La terra degli Himba


Inserito il: 24/04/2009 da Viaggiatori Web
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Il sentiero, segnalato da dei paletti bianchi, sale dolcemente tra le basse dune di fronte a noi. Raggiungiamo così il pan di Soussvlei, che a noi appare completamente asciutto, ma non per questo meno affascinante. Sul suo letto, costituito da fango essiccato in forme geometriche tanto perfette da fare invidia ai migliori pavimenti realizzati dall'uomo, crescono scheletri di piante che contribuiscono ad accrescere la sensazione di straniamento che aleggia qui intorno. Questo catino naturale rappresenta il punto di partenza della nostra estenuante quanto emozionante scalata alla duna più alta del mondo. Raggiunta la cima ci sediamo a cavalcioni sul crinale, una gamba di qua e una di là. L'infinito che ci appare e che ci avvolge da ogni parte ci fa presto dimenticare la fatica dell'ascesa. Rimaniamo così per qualche minuto, in silenzio, ognuno assorto nei propri pensieri, qui finalmente liberi di vagare senza confini. Morbide colline color albicocca si accendono di toni caldi e splendenti a seconda della luce del sole. Onde fluttuanti sospinte dal vento si gonfiano e rotolano per distese sconfinate.

Tutto intorno ondeggia un mare calmo di dune e noi, sopraffatti dal nostro istinto infantile risvegliatosi improvvisamente, ci tuffiamo lungo le pendici rotolando in profondità. La discesa è ripida, ma la tentazione di sciare a tutta velocità sulla sabbia è troppo forte. I granelli di sabbia si intrufolano dispettosi in ogni dove, tanto che, ad un certo punto, sembra anche a noi di essere parte di questo ambiente incantato.

Gli Himba del Kaokoveld

Una visita ai villaggi himba rappresenta, in particolar modo per l'uomo occidentale, il risveglio completo dei sensi, al di là della parola. La maggioranza degli Himba non parla inglese e per questo motivo la comunicazione, lo scambio di messaggi durante un incontro con questo popolo, si basa esclusivamente sull'uso dei sensi. Un ritorno all'istintività? In parte si tratta proprio di questo. Visitando un villaggio Himba ci restano impressi, infatti, i capanni di legno sparsi all'interno di un recinto, il profumo di ocra rossa mista a burro spalmata sulla pelle delle donne, il pestare dei piedi sulla terra durante le danze tribali, il lieve suono di un liuto primitivo, la melodia delle litanie in lontananza, la bocca di un bimbo addormentato attaccata dolcemente al seno della madre. Tuttavia, uno sguardo più attento alla quotidianità di questo popolo può svelare misteri che vanno ben oltre il gusto esotico, avidamente ricercato dai turisti.

Gli Himba sono una tribù di pastori seminomadi che vivono nell'angolo nord-occidentale della Namibia, nel territorio dalla brulla e aspra vegetazione e dalle distese immense e colorate del Kaokoveld. Si tratta di un gruppo di circa 7.000 abitanti discendenti dal popolo di lingua herero, una delle più numerose fra le tredici etnie presenti nel Paese. Vivono in piccoli villaggi sparsi attorno alla polverosa cittadina di Opuwo, il centro amministrativo del Kaokoland, dove è possibile fare la conoscenza di Key Key, un ragazzo Himba sulla trentina, che da qualche anno lavora come guida turistica ed in particolare come accompagnatore nei villaggi della sua tribù. Fissando un appuntamento con lui presso l'ufficio turistico della cittadina, un barcollante edificio giallo alle porte di Opuwo, è possibile raggiungere luoghi remoti e visitare tribù meno contaminate dal contatto con i turisti.

"E' un lungo tragitto, il sentiero è poco agevole e accidentato", spiega Key Key. "Ed inoltre non posso garantire che troveremo molta gente nei villaggi: a quest'ora gli uomini si dedicano al lavoro nei campi, e non posso di certo telefonare per avvisarli che stiamo arrivando!" - prosegue la guida concludendo la frase con una breve e acuta risata che fa da contorno al suo inglese dalla buffa cadenza.

Qualsiasi visita ai villaggi è preceduta da una sosta di rifornimento presso il supermercato di Opuwo, dove acquistare generi di prima necessità, come farina, acqua, zucchero, da portare in dono al capo tribù, affinché la visita risulti gradita. Non devono mancare inoltre una giusta dose di caramelle per i più piccoli e di tabacco per gli anziani. Il lungo viaggio, due ore interminabili attraverso una carrareccia aspra e malagevole, è allietato dagli interessanti racconti di Key Key. La giovane guida è, in modo sin troppo evidente, ben diversa dagli Himba che vivono ad Opuwo e che a volte sbucano di qua e di là lungo il percorso inesistente, coperti solo in minima parte e adornati di strani gioielli e acconciature.

"Non posso più vestire come loro" - racconta - "sono stato tra i primi Himba ad andare a scuola in città e questo ha comportato che io perdessi, o meglio, abbandonassi, i miei costumi ed usi tradizionali. Insomma, non potevo di certo andare a scuola coperto soltanto dal gonnellino di pelle di capra!".

Quando prosegue, il suo sguardo si fa improvvisamente triste: "Sono un ragazzo di città, non possiedo alcuna capra e per questo motivo non posso prendere moglie". Le sue parole suonano malinconiche dentro al finestrino del roboante quattro per quattro. Con la mano Key Key indica un edificio in cemento e mattoni che sorge solitario nella radura che stiamo attraversando.

"Questa è una scuola costruita pochi anni fa e sovvenzionata attraverso i fondi provenienti da Svezia e Norvegia. Si tratta di una rarità, difatti gli Himba solo dalla metà degli anni sessanta cominciarono ad accettare alcune strutture scolastiche e sanitarie tipicamente occidentali", spiega. Il racconto di Key Key si interrompe: siamo arrivati al suo villaggio ma, come previsto, è deserto.

"Ne conosco un altro da quella parte, forse lì saremo più fortunati". Il secondo villaggio si trova a breve distanza e, già dalla macchina, s'intravedono delle persone all'interno del recinto. I villaggi degli Himba sono costituiti da piccole e sparse capanne di legno chiuse da una staccionata, all'interno della quale si trova anche l'area per gli animali. Sembra un villaggio fiabesco. Key Key scende dal fuoristrada, pregandoci di aspettare e di non seguirlo. Si dirige verso l'ingresso del villaggio alla ricerca del capo tribù, al quale deve chiedere il permesso della nostra visita. Dopo qualche minuto è di ritorno, annuisce con il capo e capiamo di essere stati ammessi. Improvvisamente ci sentiamo catapultati in un mondo totalmente diverso dal nostro, un mondo in cui uomini e animali vivono a stretto contatto e in completa sintonia con la natura circostante.

Ovviamente, ciò che affascina maggiormente è l'aspetto delle donne, le quali, più degli uomini, hanno mantenuto il loro delizioso e inconfondibile costume tradizionale. La parte inferiore del corpo è coperta da una minigonna fatta con diversi strati di pelle di capra, mentre alle braccia e al collo portano gioielli realizzati con conchiglie, pelle, ferro e rivestiti di ocra e fango. Usano un profumo alle erbe conosciuto come otjizumba e si cospargono la pelle con una maschera di burro, cenere e ocra, chiamata otjize, che ha lo scopo di contrastarne il naturale invecchiamento. La stessa mistura è applicata sui capelli intrecciati con effetti sorprendenti. Le diverse acconciature stanno ad indicare lo stato sociale delle donne e degli uomini. Alcuni uomini, ad esempio, hanno la testa rasata al centro, mentre ai lati i capelli sono piuttosto lunghi e raccolti sopra il capo nello stile ondumbu, che indica che sono sposati, così come il largo ombongoro di conchiglie della costa angolana che portano al collo. Tutti gli uomini hanno le braccia e la parte superiore del corpo nude.

Attorno alla vita indossano una cintura di pelle chiamata "cintura della fame", perché viene stretta ogni qualvolta i morsi della fame si acuiscono. Dalla cintura pende un cencio di stoffa nera che copre la parte inferiore del corpo fino alle ginocchia. Ai piedi indossano sandali resistenti fatti con la gomma dei copertoni delle auto. In questo villaggio, tuttavia, incontriamo pochissimi uomini, sono quasi tutti fuori con il bestiame.

Passiamo il pomeriggio con le donne, che poi sono tutte ragazze di trent'anni al massimo, con tre o quattro figli ciascuna attorno alle gambe, attaccati al seno o addormentati sulla schiena. Sono molto cordiali, sorridono e vogliono che prendiamo in braccio i loro piccoli. In un batter d'occhio, ci troviamo coperti del rosso della maschera che cosparge le donne e i bambini, i nostri vestiti sono già impolverati, vicino al fuoco viene fatto posto per noi.

Ci sediamo, ascoltiamo i canti, osserviamo le danze e pensiamo che forse, almeno per un giorno, siamo diventati un po' Himba anche noi.

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