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Rhum in the room

Racconti e Articoli di Viaggio

Resoconto di uno strano e bel viaggio nelle isole Filippine, di Giorgio Lucchini - Inviato il 10 gennaio 2004 da Giorgio Lucchini.

Rhum in the room

Sito o fonte Web: giorgiolucchini.altervista.org Un pugno nello stomaco: questo era Manila alle 8 p.m. Ora locale. Dopo due anni ero riuscito a convincere il mio amico (e per l'occasione) guida Roberto, a portarmi nelle Filippine con lui. Eravamo partiti il 13 gennaio dal Catullo, e subito la situazione si era presentata piacevole: era arrivato in tempo limite, quando cominciavo ad innervosirmi, ma su una limousine...

Non si poteva fare a meno di ridere! Dopo una ventina di ore di viaggio eravamo atterrati a Manila. Il tempo di recuperare un albergo, di fare una doccia veloce, ed eravamo on the road. Fuori dall' albergo, in Mabindi street, comincio a vedere i primi bambini nudi e sporchi che dormono sui marciapiedi, famiglie intere vicino all' immondizia. I pochi svegli sono sorridenti e... Non ho paura. Mi sento impotente, scandalizzato, ferito, però cerco di amalgamarmi. Siamo in una zona abbastanza centrale, con molti alberghi, ristorantini etnici dal cinese, al vietnamita, al mediorientali, ma è costante un senso di decadenza, di una provvisorietà accompagnata alla miseria e alla sporcizia.



Mentre camminiamo, parliamo delle aspettative di vita di uno che ci abita, di quello che può sperare, di quello che può pensare di noi europei che arriviamo con i portafogli gonfi. Ho girato un poco il mondo, e ho visto ancora delle scene simili, ma dopo aver sentito ancora qualche “crock” sotto le scarpe, e aver evitato rigagnoli di dubbia provenienza, il pugno allo stomaco si fa sentire sempre più forte. Per farmi passare lo shock, ci fermiamo in un bar. Subito veniamo abbordati da un paio di ragazze.

Qualche parola in inglese, un vago appuntamento e andiamo alla ricerca di un posto dove mangiare. Ci infiliamo in un ristorante cinese. Affronto con i bastoncini ottimi noodles con carne e brodo. Visto che non è la prima volta, non faccio una brutta figura. Il bello di un viaggio è osservare... tutto il possibile. Oltre ai proprietari, che stanno mangiando anche loro, c'è un tavolo di uomini che hanno voglia di bere. Ci stanno riuscendo veramente bene. Alla terza birra decidiamo di andare a caccia di avventure. Ci fermiamo a cambiare qualche dollaro in un piccolo ufficio abitato da una signora incinta: la valuta è giusta e nessuno ci importuna. Comincio a rilassarmi.

Nel tragitto vedo ancora qualcosa delle mie prime ore a Manila, e la gola comincia anche a sentire i primi fastidi dell'inquinamento. Manila è una città che non si ferma mai, un moto perpetuo di Jeepney, automobili, pullman. Ho visto vigili con inutili mascherine, taxisti sputare i polmoni, pedoni fare testamento, ciclisti con la casa sul portapacchi, e non parlo di quelli che non hanno neanche la bici. Sono in completa confusione mentale quando entro nel bar di prima, eredità di un tempo in cui gli yankee spadroneggiavano. Un paio di minuti e naturalmente veniamo abbordati.



Conosco il Brazil e non voglio farmi spennare la prima sera... Mentre l' esperto si pavoneggia, io sono leggermente impedito per cui usciamo. Altra fermata, altro posto che non sembra molto diverso da quello di prima. Molte persone stanno giocando a biliardo, per cui ci accomodiamo a un tavolino in vista strada. 1,2,3 birre e non succede nulla. Roberto vede, e mi fa notare una ragazzina su zatteroni, provvista di zaino (la sua casa) che arranca sui malmessi marciapiedi di Manila.

“ Questa è messa male; non sa dove andare a dormire!” dice. Le sorridiamo perchè così ci va. Lei dice qualcosa che non riusciamo a capire attraverso i vetri. Tempo due minuti ed entra con un'amica. Non ci dispiace offrire da bere e fare quattro chiacchiere. Dopo aver comprato la prima bottiglia di Tanduay della serie, troppo ubriachi per avere pulsioni sessuali le facciamo dormire nella nostra camera. Non ci sono problemi a Manila.

Al mattina si va in escursione. Oltre l'umidità, l'inquinamento e un grosso caos, a Manila c'è Intramuros, la città vecchia, il quartiere della colonia spagnola con tanto di fortezza. Attraversiamo una vasta area pedonale con statue e gente che cazzeggia, qualche senzatetto, e vari giardini. Passiamo sotto un'arco massiccio e il colpo d'occhio cambia. Le costruzioni sono curate, enche se rimane sempre quella sensazione di decadenza, la stessa che ho provato guardando i grattacieli che sembrano già vecchi appena costruiti. L'architettura è tipica. Anche la chiesa di S. Augustin ha il perimetro chiaramente a prova di scasso.

Ceniamo in un ristorante vietnamita dove non c'è traccia di europei, un chowloon con noodles (una minestra di verdura con spaghetti di riso e... a scelta pollo o carne), buona con l' aggiunta di salsa di soia e peperoncino. Andiamo a letto presto. L'indomani abbiamo un volo da prendere: “Palawan the last frontier”. Prima di addormentarmi, comincio a pensare che queste Filippine non mi dispiacciono affatto, anche se sono piene di problemi, e la gente ha una vita molto dura... ho visto le impalcature di bamboo, che già a Hong Kong mi avevano colpito perchè mi sembravano improbabili, i poliziotti armati all' ingresso dei grandi magazzini, qualche stralcio di televisione. La realtà che non posso ancora comprendere, però mi sento tranquillo e continuo a sorridere alla gente, che ricambia forse perchè sembriamo “La strana coppia”.

Arriviamo agli uffici della Philippines Airlines alle 8.45 per scoprire che siamo in netto anticipo, proprio netto. Buttiamo via una giornata agli arresti domiciliari, leggendo qualche libro e continuando a guardare l' orologio che non vuole saperne di andare avanti, il tutto inframmezzato da schiacciamento di zanzare. Fra qualche ora saremo a Palawan... Fra qualche ora cambia lo scenario... Intanto, inganniamo il tempo osservando la varia umanità che affolla la sala d' imbarco.

Riconosciamo il fratello di Ronald Regan, qualche marine diretto a qualche base americana e una moltitudine di Filippini, che comincio a distinguere nelle varie discendenze: ci sono quelli di origine cinese, quelli di origine portoghese o spagnola, e quelli puri. Ognuno ha caratteristiche somatiche particolari. Il volo ci permette di vedere dall' alto vedo la miriade di isole che compongono l' arcipelago. Il pilota fa miracoli per immettersi dritto sulla pista combattendo contro varie raffiche di vento, e se devo proprio essere sincero per la prima volta in tutti i miei voli comincio a preoccuparmi, ma ci porta a terra a Puerto Princesa - capitale dell' Isola di Palawan - come da copione.

Dopo aver recuperato i bagagli, veniamo subito avvicinati da due “Driver” che il mio amico conosce da tempo, che ci portano ad un albergo. E' la mia prima esperienza su un trycicle, che sarebbe una specie di “Ape” senza cassone ma con una carenatura, il taxi per eccellenza a Puerto: comodo, colorato, simpatico e... sempre diverso perche ogni driver lo personalizza, come del resto fanno con le Jeepney.

E' un primo approccio con gli abitanti e... mi piace, sensazione che continua anche dopo, quando si va a bere una birra con i nostri amici driver: Rolli, Bernardo, Nito, Alfredo, Victor e tutti gli altri di cui non ho ben presente il nome, ma ne ho conosciuti tanti! La barista e' carina alla “Tratoria” e con una San Miguel fredda tra le mani sparscono anche le tante ore di volo e lo stress del viaggio. Alla seconda birra decidiamo di tornare in albergo a darci una ripulita prima del pranzo. Scopriamo la “Doccia Filippina”. Non è poi così male: si riempie un secchiello con l' acqua, ci si bagna e insapona e infine ci si risciacqua nella stessa maniera. Semplice no!?

Il primo impatto è buono: più pulita e meno caotica di Manila, sulla via principale non posso fare a meno di notare la curiosità che suscitiamo nei passanti. I commenti si sprecano ed anche i sorrisi. A un certo punto ci si accoda un bambinetto che vuol fare la strada con noi. Roberto gli prende la manina e ci teniamo compagnia per un bel pezzo di strada. Poi lo ritroviamo e lo accompagnamo per un altro pezzo. Arriviamo fino al mercato, dove scopro che la maggior parte delle verdure sono... a misura di filippini: mini cipolle mini, mini aglio, i famosi “Kalamansi” che sarebbero dei mini limoni minuscoli, ma dal gusto forte.

In albergo, qualcuno che vuol farci conoscere due ragazze, di quelle serie, non prostitute. L'idea non mi dispiace e lasciamo organizzare per la sera dopo. Non riusciamo proprio a stare chiusi in camera e usciamo ancora. Di fronte c'e' il ritrovo dei driver, a quell' ora sono ormai cotti. Facciamo un giro di birre, regalo qualche caramella a qualche bimbo, conosciamo un ragazzino orfano... Tutti gli danno una mano nei limiti del possibile, ma la sua vita non sarà facile. Tutto questo mi riempie di rabbia, impotenza. Purtroppo sono solo un viaggiatore, nemmeno ricco. Potrei salvargli la vita per un mesetto, ma poi... Cerco di ricacciare la nuvola nera che vedo ormai sulla mia testa. Discutiamo dell' Italia, di quello che conoscono, veramente poco, e dei loro problemi, che sono veramente tanti. Ma hanno una loro filosofia che non riesco a capire bene, ma che in qualche maniera li aiuta a sopportare tutto.

Il giorno seguente al ritorno da una Crocodile Farm - gli zoo non mi sono mai stati molto simpatici, preferisco vederli liberi gli animali, con tutto quello che comporta, ma tant'è - ci fermiamo a metà strada. Gli studenti stanno uscendo da scuola, e osserviamo cosa fanno le persone. Anche loro, naturalmente. Ci guardano e parlano tra loro. Percepisco delle differenze nel linguaggio. Forse parlano qualche altro dialetto, penso, prima che Rolli mi spieghi che molti sono Vietnamiti. Lo scorrere lento della vita mi rilassa. Il caos della città, il mio lavoro, i ritmi frenetici sono lontanussimi.

E' il momento di mettere qualcosa sotto i denti. Prendo confidenza con un' altra tradizione Filippina affrontando il mio primo Chicken Inato e scopro che le mani servono anche per mangiare. L'importante è lavarsele, prima e dopo. Arriva la sera, e il momento di conoscere le ragazze. Il locale, Tom Tom, è accogliente, c'è una bella atmosfera. Non per nulla è il ritrovo preferito degli occidentali che vivono a Puerto. L'allegria è di casa. Conosco Imelda, occhi marroni incastonati in un viso dalle fattezze cinesi. Simpatica, carina e... timida. Lo chef è Victor. A parte vedere il povero granchio soffrire, lo assumerei in uno dei migliori ristoranti di pesce. Dopo varie rotture di ghiaccio, io e Imelda ci buttiamo nelle danze. Comincio ad innamorarmi...

White Beach è la spiaggia che ci accoglie. La giornata trascorre in allegria, con qualche nuotata e la seconda scoperta sulle tradizioni Filippine: le donne fanno il bagno vestite. A pensarci, mi viene ancora da sorridere, ma è così. Naturalmente, è impossibile che il tempo possa trascorrere senza che succeda qualcosa di anomalo ad un occidentale. Stiamo nuoticchiando tranquillamente quando vediamo un labrador in braccio a una ragazza, o viceversa. A un certo punto ce li troviamo vicini. La ragazza si dirige verso di noi, abbracciando e baciando prima Roberto, e poi me. Solo vicino all' equatore possono succedere cose così. E' uno di quegli episodi “magici” che ti riconciliano con la vita. L'indomani partiremo per Sabang.

Dopo qualche giorno di relax è ora di conoscere la parte selvaggia dell'isola, ma decido pure di continuare la conoscenza con Imelda. Le propongo di fare la mia segretaria in cambio di una settimana di vacanza, accetta. Mi sveglio troppo presto, così ne approfitto per una passeggiata verso il mare. E' Domenica. Guardo la vegetazione, alberi che ricordano la savana, fiori coloratissimi di cui non conosco il nome,e la gente che passa. Ascolto le canzoni religiose, cantate in coro da qualche fedele, di qualche chiesa, che non sono poche. Con Nieto, passo a prendere Imelda e arriviamo alla stazione delle Jeepney. Roberto è davanti a uno stuzzichino. C'è da aspettare, quindi mi accodo con le solito due birre. Per il Tanduay è troppo presto... continua "Rhum in the room" (Pubblicato il 10 gennaio 2004) - Letture Totali 94 volte - Torna indietro



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