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In Kenia, tra serpenti e paesaggi mozzafiato

Commercio equosolidale, Solidarietà, Onlus

Intervista a Marino Anselmi, 63 anni, il tecnico incaricato di realizzare i lavori per il CAP in Kenia

Kenia. Commercio equosolidale, Solidariet?, Onlus

Ora sul suo lavoro vigila un anziano guerriero, armato di arco e frecce avvelenate. Lui è tornato a casa entusiasta dopo aver trascorso poco meno di un mese e mezzo ai piedi della collina dei pitoni, che a dispetto del nome ospita anche le corpulente vipere del Gabon e i terribili mamba, il cui morso uccide un uomo in pochi minuti. Ha vissuto in mezzo a persone povere, calandosi nella loro realtà, gente che conserva la gioia di vivere e "ci possono -dice- insegnare molto a noi che abbiamo tutto". Marino Anselmi, "acquedottista" per 30 anni al CAP, ora in pensione, padre di due figli, nonno felice, è un uomo energico e simpatico. Doti che gli sono servite per affrontare i disagi della trasferta a Matiri nel sud-Tharaka, in Kenya, dove ha ripristinato un pozzo in disuso, istallato un filtro, e portato l’acqua alla missione di padre Orazio Mazzucchi. Durante il soggiorno africano Marino ha perso 8 chili, ma non la voglia di fare. Abita a Palazzolo di Paderno Dugnano ma è un uomo del Po, nato 63 anni fa a Gussola, nel Cremonese, nei luoghi dove Giovannino Guareschi ambientò la saga di Peppone e Don Camillo. Marino mostra con orgoglio le foto di questa avventura e sottolinea: "Da quando sono in pensione ho fatto tanti viaggi all’estero, in Cina, in Nepal, in Africa, in Messico, ma tutti insieme non valgono questa esperienza". È tornato a Milano da pochi giorni. Sull’aereo un filo di nostalgia lo ha accompagnato, a casa lo aspettavano i figli e i nipoti per festeggiare, a tutti ha raccontato che sulla casetta della stazione di pompaggio capeggia la scritta in lingua locale: "L’acqua è un bene di Dio", e che lui Marino Anselmi, uomo del Po, è stato per piú di un mese e mezzo strumento della Provvidenza.

Ha avuto difficoltà nel portare a termine l’impresa? "Le difficoltà ci sono sempre, ma si superano con l’esperienza e la fantasia. Avendo le idee chiare su cosa dovevo fare sono comunque riuscito ad infondere sicurezza ai miei collaboratori. La difficoltà più grande era nell’intendersi, nel dialogare".

Cosa l’ha colpita di più? "Il vedere della gente felice nonostante ci sia fame e manchi quasi tutto. Non sanno quanto stanno male rispetto a noi, per fortuna non lo sanno ancora. Perché quando si renderanno conto, temo che per noi sarà difficile continuare come stiamo facendo".

Una vita dura … "Dura. Dura per tutti. Per fare un esempio pensi che i bambini devono essere a scuola alle 6,30 e se arrivano in ritardo anche di un solo minuto si inginocchiano nel cortile della scuola in attesa di essere picchiati dalla maestra. Nonostante la legge del Kenya proibisca le punizioni corporali li ho visti e sentiti piangere mentre venivano malmenati. Un giorno li abbiamo anche "salvati" con la nostra presenza, le maestre hanno rinunciato a punirli perché c’eravamo noi". Marino ha portato con se dall’Italia 16 chili di caramelle da distribuire ai bambini, racconta di aver trovato dei piccoli che le mettevano in bocca con la carta: "non le avevano mai viste".

Diceva che ha adottato un bambino a distanza. "Sì, un bambino. Si chiama Oreste, l’ho conosciuto sulla strada mentre tentavo di liberare una capra che si era impigliata in un filo. Lui in men che non si dica ha sbrogliato la faccenda e io l’ho adottato, complice la sua simpatia. Ma anche mio figlio Oscar ha voluto adottarne una bambina. Si chiama Sarity è molto intelligente ma non ha neppure i soldi per comprarsi la divisa della scuola. Li abbiamo adottati a distanza, spendiamo una miseria ma per loro è importante". Mostra le foto: eccola la divisa della scuola: una maglia arancione e un pantaloncino blu cobalto, superfluo aggiungere che nessuno porta le scarpe.

Quanto guadagna un operaio del posto per una giornata di lavoro? "Abbiamo fatto i conti: circa 2300 vecchie lire. E c’è la fila di persone disposta a lavorare per una paga del genere"

Della condizione delle donne cosa può dire? "Posso dire che sfilano alle sei di mattina con bidoni da 20 litri in testa; portano l’acqua del fiume, la stessa dove si fa il bagno, dove si lavano gli stracci e si beve. Salgono sulla collina superando un dislivello di cento metri per poi camminare verso a casa per altri 4-5 chilometri. La prima volta che le ho viste mi è venuto il magone. Spesso anche le bambine collaborano, trascinandosi questo carico su per la collina. Ho visto le donne gravide riposarsi sulla nuda terra davanti alla maternità; una volta partorito, dopo due giorni tornano al villaggio a piedi con il loro bambino in braccio".

Un brulicare di vita l’Africa… "Camaleonti e gechi sono una sorta di compagnia permanente. Poi ci sono i serpenti: guardi". Marino mostra due foto, in una tiene un’enorme vipera del Gabon, e nell’altra un sottile mamba di color nero, e spiega: "Gli africani hanno il fiuto dei serpenti. Li temono moltissimo. Quando si muovono sono sempre in agguato con gli occhi. Un giorno nel cantiere dell’ospedale hanno trovato una vipera enorme e l’hanno uccisa. Non vorrei esagerare ma questi animali laggiù girano per casa come le galline. Specialmente di sera bisogna fare molta attenzione perché si possono fare cattivi incontri di ogni tipo".

Lei ne ha fatti? "Guardi una notte mi sono svegliato di soprassalto perché un topo mi stava camminando addosso".

Com’è la notte africana? "La notte africana mi ha fatto tornare indietro di 50 anni perché sentivo i grilli e le rane, il cielo era una cupola azzurra di 180 gradi con delle lampade infilate dentro, erano le stelle. Una cosa favolosa".

E il giorno… "Il sorgere del sole in Africa è un fenomeno che rapisce. Le cose diventano cristallo sfavillante, mentre la natura si risveglia".

I missionari che impressione le hanno fatto? "Gente eccezionale. Alcuni sono dei santi. Come Rita Drago, un’infermiera di Torino, sempre a caccia di bambini da salvare dalla miseria, in mezzo al colera, alla malaria; come Marcello Maggioni, volontario di Barzanò, infaticabile nell’aiutare gli altri".

Come giudica la pa rtecipazione di CAP a questa impresa? "Sono francamente orgoglioso di avere lavorato per CAP a questo progetto. È una cosa che mi onora e che onora l’azienda". (Pubblicato il 11 agosto 2004) - Letture Totali 68 volte - Torna indietro

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