Ritorno in Dancalia


Inserito il: 21/03/2005 da Antonio Biral
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Da qui prenderà il via la marcia che ci porterà verso la sommità del vulcano, elevato di soli 600 metri dalla base che ha un diametro di trenta chilometri. Subito, senza perdere tempo, carichiamo le taniche della scorta d’acqua sull’animale e, con la calura che supera ancora i 42 °C, iniziamo la salita per arrivare a far sosta a poca distanza dalla cima, quando già le ultime luci del giorno stanno scomparendo. Nel buio che ormai ci circonda, solo il cielo appare incredibilmente luminoso, un infinito annuvolato di stelle che sto ad ammirare in attesa che mi giunga il sonno.

Ancora prima che spunti l’alba siamo pronti a muoverci verso il bordo sommitale della caldera di questo vulcano; uno dei tre, unici al mondo, dove si può osservare ininterrottamente una superficie di lava fusa all’interno del cratere. Attraverso un ripido passaggio scendiamo fino a metter piede dentro la grande caldera. Una sconvolta piattaforma lavica color grigio metallico, un immenso impasto dalle forme contorte che si estende fra fumarole, gas asfissianti e gorgoglii di vapori bollenti. Un intrigo di tunnel lavici collassati, di friabili crostoni di lava, pronti a cedere sotto il nostro peso, rendono difficile e pericoloso muoversi. Raggiungiamo la bocca del cratere attivo, quello che si trova nella parte centrale della caldera; l’altra bocca, quella a nord, di dimensioni maggiori, sprigiona solo grandi quantità di fumi e gas.

Con rischio, ci affacciamo al bordo frastagliato del cratere e a fatica crediamo a ciò che vediamo. Sotto di noi, a una profondità di circa settanta metri e un diametro di un centinaio, un lago di magma è in continuo movimento. Lo strato di lava, in superficie, sembra galleggiare sulla sottostante massa come la pelle che si forma su una tazza di latte bollente. Un lago incandescente, segnato da correnti che ondulano, che gonfiano, che originano bolle e fontane. Nei momenti meno attivi, la lava appare come uno scudo di colore grigio metallico; un enorme coperchio che all’improvviso si sconquassa sotto l’incontenibile pressione dei gas che fuoriescono arroventano l’aria, mentre nuovo magma dilaga e sommerge la vecchia crosta inghiottendola come scoria dentro il crogiolo di un gigantesco altoforno. Questo vulcano rimane uno dei posti più inaccessibili della Terra, si trova al centro della Depressione Dancala: un remoto fondale marino disseccato che sprofonda fino a 120 metri sotto il livello del mare. Qui le temperature raggiungono, e spesso superano, i 55 °C all’ombra, quando l’ombra c’è.

Un lembo d’Africa privo di ogni via di comunicazione, che non permette nulla, o quasi, dove solo gli Afar, un popolo di stirpe guerriera, forte e orgoglioso, si è adattato a vivere una misera esistenza da nomade. Un vagare senza fine in continua e spietata lotta per la sopravvivenza, ostile a chiunque metta piede nei loro territori. Dopo l’Erta Ale, non abbiamo potuto continuare la traversata per raggiungere Dallol, come era nei nostri programmi. Questo, perché la polizia militare, che controlla l’area attorno all’Afrera, non ci ha autorizzato a proseguire, causa una misteriosa sparizione verificatasi qualche mese prima, proprio su quel tratto. Una donna, che faceva parte di una spedizione tedesca, si era inspiegabilmente persa. Non fu più ritrovata, nonostante i compagni l’avessero cercata affannosamente in lungo e in largo per tutto il giorno e tutta la notte, segnalando con i fari e i clacsons la loro presenza, ma niente. Ritornati a Baralè hanno chiesto l’intervento di un elicottero, ma anche questo non ha dato i risultati sperati. Così senza permesso abbiamo dovuto ripiegare.     continua "Ritorno in Dancalia"

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