Etosha National Park
Racconto della visita all'Etosha, in Namibia, di Adriano Socchi - Inviato il 13 gennaio 2004 da Adriano Socchi.
Sito o fonte Web: www.adrimavi.com
Arriviamo all’ingresso del parco poco prima del calar del sole. I cancelli sono ancora aperti, ma i ranger c’impediscono l’entrata in quanto non avremmo il tempo materiale per giungere a Okaukuejo Camp prima della chiusura. Proviamo ad insistere, ma non c’è niente da fare. Se non avessimo prestato soccorso ad una famiglia rimasta senza benzina sulla strada per Outjo, probabilmente saremo riusciti a rispettare il nostro serrato programma di viaggio, ma poco importa. Abbiamo compiuto una buon’azione e scambiato qualche parola con la gente del posto. Dirigiamo allora al Naua Naua Lodge di cui avevamo visto la piccola insegna, ma prima di partire gli stessi ranger, che soltanto poco prima non si erano dimostrati troppo gentili e, tanto meno permissivi, attirano la nostra attenzione gridando "Slow! Slow!" e facendo al contempo ampie gesta con le braccia. Non ne capiamo subitola ragione. La strada è diritta, bene asfaltata, non c’è anima viva... Sarà, forse, perché è buio?
Infatti è buio pesto e non c’è neppure la luna. Sembra di essere su un sentiero di montagna in mezzo ai boschi, dove il sentiero è la strada e il bosco è la savana. Dopo un chilometro comprendiamo le raccomandazioni. La strada è piena zeppa di animali: antilopi, lepri e tante civette. Ecco perché bisogna guidare piano!
Le civette sono uno spettacolo. Abbagliate dai fari dell’auto restano impietrite in mezzo alla strada per alzarsi in volo solo all’ultimo momento per evitare d'essere schiacciate. Ne avremmo fatte spostare una trentina, e non esagero. Pregustiamo un po’ il sapore di un safari, per di più notturno. Io sono concentrato a non investire nessun animale, Mavi e Ilaria eccitate dall’insolito spettacolo, e manchiamo il cartello del lodge. Ritorniamo indietro, prestando maggiore attenzione. Alla reception non c’è nessuno. Il personale e i pochi ospiti sono tutti a cena e quando ci presentiamo nella sala siamo accolti con stupore.
"E’ tardi e a quest’ora i turisti, di solito, non arrivano più!" dicono, ma ad ogni modo ci fanno accomodare. Consumiamo la cena ancora elettrizzati per quanto accaduto. Pensiamo a quando narreremo quest’episodio a casa, ai nostri cari o ai nostri amici: non ci crederanno, eppure è vero! Finito di mangiare, ci accompagnano alla nostra piccola villetta in mezzo alla savana, dove ben presto ci accorgiamo di non essere gli unici ospiti. Nonostante le zanzariere, i muri e le pareti sono affollate da grossi ragni. Le mie due compagne di viaggio trovano rifugio sotto la zanzariera, opportunamente portata da Ila io, invece, dormirò allo scoperto sotto un nugolo di ragni.
Il giorno seguente, nessun animale è sulla strada o nelle vicinanze. Oltrepassata la porta del parco e imboccata una strada con il fondo di ghiaia (come tutte quelle del parco, del resto), ci imbattiamo subito in un branco di zebre. Sono ferme sulla strada e per un po' ci impediscono di proseguire. Poi è la volta di un gruppo di springbok (antilope saltante).
Siamo in estate, in piena stagione delle piogge, in soldoni non più di 100 mm di pioggia nel corso di tutto mese. Seppure poche, le precipitazioni sono però sufficienti a creare e mantenere piccole pozze d’acqua un po’ ovunque. Non è quindi il periodo indicato per un safari nel parco di Etosha, ma se sarà come dice il proverbio "chi ben incomincia e a metà dell’opera" allora … Il proverbio è lo spunto per iniziare un nostro classico gioco, ossia a chi ne conosce di più.
All’Halali Camp, una volta sistemati e ricevuti gli opportuni suggerimenti da un ranger, partiamo per il safari vero e proprio verso una zona a nord del parco dove ieri hanno avvistato dei leoni. Sul tragitto, ancora zebre e springbok. Sembra non ci siano altri animali che questi. Dei leoni, infatti, nessuna traccia. La delusione è però alleviata, poco dopo, quando assistiamo al parto di uno springbok a non più di sei, sette metri.
La madre viglila sulla sua creatura nient’affatto intimorita dalla nostra presenza. Assistiamo alla scena per quasi un’ora, fin a quando il piccolo all’ennesimo goffo tentativo di alzarsi finalmente vi riesce. Nel frattempo si è fatta l’una e l’aria scotta come una fiamma. Torniamo al campo e ci concediamo un tuffo di refrigerio nella piscina. Le ore dopo il mezzogiorno e del primo meriggio sono le meno propizie per gli avvistamenti. Anche gli animali, come noi, cercano di ingannare il calore cercando riparo all’ombra della savana.
A metà pomeriggio usciamo di nuovo. La savana sembra essersi svegliata e riempita di misteri. Giungiamo ad una pozza d’acqua dove restiamo fermi per un po’. Così facendo scorgiamo, in successione, venire ad abbeverarsi, zebre, cinque orici, una giraffa e una famiglia di struzzi composta da padre, madre e dodici piccoli. Proseguiamo il safari lungo la pista denominata Rhino con la speranza di avvistare un rinoceronte nero, specie per cui il parco di Etosha è famoso in tutta l’Africa. Ne ospita infatti circa 300 individui. Un rinoceronte, seppur da lontano, lo vediamo. E' solo e resterà immobile come un tronco per tutto il tempo che sostiamo ad osservarlo. Ritorniamo al campo con la consapevolezza che la savana tutt’intorno è viva e abitata. Peccato non avere un altro giorno. Per un safari non c’è niente di peggio della fretta. continua "Etosha National Park" (Pubblicato il 13 gennaio 2004) -
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