Diario di viaggio in Namibia


Inserito il: 28/11/2007 da Fabrizio Ronzi
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Giovedì 12 Agosto 1999 Durante il trasferimento al campo di Halali, continuiamo gli appostamenti presso le aree previste. Una delle più spettacolari di queste è il punto denominato Etosha, un’isola della vastissima depressione salina Pan, grande circa quattro volte il Lago Maggiore. Solo pochi giorni all'anno il Pan si riempie di qualche metro d'acqua, per il resto è un ambiente indescrivibile. Il terreno è completamente secco, screpolato dal calore, e non gira un filo d’aria. Non vediamo animali, ma scorgiamo le tracce che hanno lasciano attraversandolo orientandosi con l’istinto dato che in alcuni punti non si vede nemmeno dove inizia la vegetazione, ma solo sole sopra e terra arida sotto e dovunque guardi l’orizzonte è modificato dal calore che sale dla suolo. Forse che forse usano il GPS?

Altro punto indimenticabile è il Rietfontein, una pozza di abbeveraggio. Due bei leoni adulti si trovavano appisolati all’ombra, nei paraggi, e inutilmente aspettiamo che si avvicinino all’acqua per vederli meglio. Allontanandoci, avvistiamo una leonessa ed un altro leone.

Venerdì 13 Agosto 1999 Al mattino vaghiamo da una pozza all'altra, sempre immersi nel suggestivo panorama del parco, un misto di savana, aree desertiche e Pan, ma sostanzialmente pianeggiante, dove solo all'estremo ovest si scorgono i monti 'ondunduzonananandana'. Cammina e cammina, ci dirigiamo nella parte ovest, al limite della zona accessibile al pubblico, arrivando fino al terzo campo di Okaukuejo, dove facciamo rifornimento e acquistiamo la carne congelata per la grigliatona.

Okaukuejo è sicuramente il campo più bello in tutti i sensi tranne per i campeggiatori che troveranno parecchia polvere rispetto agli altri. Qui il posto di osservazione degli animali è pacchianamente comodo: dalle panchine dietro ad un basso muretto si sta comodamente a guardare gli animali ad abbeverarsi. Halali è il più recente, di costruzione, dei tre campi governativi a disposizione dei turisti che intendono restare all'interno del Etosha, ed è quello che si trova all'interno della zona più densamente popolata di predatori. Dispone della pozza di osservazione sicuramente più bella, in quanto si trova con una vasta savana intorno, ed il punto di osservazione è rialzato su alcune rocce, tanto che sembra di essere a teatro. Inoltre, il sole sorge prorpio davanti. E' qui che, dopo la grigliata, vediamo una cinquantina di elefanti tutti insieme che abbeverano pazientemente sotto i riflettori, nel silenzio più totale degli spettatori incantati! Ebbene non è finita, perchè la ser adopo abbiamo avvistato i rarissimi rinoceronti ed un paio di iene.

Sabato 14 Agosto Lasciamo a malincuore l'Etosha. Usciamo senza parlare, a testa metaforicamente bassa, dal parco attraverso. Smbra già che una parte del viaggio sia finita poi, quando attraversiamo l'Andersson Gate, e ci assale il dubbio se la famosa Pamela sia effettivamente passata di qua, e pensando che forse forse ci sono altre belle cose in natura, il morale riprende a lievitare. Riprendiamo quindi il viaggio su strade sempre più isolate e vuote e... diritte. A parte questa caratteristica (le strade diritte non la Pamela!), si tratta di un semplice trasferimento verso un’altra meta e il viaggio non riserva particolari attrattive anche se è curioso il fatto che continuiamo a scrutare l’orizzonte alla ricerca di animali. Il safari ci ha contagiato!

Giungiamo puntualissimi alla meta, la cittadina di Khorixas, capoluogo dell’omonimo dipartimento territoriale, e riforniamo la Toyota all’unico distributore, che la guida ci ha segnalato con la solita precisione. Incredibili queste ‘Lonely Planet’. Ci attende una prenotazione al ‘Khorixas Lodge’ trovato su Internet, che pare essere l’unico posto con un po’ di vita nella zona. A 100 chilometri dall’insediamento umano più vicino, c'è effettivamente da costatare che Khorixas è veramente un posto triste: la città è battuta da venti micidiali che sollevano una sabbia pestifera, e pochissime sono attività commerciali, che definirle tali è già una parola grossa, per la cronaca un piccolo supermarket con una disponibilità di merce disparata, bare e accessori funebri compresi in ventita tra gli scaffali. Per fortuna il Lodge è un piccolo angolo, direi di paradiso in questo caso, dove troviamo a standard europei: bungalow con aria condizionata, piscina, un ristorante decente, un bar con loungue, e, dopo la nostra visita, anche un barista che sa preparare un Cubalibre come si deve.

Domenica 15 Agosto Giornata interamente dedicata al massiccio montuoso del Brandberg, massima cima della Namibia con i suoi 2600 metri. Sul luogo, sono stati scoperti pochi decenni fa graffiti preistorici diventati poi un must turistico. Il viaggio per raggiungere il Brandberg è stato di ben 260 chilometri attraverso il Damaraland centrale, un panorama desertico sconcertante. Sarà il caldo, sarà la scarsa vegetazione, saranno le strane formazioni montuose mai uguali, ma questa zona appare veramente inospitale, nel senso che qui capite il significato di questa parola. I graffiti li si raggiunge con una breve escursione a piedi - meno di un’ora con guida locale ad un prezzo, come al solito irrisorio - sotto un sole pesto ed un cielo azzurro, polarizzato da un’aria che non conosce particelle di monossido di carbonio. Sotto una roccia, ammiriamo quindi incisioni di scene di caccia raffiguranti la ‘White Lady’, una figura appartenente sicuramente ad un personaggio importante di circa 4000 anni fa. Incredibile che l’inchiostro usato sia durato millenni, passato indenne agli agenti atmosferici, ed ora - ironia della sorte - è protetto da una griglia metallica contro eventuali vandali.

Lunedì 16 Agosto Di buonmattino, partiamo verso nord, molto a nord, diciamo al limite massimo consentito ad automezzi 4x2. Lungo il tragitto, approfittiamo della presenza di alcuni siti interessanti per spezzare la lunghezza del trasferimento. Impossibile non fermarsi alla Petrified Forest, come si intende dal nome una foresta formata da numerosi fossili di tronchi e pezzi di alberi vecchi 200 milioni di anni. Incredibile è l’aggettivo giusto: per forma e colori questi tronchi sembrano proprio di legno, ed è visibile anche da vicino il dettaglio della venatura e dei nodi del legno, e tamburellando sopra emettono pure lo stesso suono del legno, invece sono indiscutibilmente pezzi di pietra. Sitratta del più grande sito del genere al mondo, con una quantità di reperti superiore alla più famosa Petrified Forest americana. La deviazione successiva ci porta verso la Burnt Mountain. Osserviamo il panorama in continuo cambiamento - numerose le formazioni collinari di forme e colori sempre diverse - fino alla meta, una piccola collina di nera roccia vulcanica, che come tutte le altre sembra messa lì chissà come e chissà perché. Passiamo anche per la formazione delle Organ Pipes, rocce di forma verticale regolare ed incastonate tra loro, create dalla improvvisa solidificazione di una massa lavica, assai simile alla scogliera della ‘Giant’s Causeway’ in Irlanda del Nord. E' già tardi perché abbiamo ancora molta strada da fare e il fondo parecchio dissestato ci costringe a viaggiare a non più di 40/50 Km/h. Ci addentriamo nel Kaokoveld in direzione Sesfontein. Il viaggio regala altre profonde sensazioni ‘africane’ perché qui ha inizio la parte più sperduta della Namibia. Non esistono alberghi, i rifornimenti non sono assicurati e le strade sono in pessime condizioni.

Incontriamo piccoli villaggi di pochi abitanti, frammenti umani ai bordi della civiltà, estrapolati nel tempo dalla condizione di una economia di sussistenza inserita nell’ecosistema, ma ancora spauriti ed inadatti allo stile diciamo del ‘primo mondo’ cui ormai buona parte della Namibia si è assuefatta. Per questo arrivare al campo di Palmwag - una vera oasi con tanto di palme vere, piscina, bar e ristorante, e ordinatissimi posti tenda, praticamente a 200 chilometri dalla civiltà - ha dell'incredibile. Si tratta di una piccola collina da cui la vista spazia per centinaia di chilometri tutto intorno, sulla savana interrotta all'orizzonte da formazioni montuose. Magnifico tramonto poi, non appena diventa buio, i gruppi elettrogeni partono automaticamente ‘mettendo in moto’ il campo. L'illuminazione è rassicurante. Nella piccola pozza d’acqua circostante la zona bungalow, notiamo a fatica un rinoceronte semi nascosto nella bassa vegetazione. Ci separano una ventina di metri ed un muretto, sul quale è affisso un cartello: ‘Non disturbate gli animali, dato che nel nostro lodge non ci sono recinzioni e potrebbero avvicinarsi.’ La sera stessa Eros si cimenta in una performance esuberante: i migliori spaghetti aglio & olio della vacanza, sotto un cielo stellato come non si è mai visto. Palmwag è un posto semplicemente ‘magico’, dove ho avuto la più forte sensazione di essere fuori dal mondo.

Martedì 17 Agosto La notte è stata un poco agitata, ventosa di bestia, ma la tenda dell'Eros ha resistito, e abbiamo dormito sul terreno perché uno dopo l’altro i materrassini hanno ceduto. Per non parlare degli spaghetti da digerire. Intorno alle otto pensiamo: ‘Uè fiò! Sa fèmm?’ Mah... andiamo al piccolo shop a prendere dei biscottini per colazionare, e così come dei pesci lessi perdiamo il tour in 4x4 nei vasti possedimenti del Lodge, che porta fino al fiume Uniab. Allora pigliamo il nostro automezzo e usciamo verso Sesfontein, pensando ‘fino a dove arriviamo, arriviamo’ sapendo che la strada è consigliabile solo ai 4x4. Attraversiamo per qualche decina di chilometri il Kaokoveld del nord, incontriamo villaggi assurdi di poche case o baracche, sempre con il mulino a vento per estrarre l’acqua dal sottosuolo. Viene strano ensare che della gente ci abita. Da buon navigator/organizer mi accorgo che qualcosa non va... Vacca! Non nel senso di animale sacro, ma nel senso che abbiamo sbagliato strada. Sesfontein è dall’altra parte. Turna indrè, ripassiamo il check point veterinario, ripassiamo davanti al lodge, e andiamo nella giusta direzione.

Proseguiamo per un po’ nel classico paesaggio fatto di cespugli disseminati qua e là, qualche raro albero spoglio, e migliaia di pietre depositate sul terreno, fenomeno che si pensa dovuto ad un’esplosione vulcanica ancora tutta da dimostrare. E' in ogni caso un panorama unico. Decidiamo di tornare al camp per mangiare qualcosa al bar. Salsiccia grigliata, patatine fritte e Windhoek Lager - strano mangiare nel capanno che sembra fatto da un giardiniere, con intorno un bel praticello all'inglese, e di li a pochi metri inizia il nulla per centinaia di chilometri - poi l'idea: riparare il filo del contachilometri che s’è rotto a causa delle buche, ed è andata bene che già la convergenza dell'assale anteriore se n’era andata a quel paese. Il vento nel frattempo è aumentato fino a sollevare una tempesta di sabbia che ha offuscato il sole, altro fantastico spettacolo dell’Africa. Scende la notte, riparte il gruppo elettrogeno, ci illuminiamo d’immenso.

Mercoledì 18 Agosto Ci alziamo presto, molto presto, talmente presto da vedere sorgere il sole. In serata dobbiamo essere a Swakopmund, a 450 chilometri. Ci preoccupa la distanza da percorrere senza conoscere le condizioni della strada. Per precauzione riempiamo un paio di taniche di benzina, e via col sole che ci saluta albeggiando. Ora che il tachimetro funziona, e da vero ragioniere Ska ci informa ogni 30 minuti sulla velocità media di crociera. Al primo rilevamento risulta essere di ben 58 Km/h: se va sempre così possiamo stare tranquilli. E’ però un problema viaggiare col sole alle spalle, in quanto l’ombra di eventuali buche cade in avanti e le vedi solo all’ultimo momento, specie quando si tratta di letti di fiumi in secca. Sono in pessime condizioni e se arrivi a 90/100 all’ora picchi giù una frenata spettacolare con un'altrettanto spettacolare botta sull'asse anteriore. Questo è meglio non dirlo all’Avis.

Con un’elevata velocità media, molto sopra al previsto ci assicurava Ska, arriviamo check point di ‘Springbok Water’ già alle 9.30 ed entriamo nel mito: ecco la Skeleton Coast Wilderness Area. Attraversare questa zona sarà fantastico: da Palmwag a quota 800 metri slm, scendiamo fino al mare passando attraverso semi-desertiche ed enormi vallate di 20 o 30 chilometri, tra montagne dalle forme più assurde, fino a scorgere l’Atlantico ad alcuni chilometri dal bivio tra Terrace Bay ed Henties Bay. Poi la strada corre parallela al mare per 250 chilometri, ma lo si vede raramente perché è leggermente interna.

Decido comunque di raggiungere la spiaggia, con una breve passeggiata di 2 o 300 mt. stando in collegamento radio con l’equipaggio (siamo organizzati vero?). In questa mezz’ora ho vissuto un po’ dell’essenza della Skeleton Coast: sole a picco cocente, scheletri di animali e pesci, vento talmente forte dall’interno che soffiando cancella il rumore delle onde, udibile solo a pochi metri dall'acqua (tanto che il mare sembra un filmato senza audio !), sempre questo vento vi spinge addosso delle particelle di sabbia caldissime che fanno quasi male. Questo è ciò che aspettava i numerosi uomini naufragati qui, e sopravvissuti al naufragio stesso, con l’aggiunta di notti freddissime. Cavoli, ma che casso ci fa certa gente a Rimini? Se sei vivo devi vedere a stare in certi posti almeno una volta nella vita. Comunico tutte le mie emozioni via radio all'equipaggio, che tuttavia non si dimostra molto interessato, ribadendomi la necessità di arrivare a Cape Cross in tempo per il pranzo. Quando hanno fame non ragionano più, per cui torno e raggiungiamo Cape Cross.

Snacchiamo e poi andiamo a visitare la colonia di Otarie del Capo, altra gran figata, non nel senso che ci sono le foche (bisogna intendere il gioco di parole…), ma proprio inteso come una meraviglia della natura (la foca appunto). Stese sugli scogli, sono circa 30 mil ale otarie che danno luogo ad un incredibile show: come ci si avvicina, senza ancora vederle, si sente un forte rumore, come un abbaiare di migliaia di cani, per non parlare dell’odore intenso di pesce stantio. Poi ve le trovate davanti a migliaia, un po’ sulla spiaggia e un po’ in mare, e qualcuna che si avvicina fino al muretto di delimitazione per la gioia dei turisti. Foto a raffica, e dopo un’oretta ci rimettiamo in viaggio per Henties Bay. Il cellulare entra in ‘roaming’, stiamo tornando alla civiltà... Arriviamo a Swakopmund e cerchiamo la casa per cui abbiamo una prenotazione. la troviamo. Come bellezza, pulizia e funzionalità, siamo a 4 stelle, ma con l'aggiunta di una suggestione romantica da favola: la camera ha con un’enorme oblò/finestra che guarda direttamente alla spiaggia e al tramonto sull’Atlantico. Cavoli ce ci fosse qui la hostess della Swissair invece di quei due…

Giovedì 19 Agosto Bella dormita in quel posto da favola. Facciamo poi colazione nel piccolo loungue dove ci attendono Anke, e la sua assistente, Bianca. Bianca è una giovane ragazza dai tratti vagamente english: biondina, di buona statura, tettine piccole che spuntano dritte, parla poco ma scambia degli sguardi... Si alza per prendermi lo zucchero dallo scaffale, e… le si solleva la maglietta lasciando scoperto il pancino nudo. Penso che non me ne voglio più andare da quà, e cerco di mangiare il più possibile per prolungare la permanenza, ma sono trascinato fuori da quei due menefreghisti che vogliono andare in centro.

La corrente di Benguela ha colpito nella notte e una fitta nebbiolina tipo ‘Valpadana’ copre la costa. La cosa buffa è che verso il deserto il sole riprende a splendere. In questa cittadina gira molta più grana che nel resto della Namibia. Molti sono ben impiegati nella vicina miniera di uranio di Rossing, gli altri si godono i frutti del luogo turistico più frequentato di tutta la Namibia. In questo angolo pan-germanico, passeggiamo spassionatamente, approfittando anche di un internet point per controllare l’andamento dei titoli... in sostanza fatichiamo ad immaginare di essere in Africa. La Namibia sfugge dallo stereotipo africano dell’immaginazione europea, fatto di negretti, villaggi, e con 30 anni di ritardo sullo sviluppo economico e sociale. C’è anche questo, e lo abbiamo visto nel Damaraland, nelle piste verso il Kaokoveld, e chissà cos’altro avremmo trovato più a nord, vicino all’Angola, ma un simile tipo di africanità (?) è sicuramente da ricercarsi altrove, Zimbabwe o Zambia, tanto per stare in zona, ma convinto che la Namibia offuscherà a breve il Sudafrica e in secondo tempo anche il Kenya, ormai meta di un turismo d’élite. La nebbia persiste e visitiamo così il locale museo, molto interessante visto che, oltre a reperti, animali imbalsamati e suggestive fotografie d’epoca, descrive accuratamente l’estrazione dell’uranio.

Venerdì 20 Agosto Mi alzo felice di potere andare nel loungue a fare colazione. Intrattengo finalmente quattro chiacchiere con Bianca, che si rivela simpatica ed interessate. Decidiamo di passare la mattinata insieme lungo la spiaggia, ad osservare il volo dei gabbiani, sentire il suono delle onde, respirare la brezza marina e… ma come faccio con quei due che stanno con me? Dove vanno senza di me, cioè il loro tour manager ? Soprattutto per questo motivo decido di non sfruttare la possibilità. A Walvis Bay, maggiore porto della Namibia e città universitaria, un posto veramente squadrato con vie che si incrociano tutte a reticolo, non c’è proprio nulla di bello. Siccome la guida - la Lonely Planet, ormai assunta come Bibbia, di cui leggiamo sempre un paio di pagine ad alta voce prima di dormire - dice ‘… città con un fascino particolare che non tutti riescono a cogliere’, ci impegnamo. Chiediamo l’autorizzazione a visitare il porto, dove abbiamo la conferma che non c’è proprio nulla. Avessimo un 4x4 potremmo trottare sul Sandwich Harbour, magnifico posto dove osservare gli uccelli... ma non l'abbiamo e punto. Dopo pranzo, Ska propone la scalata alla ‘Dune 7’, attrazione nella zona desertica retrostante, equi ci divertiamo un mondo a scalare e correre giù dalla duna di un centinaio di metri, con ottimo conseguenze digestivo e sabbia in ogni parte dei vestiti. Il giorno seguente restiamo a Swakopmund. Decidiamo per il Velwitschia Drive, il tour nell’area semi-desertica che culmina in un sito pieno di Velwitschia appunto, la tipica e famosa pianta fossile del deserto namibiano. Ce n’è una che ha 1500 anni, enorme, rinchiusa da un recinto, non penso per evitare di farla scappare, ma probabilmente per proteggerne il grande valore botanico dai vandali.Nel pomeriggio passeggiamo sulla spiaggia e dal vecchio molo ormai sepolto dalla sabbia, uno dei tanti simboli della vittoria dell’ambiente sull’uomo, ci godiamo l'ennesimo tramonto e meraviglia della Namibia ci regala, una cosa semplice che richiede solo un po’ di puntualità, ma molto romanticismo per goderne appieno.

Domenica 22 Agosto Sono triste. Devo lasciare questo posto e… lasciamo perdere. Cerco di telefonare ad alcuni nel Namib Naukluft Park dove siamo diretti, ma i numeri non sono aggiornati. Chiedo a Bianca, che mi fa avere tutti i numeri aggiornati, scritti con la sua manina su un bigliettino, sul cui retro scorgo… il suo numero di telefono. Mi accorgo che l'idea di stare lì ancora una settimana fino alla fine della vacanza non mi sfiora, o forse sì, giusto un po', ma ho da entrare nel mito: il deserto del Namib.     continua "Diario di viaggio in Namibia"

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