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La via della seta: Khiva, Bukhara, Samarcanda

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Racconto di viaggio in Uzbekistan, lungo la Via della Seta raccontata da Marco Polo, attraverso Khiva, Bukhara, Samarcanda e tanto altro, di Adriano Socchi - Inviato il 30 marzo 2006 da Adriano Socchi.

La via della seta: Khiva, Bukhara, Samarcanda

Sito o fonte Web: www.adrimavi.com “Fino a oggi, da quando Iddio Signor Nostro plasmò colle sue mani il nostro primo padre Adamo, non ci fu mai nessuno, né cristiano, né pagano, né tartaro, n indiano, né d’altra razza che si voglia, che abbia conosciuto ed esplorato delle diverse parti del mondo, e delle sue grandi meraviglie, quanto né esplorò e ne conobbe questo messer Marco”

Marco Polo ha dato all'Occidente l'immagine più vera di un mondo pressoché ignoto quale era l'Oriente. Nel Milione descrisse quelle civiltà lontane, scoprendole e rivelandole, per la prima volta, all'Europa. Fino allora l’Occidente aveva limitato la storia del mondo ignorando queste culture, diverse ma non per questo meno civilizzate. Svaniva, così, la convinzione di coloro che pensavano di aver scritto la storia del loro piccolo mondo con la convinzione di scrivere la storia del mondo.



Dal punto di vista storico la “via della seta” è stata una via di scambi culturali prima ancora che commerciali. Il termine fu coniato alla fine del XIX secolo dal geografo Ferdinand von Richthofen, il quale, con il nome “via della seta”, intendeva determinare l’insieme dei percorsi che collegavano la Cina all’Occidente. Seta perchè fu proprio il prezioso e costoso tessuto a permettere che gli scambi commerciali, ma soprattutto culturali, medicinali e scientifici, cominciassero a fiorire.

- Chi sono oggi coloro che percorrono la “via della seta”? -

Nel passato la “via della seta” era percorsa oltre che per motivi commerciali da avventurosi esploratori, oggi, invece, lo è solo per fini turistici: l'aspetto commerciale non esiste pi sarebbe un’assurdità, ma non cè meno voglia di avventura di un tempo, …anzi. Il viaggio evolve, sì evolve, perché l’incognito che esiste ancora, e sempre esisterà, a differenza di quanto accadeva nell’antichità costituisce sempre meno una minaccia e sempre più un’opportunità.



Il nostro viaggio inizia alla frontiera di Shavat dove troviamo ad aspettarci Shuhrat, la nostra guida Uzbeka. Durante l’espletamento delle formalità doganali ci colpiscono dei carri riempiti all’inverosimile, di qualsivoglia mercanzia, e trainati a spinta da gruppi di robusti giovani. In questa maniera si trasportano le merci tra un confine e l’altro. Tutto intorno un caotico movimento di persone e bambini in cerca di qualche affare. Cè molta più confusione rispetto alla dogana Turkmena, dalla quale proveniamo, ma almeno qui i moduli da compilare sono scritti in inglese e non in cirillico. Saliamo sul veicolo opportunamente noleggiato, un Volkswagen Transpotter, e dopo settanta chilometri siamo a Khiva.

Arriviamo, accompagnati da una stupenda giornata di sole, l’otto di marzo, nel giorno della festa delle donne che qui in Uzbekistan è tanto importante da essere un giorno festivo. - L’emancipazione femminile si è affermata - e da quella svolta epocale consuetudine bruciare mucchi di cador …certo tutt’altra realtà rispetto il confinante Afghanistan. Aggirandoci tra la città incontreremo tante donne, soprattutto giovani, vestite in maniera elegante e tutte desiderose di farsi fotografare in nostra compagnia.

Dato il periodo di bassa stagione ci sono pochi turisti e di conseguenza siamo spesso fermi per accontentarle. Le bimbe portano il tiubetejka, il tipico copricapo ornato di monetine. Il nostro giro avviene esclusivamente dentro le mura della città vecchia, ossia dell’Ichon-Qala. I bambini che ci vivono girano per le vie incustoditi senza alcun controllo da parte degli adulti. Si divertono nelle maniere più disparate, ma il gioco preferito sembra essere quello di farsi scivolare giù dalle mura, come se queste fossero un grande scivolo. Non appena vedono un turista gli corrono incontro, i più grandi per vendere qualcosa, i più piccoli per chiedere bon bon e pen!



- Khiva vecchia è una città nella città - basti pensare che gli abitanti possono sposarsi solo tra loro. Infatti, chi sposa una persona non residente all’interno delle mura è costretto a lasciare la città ed andare a vivere al di fuori. La differenza di Khiva rispetto a Bukhara e Samarcanda è proprio nell’Ichon-Qala. La città vecchia è un museo a cielo aperto!

Non è stata penetrata dall’architettura tipica del regime sovietico rimanendo così un’autentica città centro asiatica. Ci addentriamo, quindi, nell’Ichon-Qala percorrendo i suoi vicoli tortuosi per tutto il giorno, visitando minareti, madrase, palazzi e moschee fino al calar del sole quando sulla sommità del minareto d’Islom-Huja, da dove si gode una vista superba, Khiva, alla luce del tramonto, sembra davvero la più bella città del mondo.

L’indomani ci spetta “l’attraversata” del Kizil-Kum Desert. Un tempo il termine era quanto mai appropriato. Le carovane per superarlo impiegavano parecchie giornate di viaggio seguendo la stella polare di notte, il sole di giorno e la bussola col cattivo tempo. Oggi, invece, grazie alle buone condizioni della strada A380, che unisce Khiva a Bukhara, ci s’impiega non più di sette ore per attraversare i quasi 500 km d’asfalto che s’incuneano rettilinei nel deserto. Durante il tragitto ci fermiamo tre volte.

La prima, subito dopo Urgench, per consumare un fugace pranzo di pesce alla brace, pescato nelle acque dell’Amu-Darya, il fiume divenuto famoso riguardo al disastro del Lago d’Aral. Una seconda volta quando incontriamo una mandria di montoni pascolare proprio in mezzo alla sede stradale. L’ultima in un posto di blocco della polizia. Qui incappiamo in funzionari disonesti e abbiamo modo così di sperimentare la famigerata corruzione cui è soggetta la polizia uzbeka. Per proseguire siamo costretti a lasciare una bustarella di 200 sum.

Durante il lungo viaggio, per ammazzare le noiose ore di guida e la monotonia del paesaggio cosparso da nient’altro che sabbia e cespugli, Shuhrat polarizza la nostra attenzione raccontandoci la propria cerimonia nuziale. Egli, infatti, si è appena sposato. Come avveniva una volta da noi, in Uzbekistan, sono ancora le famiglie a decidere i consorti dei propri figli. La dote dell’uomo consiste in un cammello, due pecore, un sacco di patate, uno di farina e uno di zucchero. Veniamo così a conoscenza delle usanze dei matrimoni uzbeki, o meglio della Valle di Fergana, dalla quale Shuhrat proviene essendo nato a Margilan.

E’ fiero di essere nativo della zona di cui ci racconta la famosa leggenda dei cavalli celesti di Fergana. Questi cavalli nati dall’accoppiamento tra draghi e giumente sono tenuti gelosamente nascosti dalla popolazione locale, poiché con il loro possesso si può salire in cielo e perseguire l’immortalità. continua "La via della seta: Khiva, Bukhara, Samarcanda" (Pubblicato il 30 marzo 2006) - Letture Totali 163 volte - Torna indietro



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