Pozuzo: terra promessa


Inserito il: 21/11/2007 da Gabriele Poli
Email: poligabriele@interplanet.it
Sito web: http://www.viaggiatorionline.com/profile.asp?id=Gabriele+Poli
Letto 1934 volte

 Clicca per ingrandire Clicca per ingrandire Clicca per ingrandire Clicca per ingrandire

Alle ore 14.15 siamo a quota 3000 metri. Quasi tutti scendono a pranzare, ma io, unico straniero, decido che mi sta bene una tavoletta di cioccolato e un po' d'acqua. Gli altri, grandi e piccoli, si abbuffano. Visto che sono peruviani, sapranno certo ciò che fanno. Da parte mia, la paura del soroche, il mal di montagna, mi consiglia prudenza. Si riprende a salire. Inizia a piovere. Si sale. 3800 metri, piove... 4000 metri, nevica... Brutta storia, speriamo bene. Il nevischio si muta in tempesta di neve, l'autobus arranca. Prego che non si fermi, perché, con le gomme lisce, potrebbe anche non ripartire. Lungo la strada, auto rovesciate, camion in panne e bus che non ce la fanno più... ma per fortuna il nostro avanza, resiste. Il mal di montagna inizia a mietere le prime vittime. All'interno dell'autobus c'è silenzio totale. I genitori aiutano i figli sofferenti passando batuffoli di cotone imbevuti d'alcol sulle narici. Continua a nevicare. Ticlio, 4818 metri d'altitudine, finalmente in cima. Ma ora, forse, è ancora peggio. La strada scende ripida e tortuosa verso La Oroya.

"Cazzo, autista, rallenta!" I sacchetti di plastica si riempiono di succhi gastrici e cibo non digerito.

"Porca miseria! Perché avete voluto rimpinzarvi?"

Io sto bene, provo solo una strana sensazione: sudore alla schiena e freddo allo stomaco. Mi copro l'addome con la giacca e respiro piano cercando di mantenermi rilassato. A La Oroya, il peggio è passato. Ora scenderemo verso l'Antisuyo, giù fino ai 3000 metri di Tarma e ancora più in fondo per raggiungere gli 800 metri di La Merced nella Selva Central. Il buio mi avvolge quando scendo dall'autobus alle otto di sera. Prendo al volo il primo mototaxi e mi avvio in Plaza de Armas. La Merced è in festa per il festival del caffè. Ora mi concedo una notte di riposo nel miglior albergo del centro. Un tallarin saltado con carne mangiato di fretta e senza voglia, una buona birra ghiacciata, due passi per la plaza ad ammirare i carri allegorici che transitano fra due ali di folla, e per scoltare un paio di bande musicali che suonano contemporaneamente motivi differenti, poi la stanchezza ha il sopravvento. La camera pare pulita. Accendo il ventilatore e la TV e mi metto sotto la doccia fredda. L'acqua calda non esiste.

22 luglio 2000 (sabato). Alle tre del mattino, suona la sveglia. Con la testa pesante e gli occhi gonfi, inizio a vestirmi. Porca vacca! Quel gran figlio di "buona scarafaggia" non poteva trovare un posto migliore dei miei pantaloni per la sua siesta? L'insetto impaurito mi scende in fretta dalle gambe e si nasconde sotto il letto. Va bè, deve pur vivere anche lui.

Esco in una deserta plaza de Armas, scuoto il conducente di un mototaxi che sonnecchia appoggiato al manubrio e mi faccio accompagnare al terminal terrestre. C'è un combi in partenza. Ho la fortuna di essere l'unico "gringo" e, come tale, di vedermi assegnare il posto migliore, a fianco dell'autista. Mi vergogno un poco, ma tant'è. Si parte. La strada è asfaltata e si può correre, ma dopo pochi chilometri, oltrepassato il ponte sul rio Colorado, abbandoniamo la via che porta a Satipo, voltando a sinistra in direzione di Oxapampa. L'asfalto è solo un ricordo. Si inizia a saltare, ma comincia anche l'avventura. Buche, fango, dossi, frane. Si va. Passiamo rasentando piantagioni di banane e caffè, attraverso la foresta amazzonica. Sempre più dentro. L'emozione è forte. Poco più di tre ore e giungiamo a Oxapampa. Cambio di combi e via. Ora inizia il tragitto più difficile. Accanto a me è seduto un ragazzo biondo, occhi azzurri. È il primo pozuzino che incontro.

La strada diventa sentiero. Si cammina lentamente guadando torrenti, sfiorando cascatelle, superando momenti difficili. Il rio Huancabamba scorre impetuoso laggiù in fondo, oltre il ciglio della strada a cinque centimetri dalle ruote del nostro veicolo. Massi, smottamenti, frane e alberi sradicati costringono l'autista a pericolose manovre. Più volte sbatto il capo contro il tettuccio e sempre più spesso mi chiedo se riusciremo ad arrivare alla meta. Confesso di provare timore, ma questa è la vita che cercavo e questo è ciò che ho ottenuto. Ho paura, ma sono soddisfatto! Il ponte di "Prusia"... ancora tre chilometri e sarò a Pozuzo.

Andrés Egg mi accoglie con un abbraccio. Piange. Mi commuovo anch'io. Sembra impossibile che un incontro durato pochi giorni si sia trasformato subito in amicizia e che, a distanza di tre anni, questa si sia addirittura rinforzata. Impossibile, però è così. C'è baraonda nel villaggio. I coloni sono in fermento perché domani, 23 luglio, inizieranno i festeggiamenti che culmineranno martedì 25, anniversario dell'arrivo in queste lande della desolata schiera di emigranti tirolesi e prussiani. 141 anni fa, infatti, giunsero fin qui alcune famiglie di contadini austriaci e tedeschi alla ricerca di una mitica terra promessa. L'incredibile viaggio durò più di due anni e i tenaci colonizzatori dovettero subire tribolazioni, sventure e morti per riuscire a realizzare il sogno di una vita migliore.

Una piccola camera nella rustica casa di legno del fratello di Andrés è il rifugio che accoglie il mio corpo malconcio. Poche ore di sonno, poi domani parteciperò pure io ai preparativi della festa.

23 luglio 2000 (domenica). Una leggera pioggia entra dalla piccola finestra priva di vetri e mi inumidisce il viso, svegliandomi. Marmellata di papaya, banane fritte e bollite, burro, pane croccante, uova strapazzate, succo di squisiti arancini, tutto di produzione della famiglia Egg, mi attendono al tavolo del "Tipico Pozuzino", assieme ad un curioso e sdentato vecchietto di Lima che non mi mollerà più fino al giorno della partenza. Da pochi mesi, anche a Pozuzo è arrivata la tecnologia e nel centro esistono due computer tramite i quali è possibile comunicare via internet. C'è un solo inconveniente: il telefono funziona a raggi solari e, se le nubi coprono il cielo per più di qualche ora, le comunicazioni si interrompono. In tal caso, è giocoforza rimediare con la vecchia radio ancora efficiente e sicura. Le giornate successive trascorrono veloci, riempite da musica, danze, pranzi e bevute. E' una pappatoria monumentale.

Ciao amici. Arrivederci a Pozuzo.

Torna indietro

Per Votare/Commentare chiudi questa finestra e clicca Ti è stato utile (ti è piaciuto) questo contributo? Votalo

CARTACEO-SANGREAL.jpg

I Top LIKE...
Le destinazioni
Viaggi Oceania Viaggi Africa Viaggi Europa Viaggi Nord America Viaggi CentroAmerica Viaggi Caraibi Viaggi SudAmerica Viaggi Asia Viaggi Medio Oriente Clicca sul Continente Viaggi ZONA_ITALIA