Le panchine e la sua gente


Inserito il: 21/11/2008 da Adolfo Carli
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È, infatti, proprio nelle città borghesi europee e, più tardi, americane, che le panchine diventano un elegantissimo oggetto di arredo di viali, di boulevard e di raffinatissimi giardini. La panchina del diciannovesimo secolo viene forgiata in molteplici forme e tipi ed è, in tal senso, anche un oggetto d’arte da ammirare.

In seguito, l’immaginario della panchina esaurisce la sua vena artistica e, nel ventesimo secolo, prende forma la classica e sobria panchina di tipo essenziale, che possiamo trovare in qualsiasi luogo del mondo, ad eccezione di alcuni paesi orientali, dove la gente non ha bisogno delle panchine, perché si accuccia con estrema agilità in posizioni impossibili per noi occidentali.

Letteratura e cinema hanno ampiamente utilizzato la panchina come elemento chiave della storia o della sceneggiatura: da George Simenon nel suo libro “Maigret e l’uomo della panchina”, a Italo Calvino nel racconto “Villeggiatura in panchina”; dal film “Forrest Gump”, di Zemeckis - nel quale l’eroe moderno, seduto su una panchina, racconta la storia della sua vita - alle tante gags di Stan Laurel e Oliver Hardy, che si svolgono proprio sulle panchine. Basterebbe pensare alla locandina del film “Manhattan”, di Woody Allen, nella quale in primo piano si vedono il regista/attore e l’attrice Diane Keaton seduti sulla panchina sotto il Queensborough Bridge, che collega il Queens con Manhattan, e nello sfondo lo skyline di New York, per intuire come, spesso, stare in panchina significhi non far parte dell’azione, del movimento che anima le metropoli e la loro frenetica circolazione. Le città, lentamente e inesorabilmente, vengono configurate, da urbanisti e architetti asserviti alla logica del consumismo e della globalizzazione, come luoghi di lavoro e di efficienza. In questi centri urbani le soste consentite e stimolate sono quelle negli enormi e sempre più numerosi “Centri commerciali”, dove il cittadino deve consumare.

Ecco che “La Panchina” come luogo di non consumazione e di sosta, sito pubblico e gratuito, quando tutto tende a diventare privato e a pagamento, difficilmente sfuggirà alle restrizioni dei pianificatori urbanistici. Quando ci sediamo su una panchina non paghiamo l’affitto e nessuno ci stacca un biglietto perché è spazio pubblico e ha un valore sociale al quale non dobbiamo rinunciare. Mi sia concesso affermare che questa sorta di “presidio” è la prova che la gente vuole sostenere e ribadire l’utilità sociale delle panchine e pertanto le occupa, con diverse modalità.

La panchina, pur essendo oggetto pubblico, garantisce ad ognuno la licenza di utilizzo senza vincoli di tempo, concedendo, così, il lusso di sprecare alcune ore in modo improduttivo.

Tale opportunità di fruire della “gratuità” di perdere il nostro tempo contemplando il mondo che ci scorre davanti, di leggere un libro o un giornale, di chiacchierare a ruota libera utilizzando l’ambiente “pubblico” è NOSTRA.

Queste mie fotografie vogliono testimoniare che, dove ci sono, “Le Panchine”, siano esse di bel legno lucidato o sgangherate, vengono sempre frequentate da tutte le tipologie di persone.

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