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Etiopia: ora la meta è Dallol

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Dallol, un luogo senza eguali che ci riporta alle origini del pianeta. Per i Dancali è il nome degli spiriti maligni che lo abitano, di Antonio Biral - Inviato il 28 giugno 2013 da Antonio Biral.

Etiopia: ora la meta è Dallol

Sito o fonte Web: www.antoniobiral.com (...) Ci troviamo sotto le pendici del vulcano Erta Ale, solo 80 chilometri ci separano da Dallol, ma per arrivarci di chilometri ne dovremmo fare 1000, dei quali circa la metà su pessime piste. Tutto ciò perché le autorità governative non ci hanno concesso l'autorizzazione a proseguire.

Abbiamo ripercorso il tragitto fatto all'andata e, a Tendaho, per accorciare, deviamo per una stradaccia sterrata che risale l'altopiano. Centocinquanta chilometri che ci sono costati una serie di forature prima di arrivare a Weldiya dove imbocchiamo "La strada degli Italiani" che percorriamo fino a Macallè per poi dirigersi verso Agulà. Da qui discendiamo l'altopiano per una pista di difficile percorrenza che porta a Berahale. Tranne la parte iniziale, il percorso corre dentro le strette gole di un tortuoso alveo di torrente, tra ostruzioni ghiaiose e massi di rocce trascinate giù da impetuose acque.

È una "felicità" quando rimaniamo bloccati a rimuovere gli ostacoli, a livellare le buche e a spingere, per riprendere ad andare avanti. Immancabili le imprecazioni, ma non giustificate, perché qui le macchine hanno dei buoni motivi per rompersi e, nemmeno a dirlo, eccoci subito accontentati con l'ennesimo guasto.

Questa volta si tratta del tubo di scarico spezzatosi in un punto difficile, proprio nella congiunzione con la testata del motore. Ciò nonostante, sebbene respirassimo più gas di scarico che aria, abbiamo continuato fino ad arrivare a Berahale.



L'indomani, Girma, con nient'altro che del filo di ferro, strisce di camera d'aria e pezzi di legno incastrati, è riuscito a sistemare quel tanto da poter andare avanti. Speriamo di non dover ingoiare troppo gas. Dopo aver ottenuto dal comando militare l'autorizzazione a proseguire, sotto scorta armata, ci siamo rimessi in pista per scendere giù nella Piana del Sale.

Stiamo andando verso un luogo il cui nome non ci suona nuovo: Ahmed Ela, quel villaggio che ci vide arrivare una notte di nove anni orsono. Il ricordo di quella massacrante marcia di sette ore è ancora ben vivo.

Le venti capanne che ricordavo, sopra l'alta sponda dell'arido torrente, ora sono diventate quasi dieci volte tanto. Ovunque si nota la presenza di militari. Con loro è arrivata anche la birra, di produzione nazionale, e le solite bibite, quelle che hanno invaso ogni angolo del globo. Vengono messe a rinfrescare dentro un buco scavato per terra e poi ricoperte con un sacco bagnato. Avendo pazienza di aspettare un bel po' ore, quelle bottiglie, che prima uguagliavano la temperatura ambiente di 45°C, le ritroviamo pressoché com'erano, solo qualche grado in meno. Ci dicono che se vogliamo berle più fresche dobbiamo farlo entro le prime ore del mattino, meglio se all'alba, prima che sorga il sole.

Il giorno dopo assistiamo a uno spettacolo sorprendente. L'arrivo di interminabili file di cammelli, asini e muli che giungono dall'altopiano: sono le carovane del sale. Migliaia di animali, condotti da pochi uomini, vengono radunati dentro l'ampio greto del torrente sottostante il villaggio per essere liberati dal carico: ghirbe con l'acqua, farina, stuoie per i giacigli, foraggio per gli animali e qualche cosa da poter vendere o barattare lungo il tragitto, come qui ad Ahmed Ela.

Rimaniamo affascinati a osservare queste scene irreali. Immagini che paiono riemergere da un remoto passato e, come un miraggio, riverberate nel presente. Uomini e animali, in perfetta simbiosi, si apprestano a trascorrere la notte. Pronti a ripartire alle prime luci del giorno per andare a caricare i blocchi di sale nel lago Assa Ale ("Assa" rosso, "Ale" monte), nome preso da un imponente masso di magnesio divenuto rosso per ossidazione. Unico rilievo che si erge sopra la piatta distesa, intrappolato come una nave nella morsa della banchisa polare.



Per far arrivare il sale sui mercati dell'altopiano, le carovane devono affrontare un massacrante tragitto di centottanta chilometri, tutto in salita. Si parte da centoventi metri sotto il livello del mare, della Piana del Sale, per raggiungere le località di Macallè e Adigrat, un dislivello di 2500 metri. Ci troviamo nella stagione invernale, quella secca, quando la piana è completamente libera dall'acqua che nei mesi estivi allaga le parti più basse, proveniente dai torrenti che scendono dall'altopiano. In particolari situazioni il livello può superare l'altezza di un metro. Ma dodici ore al giorno di spietata insolazione riescono a prosciugare, con impressionante rapidità, ogni residuo liquido facendo riemergere la desolata distesa.

Ahmed Ela "il pozzo di Ahmed" questo villaggio di capanne punto di partenza e di arrivo degli uomini che ogni giorno si addentrano nella piana per dare inizio al massacrante lavoro di escavazione del sale. Due ore di cammino portandosi dell'acqua e una misera quantità di cibo, appena sufficiente per superare la dura giornata di sette interminabili ore sotto l'impeto del sole che, al culmine, porta la temperatura a superare i 60°C. continua "Etiopia: ora la meta è Dallol" (Pubblicato il 28 giugno 2013) - Letture Totali 134 volte - Torna indietro

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