Balkan Express


Inserito il: 28/03/2008 da Matteo Imperiali
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Casa di Furio, collega universitario in trasferta a Belgrado, è poco distante dall’edificio barocco che ospita l’Accademia delle Arti e delle Scienze, culla del revanchismo serbo. Doccia, spaghetti, odore di sugo, accenti meridionali e romani, chianti; c’è una piccola Italia in festa in una casa al centro di Belgrado. Borbottio lontano e tenue, aroma di caffè nell’aria, Furio mi chiama dalla cucina, fuori il sole è quello tiepido del mattino; lo accompagno a lavoro all’istituto culturale italiano e parto verso Novi Sad. Buche, camion, granoturco, cicogne, odore di concime e terra annaffiata la Vojvodina (regione della Serbia. N.d.a.) mi accoglie sotto un cielo basso e azzurro. Novi Pazova, Stari pazova, Indija, Beška, i nomi dei paesi sono fluidi come il Danubio. Poco prima di Novi Sad, sulla sinistra i monti del parco nazionale dei Fruška Gora brillano verdi sotto il sole tiepido mentre poco più avanti, imponente si erge la fortezza di Petrovarardin. Sul fiume alcune chiatte sonnecchiano sornione presso i resti di un ponte, testimoni dell’”intelligenza” delle bombe Nato. Sono appena le 9 del mattino quando lascio alle spalle la polverosa periferia di Novi Sad puntando veloce verso Bačka Palanca ed il confine croato. Corvi, mais, aironi, cicogne, odore di luppolo, campi di girasole, poi, lunghissimo, il ponte sul Danubio e, dall’altra parte, Ilok e la Croazia.

Altro confine e altro timbro. Croci bianche nei campi, sull’asfalto e sulle case i segni delle cannonate serbe, bandiere croate al vento. La guerra qui è fresca come l’ombra dei tigli. Vukovar, la Stalingrado dei balcani appare all’orizzonte con le sue rovine. Scatto un paio di foto e controllo la cartina; se voglio arrivare a Sarajevo e vedere anche il ponte del romanzo di Andrić a Višegrad devo allungare tornando indietro a Novi sad, proseguire a destra per Ruma, Šabak, Valjevo e a Požega svoltare a sinistra per Užice e dopo circa 80 km la valle della Drina e Višegrad poi altri 140 km fino a Sarajevo capitale della Bosnia. Torno velocemente verso Novi Sad, superando gli esterrefatti partecipanti di un moto raduno locale e svolto per Ruma. Cielo basso e terreno di pianura, odore di concime, la vespa fila che è una bellezza in mezzo ai campi di luppolo e di girasole. A Šabak passo la Sava, azzurra e calma, in lontananza i primi monti che preannunciano quelli aspri ed impervi della Bosnia; sole alto e caldo, terza, quarta, salgo verso Valjevo e tiro dritto per Požega. Pini, abeti, larici e qualche galleria, corta, per fortuna. Crampi allo stomaco e luce arancione lampeggiante sul cruscotto, è ora di rifornimento per me e per la vespa. Benzina e olio per lei, burek sa sirom, pljeskavica (burek al formaggio e “hamburger”. N.d.a) e birra fredda per me, vero sollievo per la mia fame lupina. In lontananza il suono sordo e minaccioso di un tuono preannuncia un temporale. Giacca cerata, bandana rossa a coprire il volto, fruscianti buste di plastica nere a coprire i bagagli ed il viaggio può continuare in barba a Giove pluvio.

Le gocce pungono come spilli malgrado la bandana, fermarsi a Višegrad con questo tempo è una follia, decido quindi di tirare dritto fino a Sarajevo. Pioggia, buche e asfalto viscido rendono il viaggio sempre più difficile, cerco invano un posto dove bere qualcosa di caldo mentre, minacciose e immense, si avvicinano le montagne che circondano la capitale bosniaca. Le gambe tremano sulla pedalina della vespa, la strada si inerpica verso il monte che domina Sarajevo. Quarta, terza, seconda, la salita si fa sempre più ripida e il freddo più intenso. Sulla sinistra sfila il cartello che indica Pale, capitale, durante il conflitto, dell’autoproclamata Republika Srpska e covo del criminale di guerra Mladić. Poco più avanti un avamposto militare ricorda ad alcuni che la guerra, forse, non è ancora finita del tutto. Pini, abeti, odore di muschio e di terra bagnata, il paesaggio assume toni alpini. Nebbia fitta e freddo intenso, tremante e bagnato mi inerpico sul monte, in lontananza una luce indica un rifugio di montagna. Caffè bollente, grappa di prugne, odore di legna bagnata, nel caminetto scoppiettano allegri alcuni ceppi di legno mentre una coppia di anziani signori si sfida a scacchi sorseggiando brandy.

Altro giro di grappa e caffè, pago il conto e riprendo il cammino per Sarajevo. Curve e asfalto scivoloso, la discesa verso la Capitale non è agevole, dopo un’ennesima curva scorgo i primi tetti della città vecchia. Minareti, guglie e cupole Sarajevo si annuncia con il suo coacervo di popoli e religioni, esempio di convivenza che la guerra non è riuscita a piegare. Incomincia a fare buio quando entro in casa di Tarik, tecnico audio della tv bosniaca. Tappeti e calore domestico, odore di verdure e brodo, disfatto crollo sul letto che il mio amico mi ha preparato. Le strade e i palazzi di Sarajevo portano ancora i segni delle cannonate. I ruderi della biblioteca che conservava rari testi della diaspora sefardita si affacciano sulla Miliačka, il fiume della città. Poco lontano le facoltà dell’Univeristà pullulano di studenti e professori. Passeggio per la città vecchia. Odore di cipolle, Čevapćić, legna arsa e caffè, il canto del muezzin fa da controaltare alle campane delle chiese. Oriente e Occidente, Cristianesimo, Ebraismo e Islam si incontrano a Sarajevo, perno centrale per gli scambi culturali, religiosi e commerciali di tutti i Balcani. E’ proprio per il suo carattere cosmopolita che la città è stata vittima dell’assedio più lungo dalla seconda Guerra Mondiale. In quell’evento si è sublimata l’eterna lotta tra città e campagna. Carico i pacchi sulla vespa e mi avvio verso Mostar. Gallerie e buche, odore di pesce e more, piccole stazioni balneari fluviali, la valle della Neretva scorre, placida come il suo fiume, sulla destra.

A Mostar alcuni ragazzi si tuffano nel fiume saltando dal ponte vecchio, quello che era stato un mirabile esempio dell’ingegneria ottomana, fu ricostruito dopo che le cannonate croate lo avevano abbattuto. Su una collina alle spalle del ponte, immensa e solitaria, una croce segna il confine tra Islam bosniaco e cattolicità croata. Riprendo il cammino verso Spalato. Il sole al tramonto arrossa i tetti della città dalmatina quando giungo al porto. La nave sta già imbarcando gli ultimi turisti. Le luci della costa lentamente si allontanano e un senso di nostalgia mi pervade, il viaggio è concluso Ancona e Roma mi aspettano al di là dell’orrizzonte.

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