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Taj Mahal, canto d'amore

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Breve episodio di un viaggio in India, accompagnato da Massimo Taddei per Genio del Bosco, raccontato da Sonia Squilloni - Inviato il 03 febbraio 2007 da Massimo Taddei.

Taj Mahal, canto d'amore

(...) Arrivati, ritroviamo il nostro vecchio bus con una tiepida aria condizionata che con tre ore di strada, quasi occidentale, ci porta ad Agra. È uno dei luoghi più frequentati dai turisti e sembra che lo sport più diffuso, almeno così dicono le guide, sia quello di spennarli. L'avvicinamento a questa settima meraviglia del mondo è assai complesso: scendiamo dal nostro pulman per infilare in un parcheggio e di nuovo in un altro bussino, il difficile è nello schivare e trattare con i venditori di tutto un po'. Il bussino ci lascia cmq lontano dall'ingresso e sotto il sole. Abbiamo dovuto lasciarvi tutto sopra, zaini, borse, acqua, dentro non si può portare niente per motivi di sicurezza. Ingresso solo con la macchina fotografica, meglio così. Ci consegnano mezzo litro d'acqua, abbeveraggio base contro la disidratazione. Eh! li sentono anche loro i 40 gradi! Ancora guardie, ah! ci ripalpano! Allora oggi sono decisi a far risvegliare i miei ormoni sopiti!

Già dall'ingresso si ha l'impressione di ordine e pulizia, il viale con prato all'inglese e portici si apre in un crocevia che riconduce i 3 ingressi verso un monumentale "ivan", un monumentale arco di ingresso in arenaria rossa. Ecco! ci siamo, si è creato un forte senso di attesa e... prima sala di ingresso, trattengo lo sguardo che però fugge, da questa oscurità del buio preambolo verso il candore del monumento. Mentirei a dire che questa frenesia fosse genuinamente prodotta da sane aspettative sull'opera. Rispecchiando quella che è la mia indole malfidata e sempre pronta a difendermi da esagerate aspettative, non confidavo che l'opera fosse all'altezza delle descrizioni.

Massimo la descriveva come su di un altro alto livello rispetto a quello che avevamo già visto, Susanna mi aveva addirittura detto che vi si respirava "amore". Senza togliere nulla alle loro opinioni, le consideravo esagerate, o diciamo che avevo paura di crederci… quale luogo respira o fa respirare? Sarà, pensavo, un candido pezzettone di marmo, geometricamente ben distribuito, armonioso nelle proporzioni, teatralmente disposto a far palpitare il cuore di entusiasti viaggiatori.

Azz se sbagliavo. Ma questo lo si percepisce dentro, solo dentro, quando spogli di ogni prevenuta concezione, effettuato il percorso diritto attraverso un paradisiaco giardino, si è condotti in alto, all'interno del suo cuore. Il cuore di Shan Jahan, l'imperatore che lo fece costruire per la moglie morta di parto al quattordicesimo figlio. Dentro la sala circolare è magica nella sua ombra.

Circumnavighi l'alto parapetto di jali che proteggono le tombe e ti viene voglia di cantare, voglia di sentire delle voci femminili litaniche e melodiose. Non ho ascoltato una parola di quello che diceva la nostra guida. Ho seguito ed intonato i versi che mi arrivavano da lontano, sorridendo agli spiragli di sole che mordevano il fresco dell'interno dalle fenditure perimetrali. Non ha senso per un fiorentino ammirare il marmo di Carrara o le decorazioni preziose intagliate di pietre dure. Ha senso, a mio presuntuoso parere, sentire, gustare e lasciarsi coccolare da quel canto d'amore che l'imperatore ha lasciato suonare per sempre alla sua amata. Questo è il Taj Mahal, questo rimarrà nel mio cuore.

Dovrebbero proibire l'accesso ai diabetici per così tanta dolcezza oppure allegare alla dotazione del mezzo litro d'acqua una dose appropriata di insulina.
Non contenti di così tante emozioni, ci siamo fatti anche un girotondo dall'esterno, godendo della lunga sosta sulla terrazza verso la Yamuna. E qui cresce l'affetto verso il romantico committente. La sua sfortunata storia lo vede imprigionato dal figlio, usurpatore del suo regno, per proteggere i capitali dal suo dilagante amore. Quattordici figli! Infatti, nel progetto congeniato da Shan Jahan doveva sorgere un secondo mausoleo (ah pardon cenotafio perché la tomba sopra è vuota, da bravi mussulmani le spoglie sono interrate), di colore nero, sulla riva opposta del fiume. Lo aveva pensato per ospitare le proprie spoglie.

Il figlio, da vero khatrya, non apprezza l'arte e l'amore ma conosce bene la guerra e l'ordine. Agisce usurpando il trono al padre e imprigionandolo nel Forte Rosso, facendogli però la gentilezza di poter traguardare la tomba della moglie. Una volta morto, povero Shanny, non gl'è rimasto che un posto affianco alla moglie, in un sarcofago più piccolo e decentrato. Beffa della vita! Ha realizzato un capolavoro di ordine e simmetria e lo ripongono fuori asse!

Prima di abbandonare questa meraviglia del sentimento, facciamo un altro giro, "con i tuoi tempi" dice, ed entriamo ancora una volta nella pancia buia dell'amore. Qui mi pongo una domanda, alla quale però, non ho trovato risposta. Ebbene, questo luogo parla, trasuda amore e non l'avrei creduto se l'avessi sentito, come si realizza quest'idilio? Può architetto o progettista possedere una tecnica per far questo? Si realizza coscientemente una tal grazia oppure è frutto d'alchimie irrivelate? Mistero della fede o dell'arte? (...) (Pubblicato il 03 febbraio 2007) - Letture Totali 87 volte - Torna indietro



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