Una vera casa: Seconda Parte

Mi raccontò la sua vita, di come quella scuola fosse anche l’unica via lecita che aveva per viaggiare nel mondo. Avrebbe dovuto studiare ancora molto prima di laurearsi ed essere impiegato nell’equipaggio sulle navi mercantili cubane. Il tempo trascorse veloce e l’aria dentro la gua-gua si arroventò mentre attraversavo da nord a sud l’isola che ha i contorni di un enorme coccodrillo. Julian mi confidò anche la sua doppia vita sentimentale. A L’Avana aveva un’altra donna, un’altra casa e un’altra figlia. Senza dilungarmi sull’immoralità della faccenda, mi chiesi come facesse, lui che aveva la mia età, a sopportare simili responsabilità.

Fu Julian a portarmi in quella che fu la mia prima, vera casa. Entrai in un enorme salone. Uno stereo acceso a tutto volume diffondeva nell’aria tristi note di musica tradizionale cubana. Mi chiesi se venisse utilizzato come sala da ballo. I miei nuovi ospiti mi fecero accomodare su un ampio divano dal telaio di legno massiccio e mi offrirono un refresco, una spremuta di arancia. Coloratissime tende di cotone separavano il salone da una serie di camere e, proprio nel momento in cui sedevo, una corrente d’aria le attraversò tutte contemporaneamente mostrandomi l’intera panoramica delle camere da letto e, di spalle, una ragazza che si stava spogliando. Avevo distolto lo sguardo, imbarazzato.

Ero molto scettico quando mi indicarono la camera, al di là della semplice tendina di cotone. L’unica porta esistente in quella casa, oltre a quella di ingresso, era quella del bagno. Pensai che non era il caso di fidarmi a tal punto ma i volti che mi circondavano, tutti sorridenti nell’attesa della mia risposta, spostarono il mio barometro interno sul bel tempo. La mia valigia aveva la serratura con la combinazione, finalmente un punto a favore di tutto quello scomodo peso che mi stava allungando le braccia nello sforzo di trascinarmelo dietro e, dal lato puramente pratico, era ormai molto tardi per cercare un'altra camera. Decisi di accettare l’ospitalità di quella famiglia, mi sentivo disponibile a tutto ciò che quei giorni mi avrebbero riservato. Affidandomi con fiducia al destino, un attimo dopo mi sentivo già trasportare dalla fresca corrente che entrava muovendo tutte le tendine, fin dentro il caldo abbraccio di una ospitalità fuori dal tempo.

Fu una vera casa in ogni senso. La mia camera non aveva nessuna privacy nel mezzo di tutta una famiglia che viveva la normale vita di ogni giorno. Il mio letto si trovava nel centro della casa, a lato dell’unico bagno. Vivevo in mezzo ad una famiglia giovane e vivace, in certi momenti della giornata mi sembrava di essere in un porto di mare. Due giovanissimi fratellini sgranavano i loro occhi pieni di curiosità infantile, osservandomi da dietro la tendina infiorata che separava la loro camera dalla mia.

Due giovani sorelle aiutavano la madre dei bambini a svolgere le sue molteplici attività e abitavano in quella casa nonostante la loro fosse vicina. Col passare dei giorni, partecipai sempre più spesso alle abitudini di quella casa: giocavo con i bambini, aiutavo ad affettare le banane o a sbucciare le patate, selezionavo il riso.

Era una famiglia molto attiva. Ogni sera c’erano ospiti a cena, reclutati nel vicino e unico villaggio turistico di Playa Larga, e anch’io cenavo con pesce e carne senza pagare nessuna differenza. La cena di benvenuto era stata deliziosa con arrojo, assaggi di carne e di calamarones, mangiando e bevendo quelle che furono una piacevole presenza abituale sulla tavola di Playa Larga: quintali di frutta fresca tagliata a tocchi e litri di spremute.

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