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I giardini Zen - La bellezza del vuoto

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Reportage sui giardini Zen di Kyoto, Giappone, di Marcella Croce

I giardini Zen - La bellezza del vuoto

Sito o fonte Web: marcellacroce.com Nella cultura giapponese l'associazione fra giardino e religione è fortissima: la parola niwa (oggi 'giardino') in origine era usata per indicare un luogo purificato dove adorare gli dei (kami) scintoisti indigeni, e i giardini segnalavano appunto la presenza dei kami. Uno straordinario tipo di giardino è il karesansui ('paesaggio asciutto'), sul quale la filosofia buddista Zen ebbe grande influenza. E' un giardino 'secco', senza fiori né foglie, in cui la natura è riorganizzata, astratta, condensata, ed evoca un senso di grande distanza, di spazio metafisico in chi guarda. Esistono decine di giardini secchi a Kyoto, antica capitale del Giappone; sembrano modernissimi, ma il loro impianto risale invece a parecchi secoli or sono. Il mare di ghiaia bianca accuratamente rastrellata dà la sensazione dell'acqua corrente; ne emergono pietre dalle forme particolari, che possono rappresentare isole o montagne, ciascuno vi può vedere ciò che vuole e, secondo gli ideatori, la contemplazione dell'enigma aiuta a raggiungere il vuoto (mu), cioè la pace mentale.

I giardini di epoca Heian (794-1185), caratterizzati dalla profusione di alberi, arbusti, stagni e acqua corrente, erano stati ripudiati e un nuovo concetto di bellezza aveva fatto la sua apparizione in epoca Muromachi (1333-1576), quando le idee di composizione astratta basate sul concetto di mu erano divenute di moda, ed erano ritenute espressione dell'avvenuto raggiungimento dell'illuminazione (satori).

La riduzione delle dimensioni e il limitato uso dei materiali, determinò la tendenza a rappresentare la natura in modo simbolico. Il giardino Zen di Daisen-in nel tempio Daitokuji è di poche decine di metri quadrati; due massi in un angolo sono la cascata, una roccia piatta è un ponte simbolico. Ryoanji, il giardino secco (karesansui) più famoso di Kyoto, è un esempio ancora più estremo di semplicità e purezza, senza neanche il tentativo di imitare montagne, ruscelli, ponti. Il giardino non era più un posto dove ammirare la natura, ma dove meditare ed esercitare mente e spirito, e alcune pietre divennero simboliche delle divinità buddiste.

I giardini giapponesi intendono riprodurre la natura. Al contrario assolutamente nulla in realtà vi nasce a caso: anche il muschio che nei nostri giardini viene spesso eliminato in quanto spontaneo, è amorevolmente coltivato.

Al Saiho-ji di Kyoto, chiamato anche 'tempio dei muschi' (Koke-dera), ne esistono circa 120 tipi e rendono questo giardino famosissimo in tutto il Paese. Dal desiderio di avere un pezzettino di natura anche in case piccolissime nacque l'arte del bonsai (alberi in miniatura) e del bonseki, giardini di pietra in miniatura sistemati su piccoli vassoi.

Due le caratteristiche fondamentali del giardino giapponese: lo sfruttamento delle caratteristiche naturali del luogo, e l'utilizzazione del paesaggio a distanza. I giapponesi amano profondamente l'atmosfera dei loro boschi maestosi e hanno sempre cercato di riprodurla nei giardini, che sono molto spesso imitazioni di paesaggi naturali realmente esistenti.

Questo contrasto fra vicinanza e lontananza e l'uso del paesaggio per creare un'atmosfera naturale, è chiamato shakkei (in inglese borrowed scenery 'paesaggio preso in prestito'). Alcuni giardini hanno vari livelli di shakkei, e nella villa imperiale Shugakuin a Kyoto l'acqua dello stagno forma un carattere cinese (kanji) che può significare allo stesso tempo 'mente' 'cuore' 'umore' 'idea'.

Nel capolavoro assoluto delle letteratura giapponese, il Genji Monogatari (scritto intorno al 1001 dalla scrittrice Murasaki Shikibu), il palazzo del principe Genji aveva quattro giardini, uno per ogni stagione e per ciascuna delle quattro donne da lui preferite. Tuttora il concetto chiave per i giardini come per tutta la cultura giapponese è 'cambiamento'; il giardino cambia di continuo adeguandosi alla stagione, e la bellezza effimera delle foglie autunnali si avvicenda con quella delle magnifiche (ma altrettanto effimere) fioriture primaverili. Grazie a una sapiente disposizione strategica delle specie, il giardino ha qualcosa da offrire in ogni parte dell'anno.

Il punto focale più importante è la cascata, il cui suono era considerato pure molto importante. Le rocce erano tutte scelte con cura: le più belle fiancheggiavano la cascata, e l'impatto dell'acqua sulle pietre del fondo doveva creare una qualità acustica in armonia con la composizione totale.

Il Sakutei-ki, importante documento del periodo Heian, descrive dieci tipi diversi di cascata a secondo di come cade l'acqua, e si impiegava molto tempo e fatica per decidere in quale maniera dovesse scendere.
Se in Occidente si tende a escludere, in Oriente al contrario si tende a includere, e ogni cosa conduce a un'altra. Così accade che il legame fra giardino, cerimonia del tè e poesia sia strettissimo, e che di conseguenza nei padiglioni per il tè si componessero poesie. Nella villa imperiale di Shugakuin c'è ancora il Rinuntei ('padiglione vicino le nuvole') con una stanza speciale 'dove lavare le poesie' (Senshidai): se si aprono tutte le finestre, quando soffia il vento arriva il rumore della cascata, e si pensava che le parole si combinassero naturalmente in poesie.

La tradizione giapponese immagina che anche le pietre crescano e abbiano una vitalità interiore. Forse anche per questo una roccia di forma particolare può costare perfino 50000 euro in Giappone, più o meno lo stesso prezzo può essere chiesto per una lanterna in pietra scolpita a mano, altro tipico raffinatissimo arredo da giardino. Le lanterne di pietra (tourou) sono splendide, una di piccole dimensioni costa 'solo' 300 euro, verrebbe quasi la tentazione di portarsene una a casa come souvenir, ma è meglio desistere: il giardino giapponese ha un senso solo in quel contesto, non è un bene esportabile. (Pubblicato il 23 luglio 2010) - Letture Totali 142 volte - Torna indietro



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