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Il cammelliere dell'Idehan

Racconti e Articoli di Viaggio

Ancora emozioni di sabbia, di Roberto "Robo Gabr'Aoun" - Inviato il 04 aprile 2005 da Robo GabrAoun.

Il cammelliere dell'Idehan

Bir El Gazeil. Dalla casermetta merlata, la pista scende dritta verso sud est mentre noi pieghiamo 90° a tutto Ovest, fuori tracciato, attraverso l’Hammada. E' un paesaggio selvaggio nella sua desolata aridità, ma con un fascino imperioso. Il Nulla assoluto ha sempre esercitato in me un’emozione travolgente, più ancora dei grandi erg di dune vive. Non c’è niente, assolutamente niente, nemmeno la sabbia. Solo pietre, un tappeto infinito e monotono di miliardi di pietre rotto solamente dalla polvere che la nostra auto lascia dietro di sé. Ad alcuni le piatte distese di sfasciume, desolate, roventi e prive di qualsiasi tipo di riferimentociò provocano un senso di vertigine o di panico, ad altri noia, per me rappresentano invece la più vera espressione, anche puramente psicologica, di quello che è il deserto.

Ho letto su molte guide rinomate ed articoli tematici sul Sahara che le Hammada sono paesaggisticamente poco interessanti. Non sono d'accordo: chi non viaggia attraverso un’hamadat non può conoscere uno degli aspetti fondamentali del Sahara, né può arrivare anche solo a sfiorare il senso della parola Vuoto, Nulla, appunto "tenerè".

Facciamo un ampio semicerchio a ovest per cercare il passaggio attraverso l’Adrar Ben Drich, il complesso montuoso che taglia da ovest ad Est tutta la parte settentrionale della Conca di Awbari, per dirigerci poi verso il Oued Nahia, che sfocerà nella piana sabbiosa che prelude all’erg Idehan all’altezza dell’omonimo pozzo di Nahia. Oltre l’Adrar, percorriamo una vasta piana di terreno cedevole. Non è nemmeno sabbia, ma polvere. All’orizzonte s’intuiscono i movimentati terrazzamenti del oued verso cui navighiamo e verso sud ovest un gruppo di rade tamerici. Un gruppo di tracce conduce verso di queste ultime e ci ritroviamo a seguirle. Avvicinandoci, scorgiamo dei baraccamenti. Arrivandoci, scopriamo che si tratta di un gruppo di costruzioni realizzate con container ormai deformati dalla ruggine, davvero malconci, posti intorno ad nucleo originario in mattoni di fango, ormai ridotti a rovine. Una tettoia di canne protegge una grande pompa meccanica e diversi pezzi della stessa sono sparsi tutt'intorno per decine di metri, insabbiati, mischiati a carcasse di animali, ossa ormai sbiancate dal sole, e rifiuti. E’ un paesaggio desolato ed angosciante.

Mentre volgiamo lo sguardo intorno, un uomo esce da un dei container. E’ un uomo del governo, l’incaricato alla custodia della pompa, ormai inservibile. Come per una punizione innominabile è costretto a vivere per mesi nel nulla assoluto con l'unica compagnia di un gruppo di pastori che ogni tre giorni risale dalle piane verdeggianti a ovest di Nahia fino a qui per rifornirsi di acqua. Il pozzo è, infatti, attivo. Gli lasciamo viveri, acqua ed indumenti e stiamo per ripartire quando notiamo, poco distante, un dromedario legato ad un palo. E' visibilmente malconcio. Decidiamo di avvicinarsi. Lo scopriamo in preda a continui attacchi dissenterici, ricoperto di piaghe e di insetti, e ci fa una gran pena vedere un animale in quelle condizioni. domandiamo il motivo di tanto malessere, e l’uomo non sa spiegarcelo. E' ammalato, questo è evidente, ma né lui né i pastori sono in grado di aiutarlo. Crede che molto presto raggiungerà i suoi simili i cui resti sono sparpagliati poco lontano dalle tamerici.

Ci improvvisiamo veterinari. In fondo la povera bestia non ha nulla da perdere. E' comunque condannato, ma almeno tentiamo di dargli un po’ sollievo, se non proprio di guarirlo. In effetti sembra solo raffreddato. Del muco cola copiosamente dalle narici e dagli occhi. Lo puliamo un po’ con le salviette umidificate, ma con attenzione. Pur malconcio, l'animale tenta di scalciare e mordere. ha un istinto di conservazione strabiliante. Facendo una stima a vista dei chili di peso per stabilire il dosaggio, e lasciando poi all’uomo una scorta sufficiente per ripetere la cura qualche giorno ancora, riusciamo a fargli ingerire dell’antibiotico in compresse. Con acqua ossigenata ed altri disinfettanti disinfettiamo alla meglio le piaghe, e anche queste bottiglie le lasciamo all’uomo, spiegandogli che non sono da bere ma da passare sulle ferite dell’animale. Dobbiamo naturalmente proseguire e ci accomiatiamo dall’uomo. E' sinceramente stupito di tutte le nostre attenzioni nei confronti del suo jamal, e forse un tantino bilioso in quanto sembriamo decisamente più preoccupati ed interessati al suo animale che a lui stesso. Lasciamo il pozzo alzando una cortina di polvere. Anto guida, ed io mi volto continuamenet indietro verso le tamerici. Vedo il dromedario che si allontana rapidamente tra le cortine di polvere e penso che mi piacerebbe poter sapere se le nostre medicine gli gioveranno oppure no, ma chissà se e quando ritornerò in questo punto del deserto libico, se mai ci tornerò... Così saluto l'animale in silenzio e un oceano di malinconia mi prende nel pensare ai miei adorati gatti che mi attendono a casa, in Italia.

lo vedo divenire indefinito nella rifrazione dell’orizzonte, e lo saluto per un’ultima volta prima di tornare alle mie mappe ed alle mie rotte. Sarà stata un’allucinazione, l’effetto del calore sulla sabbia o altro, ma mentre mi volto, con la coda dell’occhio mi pare di vedere il dromedario alzare la zampa, come in un saluto. Mi volto di scatto, stupito, ma non vedo più nulla. Solo il piatto orizzonte di pietre e la nuvola sottile ed immobile della polvere di Camilla che galleggia nell’aria ad indicare la via percorsa. Non riesco più a distinguere nemmeno le tamerici. In silenzio torno a guardare la pista davanti al muso del mio Nissan. Si sta alzando un forte vento da sud, ed abbiamo ancora molta strada da fare prima di sera. Di fronte all’immenso Idehan ritorno a pensare alla mia via. (Pubblicato il 04 aprile 2005) - Letture Totali 94 volte - Torna indietro



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