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Tremila metri, tutti d’un colpo...,

Racconti e Articoli di Viaggio

Uno strano racconto di viaggio in Argentina, da Buenos Aires verso il nord, destinazione Humauaca, vicino al confine boliviano, nella provincia di Jujui.

Tremila metri, tutti d’un colpo...,

Non sono mai stato il tipo di viaggiatore che si fissa troppo sulla cartina per determinare con esattezza dov'è e dove deve andare. Una rapida occhiata, giusto per avere una minima cognizione geografica della mia presenza nel mondo, per poi ripartire per la strada che mi sono scelto in quel momento è qunto i concedo. Ho la fortuna di possedere una solida e vivace memoria visiva e orale che mi fa sentire protetto dagli errori più grossolani ogni volta che decido di incamminarmi e perdermi per il pianeta, un po' come la mano di un genitore quando attraversi le prime strade della vita.

E' una memoria che ho iniziato a coltivare si da piccolo quando, insonne, il mio cimento preferito era quello di elencare le capitali del mondo e le relative nazioni di appartenenza. La premessa serve per dire che, quando seppi dove ero, a che altezza del mondo mi trovassi, rimasi non solo piacevolmente sorpreso ma anche, è proprio il caso di dirlo, vertiginosamente disorientato.



Ero partito da Buenos Aires per il nord dell’Argentina con destinazione Humauaca, un villaggio a due ore dal confine boliviano nella provincia di Jujui. Non ero solo questa volta, ma accompagnato da uno dei miei più fraterni amici, Tommaso, un perfetto compagno di viaggio per l’entusiasmo, la curiosità, ed il totale adattamento e predisposizione a qualsiasi improvvisazione locomotoria, il classico tipo che sembra viva per caso e che - come per giustificare la sua presenza nella vita - deve sempre dimenticarsi qualcosa da qualche parte. In questo è realmente un maestro. Potrebbe scrivere un manuale sui mille modi di smarrire le proprie chiavi di casa all’interno della propria camera da letto senza perdere la calma.

Impiegammo due giorni e mezzo per arrivare a Humauaca. L’Argentina è un luogo dove sai quando parti ma mai quando arrivi, per lo meno se scegli di viaggiare in autobus. Sia per la vastità di questo paese, su cui e’ difficile azzardare previsioni temporali (tu parti, viaggi e viaggi ed ogni domani sei sempre in Argentina), sia per l’imprevedibilità tutta latina degli autisti che si fermano quando ma soprattutto quanto vogliono. In uno dei primi pomeriggi di Novembre, la città ci apparve come un gatto al sole mezzo addormentato che scodinzola ogni tanto per manifestare pigramente la propria esistenza.



La piazza che accolse il nostro arrivo era quasi totalmente vuota a eccezione di tre o quattro vecchiette sedute sotto un loggiato con i loro carrelli di dolciumi, bibite e ciambelle. Scendemmo dall’autobus mezzi accartocciati, e quanto mai desiderosi di soddisfare prima possibile i nostri istinti famelici che reclamavano sempre più incessantemente la dovuta attenzione con un bel pasto caldo. La luce che viveva in quel luogo era una luce che mai avevo visto prima.

Una luce nuda, penetrante, tonda che sembrava scorrere direttamente da quel sole così spontaneo, santo, in quel cielo a portata di mignolo di un caloroso azzurro pastello che pareva posarsi sulle nostre spalle come un mantello regale per offrire il suo benvenuto ed onorare la nostra venuta.



Sacca in spalla, ci incamminammo per il paese alla ricerca di una taverna e un posto dove alloggiare. Non c’era nessuno in giro. Mi colpì l’assenza d’asfalto per le strade. Sterrati bianchi si snodavano sotto i nostri occhi. I muri delle case, basse, rugose e con le porte di legno, mi arricchivano di una sensazione di semplicità ed essenzialità tanto da farmi inneggiare alla piacevole leggerezza della vita che a volte, per qualche attimo, quando la riesci ad accogliere ed ospitare nella immensa profondità del tuo intimo sembra abbracciarti e sollevarti in volo. Entrammo in una delle prime locande incontrate e finalmente, oltre a poter mangiare qualcosa di sostanzioso, stabilimmo il primo approccio con la gente del luogo.

La trattoria era affollata, ma per niente rumorosa. La scena era quotidiana: le persone parlavano fra di loro con toni pacati e sereni che accentuavano la dolcezza già di per se caratteristica dello spagnolo del latinoamerica. Erano tutti uomini, fatta eccezione per una coppia seduta accanto al nostro tavolo con un bambino di pochi anni, subito incuriosito dai nostri zaini.



Ed erano tutti indigeni, di pelle scura, con i classici lineamenti ed il classico colore delle vere e legittime popolazioni andine. Fu solo dopo il terzo bicchiere di vino, quando finimmo di mangiare e ci alzammo per pagare e uscire in cerca di un posto dove dormire che iniziai ad avvertire una strana sensazione fisica, un misto di pesantezza e fatica. Addossai la colpa ai due giorni e mezzo di viaggio sicuro che, dopo una bella doccia e una bella dormita, sarebbe tutto passato. continua " Tremila metri tutti d’un colpo..." (Pubblicato il 04 maggio 2004) - Letture Totali 77 volte - Torna indietro



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