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Da Ushuaia allo stretto di Magellano

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Racconto e impressioni di viaggio in Cile. Terra del Fuoco, di Adriano Socchi - Inviato il 13 gennaio 2004 da Adriano Socchi.

Da Ushuaia allo stretto di Magellano

Sito o fonte Web: www.adrimavi.com Ecco, finalmente, Ushuaia. Si corre il rischio di far della facile retorica, ma essere in procinto di atterrare su quel puntino in fondo al Sud Americano, trasmette sensazioni inspiegabili. Il fascino e il mistero di un viaggio attraverso la Terra del Fuoco si avvertono fin da quando, guardando la cartina geografica, ti accorgi che si tratta della terra più vicina al Polo Sud, alla fine del mondo insomma.

Ushuaia è sotto di noi. La vediamo dal finestrino dell’aereo e prima ancora di atterrare ne tastiamo il mito, a cominciare dall’inospitalità del suo clima. L’aereo deve atterrare in mezzo ad una tormenta di nevischio e furiose raffiche di vento. A terra, restiamo colpiti dall’odore del fumo di legna. Il sistema di riscaldamento aeroportuale è, infatti, del tipo a stufa. L’impatto con la città è traumatico. Per tutta la giornata la pioggia scende a catenelle. A parte il centro, appositamente abbellito per non deludere frotte di turisti che qui fanno obbligatoriamente tappa nel loro viaggio in capo al mondo, la città non è altro che un triste e, quando piove, fangoso agglomerato urbano.



La visita al Museo Territorial Fin del Mundo e al Presidio Militar ci risollevano il morale: nel primo ci applicano sul passaporto il timbro della "fin del mundo", ambito da tutti i viaggiatori; nel secondo apprezziamo la fedeltà con cui è stato conservato quello che era il carcere più temuto dell’epoca delle esplorazioni. La sera trascorre languida al Moustacchio, tra succulenti piatti di asado (carne) e di centolla (pesce).

Il giorno seguente, il vento, sempre forte, c’impedisce di compiere l’escursione sul canale Beagle - dal nome del brigantino da guerra della marina inglese che, al comando di Fitz Roy, e con Darwin a bordo, salpò da Devonport nel 1831, per raggiungere queste terre estreme - ma almeno ha spazzato via le cupe e gravide nubi. La giornata è soleggiata. Dall’hostal del Monte, dove abbiamo pernottato, possiamo godere di una bella veduta del canale. Passeggiamo lungo il Paseo del Centenario. Dall’alto, rimango abbagliato dai riflessi del sole, effetto specchio causato delle centinaia di tetti di lamiera di Ushuaia che riflettono i raggi di sole.

Compiamo una sorta di foto-safari immortalando eloquenti cartelli. Preso possesso dell’auto, una comune VW Golf, puntiamo in direzione sud, verso Baia Lapataia, ossia il punto in cui termina la Ruta Nacional n°3, strada che attraversa idealmente tutto il continente americano, 17848 km. Fotografiamo l’ennesimo cartello e iniziamo la nostra spedizione attraverso la Tierra del Fuego.



Percorreremo la Ruta Nacional 3, fino a San Sebastian, poi risaliremo la Isla Grande, la maggiore dell’arcipelago, sulla Ruta 257 fino ad arrivare allo Stretto di Magellano. La piccola impresa è già stata da noi battezzata Trans Tierra del Fuego. Prima di partire, scruto l’orizzonte e contemplo il mare. Non sono mai stato così vicino al continente antartico, chissà se un giorno… ma è ora di partire.

Il Parque Nacional Tierra del Fuego è cosparso di fitte foreste di faggi. Il bosco, a prima vista, sembra un ambiente trascurato, indifeso, forse per via dei molti alberi morti e dei tanti tronchi spezzati, invece è pieno di misteri. Pare di addentrarsi in meandri scoloriti e logori del tempo, ma in realtà è un bosco meravigliosamente vivo, ricco di sfumature, di verdi e di marroni. Il cielo quasi non si scorge e i raggi del sole creano strani giochi di luce. Le barbe fluenti degli alberi suggeriscono segreti. Qua e là, si vedono ovunque cauquén, le grosse oche australi: bianchi i maschi, marroni le femmine.

Una breve deviazione ci porta alla stazione ferroviaria più australe del mondo, in origine costruita per il taglio e il trasporto del legname, oggi toccata esclusivamente da treni turistici che portano i visitatori all’interno del parco alla modica velocità di 20 km l’ora. Ho in testa il passo Garibaldi, che non è Giuseppe, ma Louis, il meticcio artefice della sua costruzione viaria. Ripassando da Ushuaia, scorgiamo che il Monte Oliva, la bussola meteorologica della città, è di nuovo coperto dalle nuvole. Brutto segno! Infatti, inizia a piovere.

Avverto un presagio, la sensazione che sul passo possa nevicare. Presto la strada asfaltata termina, ma la sterrata è ottima. Man mano che saliamo di quota la pioggia si trasforma in neve, proprio come avevo temuto. Proviamo sulla nostra pelle l’imprevedibilità del tempo, di queste terre australi quando, superato l’ennesimo tornante, come per incanto usciamo dalle nubi e dalla precipitazione nevosa che ci avvolgevano. Davanti a noi, il sole brilla radioso nel cielo terso e giungiamo in cima al temuto passo di 430 metri s.l.m. senza neppure accorgercene. continua "Da Ushuaia allo stretto di Magellano" (Pubblicato il 13 gennaio 2004) - Letture Totali 79 volte - Torna indietro



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