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La panchina e la sua gente

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La panchina (diminutivo di panca, dall'antico sassone banch) è solitamente un elemento dell'arredo urbano: si tratta di un sedile che può ospitare più persone, solitamente situato all'aperto in aree pubbliche come piazze o parchi, ma questa versione è decisamente interessante, di Adolfo Carli - Inviato il 21 novembre 2008 da Adolfo Carli.

La panchina e la sua gente

Qualche anno fa confessai ad alcuni amici che, ogni tanto, mi piaceva prendere il giornale o un libro e andare a sedermi sulle panchine dei giardini vicino casa mia per leggere. Immancabilmente vedevo spuntare sui loro volti un sorriso malizioso, subito accompagnato dalla fatidica frase "Allora fai come i pensionati o i vecchietti che passano le ore seduti sulle panchine con lo sguardo perso nel vuoto".

E’ questo lo stereotipo più diffuso che ai nostri giorni identifica “lo stare in panchina”?



Anche nel gergo sportivo lo stare in panchina, inesorabilmente identifica un giocatore lasciato sempre tra le riserve e pertanto a bordo campo. Così oggi, nella nostra società contemporanea ipertecnologica, lo stare in panchina è socialmente considerato una specie di anomalia sociale.

Sedersi sulla panchina è come eludere o sottrarsi a quelle sottili regole non scritte, che regolamentano l’efficienza della società dei profitti e dell’economia imperante. Se non sono anziani e decrepiti, donne incinte, mamme o nonni muniti di carrozzine, chi siede sulle panchine è una sorta di persona strana e poco raccomandabile.

Pertanto, l’uomo o la donna adulti che fruiscono della panchina “pubblica” sono, nel migliore dei casi, considerati sfaccendati, disoccupati, sbandati, o vite di riserva, mutuando il termine dal gergo sportivo.



Non penso di esagerare se affermo che dopo l’11 settembre, quando gli Usa hanno diffuso e in qualche modo imposto la loro angoscia ed ansia nel mondo, alcuni elementi e valori della nostra storia urbana, in particolare mi riferisco allo spazio pubblico, hanno subito forti limitazioni.

Oggi, le panchine sono additate come luogo di possibile rifugio per gente sospetta: barboni, poveri, drogati, extra-comunitari, gente di malaffare, precari, persone senza fissa dimora e, in generale, personaggi non graditi ad alcune amministrazioni pubbliche. Spesso, sostare su una panchina in città, nell’imperante logica della sicurezza, è visto sempre più con sospetto.

In diversi comuni in Italia e in importanti centri urbani del mondo intero, molte panchine sono state eliminate o sono repentinamente “sparite” dall’arredo urbano proprio per scoraggiare i “non desiderati” a sostare, a trovare rifugio, a creare opportunità di aggregazione ed incontro.



Possiamo facilmente verificare come nelle nostre città alcune comunità di immigrati hanno fatto delle panchine, di alcuni giardini o piazze, un vero e proprio territorio, ben identificato, di aggregazione domenicale. Le usano come area per un pic-nic, per l’acconciatura dei capelli, per interminabili chiacchiere, o semplicemente come punto di riferimento dove socializzare.

Vorrei subito chiarire che non mi riferisco alle panchine dei belvedere, delle baite di montagna, dei lungomare delle rinomata località di villeggiatura, o a quelle di fronte al laghetto ameno.

Tali luoghi sono “disegnati”, infatti, per offrire e garantire anche un arredo urbano consono ai soldi che il turista spende. Ecco quindi che la sosta sulle panchine non è casuale, ma rientra in una logica pianificata ed attesa.

Quello di cui sto scrivendo, invece, sono le panchine urbane: quelle dei giardini incolti di periferia, dei quartieri degradati, dei viali chiamati viali anche se non ci sono alberi, come ovviamente anche di quelle dei giardini del centro storico delle città. continua "La panchina e la sua gente"

http:// (Pubblicato il 21 novembre 2008) - Letture Totali 83 volte - Torna indietro

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