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Una città unica la mondo: Petra

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Racconto di una visita a Petra, Giordania, di Mauro Morelli - Inviato il 12 gennaio 2004 da Mauro Morelli.

Una città unica la mondo: Petra

Sito o fonte Web: xoomer.alice.it/maumorelli Alle sette del mattino siamo tutti già sul pullman. Penso che ognuno di noi si stia preparando alla visita portando dentro di sè una immagine diversa e personale di Petra. Io ne avevo visto qualche decina di foto e letto qualche articolo, ma non ero ancora stato capace di focalizzare bene cosa e come veramente fosse questa Petra. Sapevo solo che non sarebbe stato come visitare una chiesa, un tempio, vedere un quadro o una scultura, aspetti di cui una lettura, una fotografia e magari qualche filmato possono riuscire più facilmente a rendere l’idea, anche se poi la realtà può rivelarsi inferiore alle aspettative. Quante volte è capitato di restare delusi di fronte a opere famose che letture e immagini ci avevano mitizzate oltre i limiti? Non sarà il caso di Petra.

Non si rimane assolutamente delusi, anzi... La realtà supererà ogni vostra immaginazione.



Sarà anche per una mia carenza di documentazione preventiva, ma io non avevo mai lontanamente realizzato che mi sarei trovato di fronte ad una città vera, di forma ellittica (1 km. per 1,5 km), situata su un altopiano a circa 900 metri di altezza, circondata da alte montagne con pareti a picco che si elevano per altri 300 metri, tutta plasmata dalla natura e dall’uomo in una stupenda pietra arenaria gradevolissima al tatto e alla vista in più di venti colori diversi dal bianco al rosa al rosso, al celeste, al blu, all’indaco, all’azzurro, al viola. Non avevo mai pensato che il famoso siq, la stradina tortuosa creata da erosioni e sconvolgimenti naturali tra due pareti rocciose a picco alte fino a 200 metri, che quasi segretamente conduce all’interno della città, fosse lungo oltre un chilometro.

Da solo, il siq meriterebbe una giornata intera da trascorrere osservando le infinite variazioni di luce e di colore prodotte dai raggi del sole che vi penetrano nelle varie ore della giornata, e magari un’altra giornata ancora per fotografare la magia e il mistero di queste mutazioni, cercando angolazioni e inquadrature che nessuno vi ha ancora trovato. Non avevo mai pensato che in poco più di mezza giornata dedicata alla sua visita avrei percorso una dozzina di chilometri, di cui un paio a cavallo ma anche un paio in salita, senza mai soffermarmi sulla stanchezza, tutto preso a guardare le meraviglie: circa 800 tra tombe, templi e abitazioni scavate nella roccia con uno stile che di volta in volta ci riporta all’arte egiziana, ellenistica, assira, siriana, romana e naturalmente nabatea.



Siamo infatti nella terra dei Nabatei. Ma chi era questa gente capace di costruire una tale meraviglia, eppure poco conosciuta dalla nostra cultura scolastica che si rivela così tremendamente limitata? I Nabatei erano beduini nomadi di ceppo aramaico provenienti dalla penisola arabica che nel IV secolo a.C. scelsero questi luoghi per fermarsi, facendo di Petra, già precedentemente abitata dagli Oriti e poi dagli Edomiti, il principale centro carovaniero sulla famosa via dell’incenso che dal sud dell’Arabia saliva fino al porti del Mediterraneo, e all’altrettanto frequentata via carovaniera che da Alessandria portava alle città della Mesopotamia e viceversa.

Grazie alla posizione strategica di Petra, i Nabatei si arricchirono facendo pagare elevati dazi per il passaggio delle carovane, fornendo risorse e approvvigionamenti agli uomini e agli animali per il proseguimento del loro cammino. Plinio, in uno dei 37 libri della sua Naturalis Historia scrive che "…a Petra si pagavano molte dogane, perfino per l’aria che si respirava, per l’acqua da bere e per il diritto di sedersi…"

Il regno continuò a prosperare fino al 106 dC, fino alla conquista rimana, ma Petra continuò ad essere abitata anche durante l’epoca bizantina e fino all’arrivo dei crociati, per poi cadere in un lungo oblio fino al 1812, quando venne "scoperta" dal viaggiatore svizzero Burckhardt. Oggi è patrimonio mondiale salvaguardato dall’Unesco. Ma veniamo alla visita, che per ragioni di "pacchetto" verrà compressa tra orari nudi e crudi, che però riusciranno solo in parte ad offuscane la magia di Petra.

Al termine della cavalcata, già pagata e con mancia obbligatoria, scendo e percorro il suggestivo siq nel quale già si cominciano a vedere i resti di alcune piccole tombe rupestri, nonché due ingegnosi canali di scorrimento dell’acqua piovana. A sinistra quello nabateo, scoperto e scavato semplicemente nella roccia a mezzo metro da terra; a destra quello romano, più raffinato perché costruito utilizzando una serie continua di piccoli cilindri vuoti in terracotta.

Il siq è lungo e l’attesa per la tanto decantata visione improvvisa della facciata del Tesoro del Faraone, detta Khasné, si fa sempre più intensa. Finisco la prima pellicola fotografica dedicata a Petra. E’ questo il momento di caricare in macchina la mitica Velvia. Finalmente ci siamo. Il buio del siq è come lacerato da una sciabolata di luce rosa e gialla. Scatto una serie di fotografie nel tentativo, impossibile, di dare l’idea di come, sin da lontano e attraverso una stretta fenditura tra le due buie pareti rocciose, si vedano le prime colonne e capitelli deliziosamente levigati del Khasné splendidamente illuminati dal sole.

Il contrasto tra il buio e luce è indescrivibile, bellissimo. Ci sarebbe da fermarsi, da centellinare a lungo il momento dimenticandosi del mondo e del tempo, ma immancabilmente, vuoi per l’orario da rispettare, vuoi per la gente che insensibilmente ti passa accanto e ti distrae, vuoi per il pensiero di scattare foto alla ricerca di improbabili nuove inquadrature, oggi, a distanza di pochi giorni, non riesco a ricordarmi il momento in cui, finito di percorrere il siq, sono entrato nella piazzetta circolare sulla quale si affaccia il Tesoro del Faraone. Pazienza. continua "Una città unica la mondo: Petra" (Pubblicato il 12 gennaio 2004) - Letture Totali 74 volte - Torna indietro



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