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Macchu Picchu: la città perduta degli Incas

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Racconto e impressioni di viaggio nella fascinosa Macchu Picchu, Perù, di Adriano Socchi - Inviato il 13 gennaio 2004 da Adriano Socchi.

Macchu Picchu: la città perduta degli Incas

Sito o fonte Web: www.adrimavi.com Cosa non è ancora stato scritto sulla località più famosa e spettacolare dell’intero continente sudamericano? I romanzi si sprecano, gli studi, storici e archeologici, si susseguono, eppure Machu Picchu resta una città sconosciuta e segreta. Sono ormai passati novant’anni dalla sua scoperta, ma la celebre "Città perduta degli Incas" non ha perduto nulla dell’alone di mistero che la circonda.



Dopo più di due secoli d’infruttuose ricerche, il 24 luglio 1911 l’archeologo statunitense Hiram Bingham, guidato da Melchor Arteaga, un contadino della zona, scoprì finalmente la città di Machu Picchu. In realtà le rovine trovate da Bingham non erano quelle che lui e i suoi predecessori avevano invano cercato, della città perduta di Vilcabamba e si trattò quindi della scoperta ancora più sensazionale di una città Inca di cui non si conosceva neppure l’esistenza.

La scelta del nome fu scontato: Machu Picchu, appunto - che in lingua quechua significa "cima vecchia" - cioè il nome della montagna sulla quale la città giace, anche se in poci tempo il nome avrebbe avuta una ben altra risonanza. Allora Bingham non poté rendersi subito conto della grandezza e dello stato di conservazione del sito per via della lussureggiante vegetazione che, in buona parte, ricopriva gli edifici. Le cronache di quella gloriosa giornata citano la sua sorpresa quando, sul luogo, trovò insidiata stabilmente una coppia di indios che viveva di agricoltura sugli antichi terrazzamenti della città incaica.



Sono le otto del mattino quando con il treno locale partiamo dalla stazione ferroviaria di San Pedro, di Cuzco, verso Puente Ruinas e non Aguas Calientes, che è l’ultima fermata dei treni turistici. Il treno locale prosegue, infatti, fino a Quillabamba. La stazione di Puente è quella successiva ad Aguas, da cui dista, precisamente, due chilometri.

Il giorno precedente, in un’agenzia di viaggi, avevamo prenotato quattro posti, in seconda classe, alla modica cifra di 26 nuevos soles, circa 16000 lire. Il treno percorre i 112 chilometri in circa quattro ore. Il nostro è l’ultimo convoglio della giornata. Saremo gli ultimi ad arrivare alle rovine, ma anche a lasciarle in quanto il ritorno è previsto per le sei del pomeriggio.



Il treno abbandona la città di Cuzco risalendo a zigzag le inclinate pendici della montagna. S’immette poi, di volta in volta, nei binari morti per prendere la necessaria rincorsa utile per risalire la successiva rampa. Si procede in questa curiosa maniera per almeno una trentina di minuti, fino al passo denominato El Arco, a nord-ovest della città. Da questo momento in poi, si scende fino alla valle dell’Urubamba. Nonostante il lento procedere del treno, il viaggio è interessante per via del contatto umano che si ha con la gente.

Questo è infatti il motivo che ci ha spinti a preferire il treno locale. A differenza della littorina e dell’autovagon, riservati esclusivamente ai turisti, sull’affollatissimo treno locale gli stranieri come noi sono pochi e predomina la gente autoctona. Si sta stretti, è vero, nel mezzo di una bolgia di gente che sale e scende in continuazione dal treno, e si respira aria viziata dalle merci e dagli animali che essi portano con sé. Nel corridoio del nostro vagone stazionano una gabbia di polli e, addirittura, una capra. Aggiungeteci i sacchetti di spezie, le cipolle, i quintali di foglie di coca, e quant’altro, contenuti negli ahuayos, i rettangoli di stoffa delle donne, e non sarà difficile immaginare la babilonia.

Tra continui e ripetuti scambi di mercanzia, in mezzo a donne occupate ad allattare il proprio figlio, tra uomini intenti a discutere calorosamente su chissà quali argomenti, e giovani desiderosi e curiosi di scambiare parola con dei forestieri, arriviamo a destinazione a Puente Ruinas, la fermata di Machu Picchu, attraversando letteralmente il bel mezzo di un mercato. Una coda di minibus attende i passeggeri da portare alle rovine. Altri otto chilometri su per una strada sterrata e polverosa che, tornante dopo tornante, s’inerpica sugli imponenti cocuzzoli di roccia granitica che contraddistinguono il paesaggio, quello sulla cui sommità sorge la città di Machu Picchu. continua "Macchu Picchu: la città perduta degli Incas" (Pubblicato il 13 gennaio 2004) - Letture Totali 118 volte - Torna indietro



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