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Abden Hebi', Polizia Turistica

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Si fanno spesso piacevoli incontri nel Sahara della Libia, di Roberto "Robo Gabr'Aoun" - Inviato il 04 dicembre 2006 da Robo GabrAoun.

Abden Hebi', Polizia Turistica

Derji. Sto aspettando il mio amico Mahamed per scendere attraverso l’Hamada El Hamra verso Hassi En Nahia… Stiamo giocando a bocce nella piazza centrale, con diversi bimbi a farci da pubblico… Mohamed arriva in una nube di polvere, ricoprendoci di sottile sabbiolina frenando di traverso col suo vetusto Land Cruiser pick up. Vado a salutare l’altro Mahamed, un anziano di Ubari, esperto conoscitore di tutta la conca dell’erg Idehan e dell’erg Tahadjerit.

Un giovanotto in tuta da ginnastica e Ray Ban a goccia esce dal baretto sulla piazza e si accosta al nostro gruppo. Lo noto, ma visto che non sembra dover chiedere nulla continuo a discutere con gli amici libici il percorso che voglio intraprendere. Stendo la carta a terra e, spiaccicando il poco arabo che conosco, stilo un itinerario di massima, doverosamente fuori pista, verso alcuni pozzi abbandonati un tempo su trafficatissime carovaniere ormai in disuso. Mi accorgo che il tizio sta sempre lì… Ha un’espressione che non mi garba granchè, ma mi rendo conto che i miei amici lo conoscono in quanto ogni tanto gli rivolgono qualche breve frase… Mi sollevo dalla carta e gli porgo la mano con un sorriso, presentandomi.

"Hello. I know who you are, Robo Gabr’Aoun…" risponde senza esprimere alcuna emozione dietro le sue lenti riflettenti. Con aria di gelido distacco, mastica un fiammifero con la capocchia di zolfo celeste. Lo cheche che indossa stride fortemente con la T-shirt a righe colorate e con i calzoni della sua tuta in trilacetato lucidissimo…Non mi piace: a pelle davvero non mi piace… Chiedo a Mohamed se anche lui è con noi… Certo: è Abden Hebì, di Sheba. Partiamo.

L’emozione della pista nelle spianate piatte e senza riferimenti è sempre grande: ci gettiamo in perpendicolare verso Ifertas per poi piegare verso Gazeil. Siamo un centinaio di metri spostati ad oriente dei punti gps che avevo calcolato in Italia a tavolino… Non vedo più Dario col suo Rocky… Lo chiamo per radio. "Sono incollato sui tuoi punti. Le seguo circa 100 metri ad ovest di dove state viaggiando voi." Esulto. E' sempre una soddisfazione constatare che la navigazione era stata ben preparata… Non mi ricordo di Abden Hebì perché l’elettrizzante sensazione di correre su un serir piatto cancella ogni altra cosa: scie di polvere lunghe centinaia di metri segnano come tracce di aerei nel cielo il passaggio di ogni auto, e la pianura sembra percorsa da un gruppo di cavalli al galoppo sparsi nel raggio diversi chilometri, distanti centinaia di metri, tutti lanciati nella medesima direzione… E’ uno spettacolo grandioso. Sembra che dardi solcgino l’hammada sterile e silenziosa.

Il sole è bassissimo sull’orizzonte quando raggiungiamo Bir Arkaht e, subito dopo, Gazeil e... mi ricordo di Abden Hebì. Sta preparando il fuoco, e ha ancora con i suoi ray ban sul naso. Lo aiuto a raccogliere la legna. Mi sorride… Mahamed mi invita a cenare con loro e mangiamo insieme pescando dal grande pentolone ricolmo di maccheroni e carne speziata. Dopo il tè chiacchieriamo un po’… Abden Hebì è un ufficiale della Polizia Turistica, affidatoci per motivi di sicurezza… E non dice mai una parola. La sera successiva, a sud di Hassi En Nahia, tra le sabbie dell’Idehan, parliamo invece tutta la sera, in inglese.Parliamo della sua famiglia, della sua città, della mia… Parliamo dei miei viaggi. La sabbia diventa una grande mappa, ed entrambi con le dita disegnamo erg e pianure… Raccontiamo di nostre esperienze passate, di progetti, ci ritroviamo persino a parlare di politica, di etnie, di razzismo, piaga di tutti i popoli, non solo del nostro occidente. Giorno dopo giorno, il ferreo poliziotto diviene persona, e il prevenuto viaggiatore, ovvero io, depone pian piano i propri preconcetti.

Quando giungiamo ad Ubari, dopo cinque giorni di durissimo fuori pista a cena incontriamo un Aben Hebì completamente diverso. Sfoggia un elegantissimo bubu, ed il suo cheche strascicato è sostituito da un turbante verde oliva, curatissimo. Mi accorgo che a tavola mancano delle stoviglie ed è Abden Hebì a precedermi, prendendole per noi, ed è sempre lui ad aiutare i ragazzi del Campo Irawan a portare in tavola il Cous Cous, e poi ad invitare me e Dario a fumare con lui il Narghilè al bar. E’ con lui che andiamo a chiacchierare con alcuni Twaregh nel campo, e tramite lui trattiamo l’acquisto di alcuni gioielli nigerini. Insomma, si è instaurato un rapporto splendido, e mi accorgo che dietro la scorza gelida dei primi giorni si nasconde in realtà un animo gentile e raffinato, un uomo dall’educazione all'antica, e dietro gli onnipresenti rayban si nasconde un volto dai lineamenti puri. Quest’ultimo particolare notato ovviamente dalle nostre donne...

Qualche sera dopo, nel Oued Naswha, in pieno Erg Tahadjeirt, Abden Hebì scatta una foto a tutti dopo aver fatto comparire una macchinetta automatica dal suo sacco militare. Poi sorride quando compaiono dalle intercapedini delle nostre portiere le bottiglie di vino italiano, coprendosi gli occhi per non vedere. L’ultima sera trascorsa insieme è a Gadamesh, dodici giorni dopo il nostro primo incontro a Derji… Ceniamo in centro, e lui ed i due Mahamed sono chiaramente nostri ospiti. Abden Hebì scatta, credo, una cinquantina di fotografie. Si fa riprendere con ognuno di noi, ed è palesemente emozionato… Parliamo a lungo quella sera, sotto il pergolato del baretto… Gli dono una mia giacca. Lui vuole donarmi il suo cheche, ma preferisco lo tenga con sé: così potrà ancora vedere tanta sabbia.

"La vedrà per i tuoi occhi" è la risposta.

Il suo abbraccio è il suo dono più grande per me. E’ talmente emozionato che gli cade la pistola… Ma non fa impressione a nessuno, perché tutti abbiamo capito l’uomo buono che la sua divisa - peraltro mai indossata - nasconde. Mi lascia il suo indirizzo, a Sheba, nell’oued Ajal. Siamo entrambi consapevoli che ancora ci vedremo, inch allah ovviamente, ma il distacco è comunque doloroso. Ci ritiriamo per la notte, ed al nostro risveglio lui ed i due Mahamed sono già partiti verso i 1200 chilometri che li dividono dalle loro case… Mi spiace non aver potuto salutarlo ancora, ma forse è meglio così. Un allontanarsi soffuso è meglio di un distacco netto ed inequivocabile come un’auto che parte e guardi scomparire all’orizzonte. Quest’uomo mi ha insegnato a spogliarmi dell’abitudine tutta occidentale di giudicare a prima vista, del fidarmi della mia prima impressione. Mi ha lasciato ricco di un nuovo modo di guardare agli uomini, oltre le apparenze, oltre le loro fragili difese. Mi ha lasciato ricco di una nuova consapevolezza, quella dei limiti del mio conoscere l’uomo che mi sta di fronte, del mio saper ascoltare con l’anima, ben diverso dal semplice sentire, del mio saper guardare con occhi scevri da preconcetti, dal guardare fuggevole della nostra società. E mi ha lasciato ricco di una nuova amicizia che non necessita di frequentazioni, telefonate, scambi epistolari… c’è a prescindere da tutto ciò. Ed è meravigliosa proprio per questo suo esistere al di là di qualsiasi prova.

E non avrà bisogno di leggere queste righe Abden Hebì per sapere quant’è profonda la mia stima ed il mio affetto nei suoi confronti. L’amicizia nata nella sabbia non ha bisogno di parole. Si nutre di silenzi. L’amicizia nata nella sabbia non ha bisogno di prove e segni, effimeri e passeggeri nella sabbia dov’è cresciuta. C’è, e è questo il punto, l’unico punto veramente importante: il sapere che, da qualche parte nel mondo, ci sono un Abden Hebì ed un RoboGabr’Aoun,che ogni tanto si ricordano… e che sempre saranno amici. (Pubblicato il 04 dicembre 2006) - Letture Totali 88 volte - Torna indietro



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