavano dieci minuti che questa si agitava furiosamente mentre il galleggiante spariva sott' acqua.

Nelle bisacce posteriori, le più ampie, avevano equipaggiamento e cambusa. Fagioli secchi, riso e latte in polvere, farina e bacon oltre a zucchero, the e una specie di pemmican indiano. In quelle anteriori, invece, trovava posto l'avena per Tom e Stancil, i loro cavalli, oltre all'attrezzatura per la quotidiana pulizia del mantello e degli zoccoli. Lì stava anche il pronto socorso e un sacchetto stagno con il necessario per accendere il fuoco. Dietro a ogni sella era legato il sacco a pelo e la giacca a vento. Gigi, oltre ad una carabina cal. 22, trasportava la tendina a due posti. In cintura portavano un solido coltello. Il suo era un Cattaraugus, vecchio di oltre 50 anni ma ancora affidabile e tagliente come un rasoio. Il suo compagno invece aveva ceduto alle lusinghe di Randall e orgoglioso ne esibiva ora uno splendido esemplare di quasi venti centimetri. Una massiccia ascia a manico lungo completava la loro attrezzatura da taglio     continua "Canada. Con gli occhi a 3 metri da terra"

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