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Ricordo di un viaggio in India

Racconti e Articoli di Viaggio

Il racconto di un coinvolgente viaggio in India, di Max Italbiker

Ricordo di un viaggio in India

Premetto che amo il mondo e, nei limiti del possibile, amo pure girarlo. Ho investito i miei pochi risparmi per conoscere gli usi, le abitudini, le culture. L'India rappresentava per me, da sempre affascinato dall'oriente, il viaggio per eccellenza. Ho ancora tra le mani il biglietto aereo, l'unico conservato tra i tanti utilizzati. Se lo riguardo, se lo tocco, risento le emozioni, le voci, gli odori di quella terra. Avevo una sorta di timore, la paura di non reggere all'urto psicologico che quella regione poteva darmi.

Lasciavo Milano il 29 ottobre 1991, in una mattina di pioggia torrenziale. Portavo con me un bagaglio fatto da 30 giorni di ferie strappate all'azienda, uno zaino tattico, 2 amici (Patrizia e Stefano), pochi dollari e un biglietto aereo. Nulla di prenotato.

BOMBAY. Arrivammo a Bombay che erano circa le tre del mattino. La prima esigenza era cercare un posto per dormire un po'. Fuori dall'albergo un pullmino, tra i più belli che ho visto, era l'unico mezzo in grado di portarti alla città. Recava un'insegna rossa, elegante, Hotel Royal.

La periferia di Bombay è interminabile, fatta di poche cose e di molte persone, buttate sui bordi delle strade come sacchi dalla notte che porta con sé il sonno. Uomini, donne, bambini, avvolti in stracci multicolori tra le braccia di una notte stellata. L'albergo era un nido di scarafaggi e sporcizia in ogni dove eppure un indianino vestito da maraja stava sulla porta, la apriva e chiudeva. Non me ne fregava nulla dell'albergo, del fatto che passammo la notte tirandoci sti animaletti marroni da un letto all'altro. Ero in India.



Bombay è una città a suo modo affascinante e snervante, una città che sembra non dormire mai. Ha un aspetto precario, instabile. La mia concezione di città europea mi portò a pensare che solo una ruspa gigantesca poteva dare un nuovo aspetto a quell'insieme di mattoni, legno e plastica che componevano i quartieri. Muoversi per Bombay è impossibile senza un taxi. Non sai mai dove sei, dove vai, dove vorresti andare. Ci facemmo quindi portare alla porta dell'India, che sorge davanti al Taj Mahal.

Per natura sono un tipo sensibile e di fronte a quella semplice costruzione (un semplice arco) avvertivo i brividi della storia passarmi dentro. Avvertivo la colonizzazione e la distruzione di un popolo così ricco di storia, di cultura. Passammo la giornata in quello che si può considerare il centro di Bombay, entrando in botteghe dove bimbe che avevano al massimo 5 anni parlavano un Italiano perfetto, dove gli intoccabili, la casta più numerosa, dormivano sui marciapiedi, coperti dalle mosche.

Ho l'immagine di una ragazza davanti agli occhi: era sdraiata per terra e dormiva. Al suo fianco un bimbo di pochi mesi a cui lei, dormendo, teneva la mano. Pensai che se una Madonna fosse mai esistita, era così che doveva essere:bella e sconfitta. La sera ero ancora seduto dinnanzi alla porta dell'India, stremato più dalle emozioni che dal caldo e dalla fatica.

Guardavo bambini correr dietro a topi di fogna grossi come gatti a pochi metri da me e non riuscivo neppure ad avere paura. Era bastato un giorno solo per essere inglobato in un ritmo così diverso dal mio abituale. Questa gente non aveva nulla e sorrideva. Sorrideva con gli occhi neri e profondi.



Il benvenuto in questa terra me lo diede verso l'una di notte un uomo di un'età impossibile da definire che portava a tracolla una cassetta contenente della semplice acqua. Si fermò a parlarci, ci chiese da dove venivamo e ci salutò dicendoci: "Questa è l'India e questa è la mia vita. Domani sarà un giorno uguale all'oggi per me e durerà sino alla fine dei miei giorni. E' una figura che porto nel cuore e spesso, in momenti tra i più impensati, il ricordo di lui mi attraversa la mente come una luce e mi ritrovo a chiedermi cosa ne sarà stato di lui. Buonanotte Bombay.

Di nuovo Bombay. Questa mattina mi sono svegliato all'alba, assieme alla città, col rumore lontano dell'India che entrava dalle persiane socchiuse. Un caffè veloce e poi ad una delle stazioni ferroviarie. Fuori, una gigantesca buca dalla quale uscivano donne indiane che reggevano sulla testa enormi cesti contenenti pietra e terra.

Ho chiesto cosa stessero facendo e la risposta, alquanto stupita, mi mise a conoscenza che erano i lavori per una metropolitana sotterranea. Le stazioni sono un formicaio, gente che va e viene con bagagli rudimentali fatti di tele, stracci, cartoni. Code in ogni dove. Chiedere informazioni è un rebus. Poi fogli da compilare, da rendere, da riconsegnare, tutto con una pazienza indiana. Dopo ore riesco a prenotare per Aurangabad. Abbiamo ancora tutta la giornata davanti.

Dopo una tappa all'isola di Elephanta, insisto perchè si vada in una Bombay più vera: il quartiere dei dhobi, il quartiere dei lavandai, indiani fuori casta che lavano i panni per i ricchi che vivono sulla collina. Il quartiere è un insieme di baracche con al centro una piscina. Vi si accede attraverso una lunga scalinata che entra direttamente in una pozza di acqua. Qui la gente si ammazza di fatica per le caste privilegiate. Qui si vive all'ombra del quartiere dei ricchi che è la in cima e ricorda il tuo stato sociale ogni volta che volgi gli occhi al cielo.

Sono sconvolto ed anche spaventato. La povertà e l'immondizia sono ben al di là di ogni immaginazione. L'immondizia lungo le stradine strette talvolta mi copre i piedi. La disperazione beh... quella la leggo neglio occhi di ogni indiano che guardo e che mi sorride. La leggo nei bambini, che sono diventati per me il simbolo di questa terra. Sono il futuro senza futuro. continua "Ricordo di un viaggio in India" (Pubblicato il 10 gennaio 2004) - Letture Totali 76 volte - Torna indietro



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