Cinque giorni in Romania: da Cutici a Costinesti


Reportage di viaggio (piuttosto picaresco) fatto in romania, di Andrea Sceresini

Cinque giorni in Romania: da Cutici a Costinesti Cutici, frontiera rumena. Con una lenta frenata, il treno si ferma: salgono i gendarmi. Fuori è un gran sventolio di bandiere blu, gialle e rosse. Un immenso cartello informativo recita: "Republica Romana". Eppure, i nostri compagni di viaggio non sembrano granché entusiasti. Per un rumeno, il rientro a casa non è mai cosa da poco: "I finanzieri ci invidiano. Noi lavoriamo all'estero, guadagniamo molto più di loro", ci spiega Marija. Marija ha 42 anni, e fa la badante in Italia, a Treviso. La sua famiglia - il marito più due figlie - abita a Lugoj, nel Banato: si vedono quattro volte all'anno. "Ora, ci tocca pagare", avverte sorridendo. La mazzetta confinaria è d'obbligo: ma solo per i rumeni, ovviamente. Io e Alessandro, il mio compagno d'avventura, mostriamo i documenti, e tanto basta. Marija, miracolosamente, se la cava con un'aspra battuta, a noi incomprensibile. Chi non se la cava, invece, è Marko, muratore, da tre anni trapiantato a Linz. Deve alzarsi, uscire dallo scompartimento, e seguire i poliziotti fin nella ritirata. Lì avviene il baratto: l'accesso in patria ha un suo costo. Molto salato, pare.

Dopo mezz'ora, il treno riparte. Marko scuote la testa, e impreca contro i poliziotti: "Cattivi e corrotti". Noi, un po' scossi, proprio non sappiamo cosa dirgli. Marija sì: piano, gli accarezza la testa, e cerca di consolarlo. Fino a cinque ore, prima neppure si conoscevano.

Fuori, il paesaggio è piuttosto monotono: campi, prati, stradine di campagna, qualche carretto trainato da cavalli. Niente auto. Ogni tanto, il treno lambisce enormi colate di cemento, adorne di ciclopiche ciminiere. "Fabbrica?", chiedo a Marija. "No, centrale nucleare", risponde lei, sfoderando un gran sorriso. Sembra entusiasta. Marija è gentile, ha le braccia paurosamente irsute, e un modo tutto suo di vedere le cose. Bucuresti? "E' come Milano", mi informa. E poi, subito aggiunge: "Ma noi abbiamo l'arcul e triumf, l'arco di trionfo. Voi no".

Il treno ferma ad Arad. Leggo sulla guida: "187.000 abitanti, Arad è situata in una lussureggiante regione. Porta d'accesso all'Ungheria, vanta eleganti edifici del tardo Ottocento". Il finestrino del treno non mostra nulla di tutto ciò. Grandi palazzacci grigi, gente mezzo svestita, polvere e sporcizia ovunque: l'impatto non è certo dei migliori. Marija non sembra turbata: instancabile, ci decanta le virtù della ridente cittadina. Davanti alla stazione, vediamo seduti una decina di ragazzini. Sorridendo, ci fanno "ciao ciao" con le mani. Noi rispondiamo al saluto. Poi, uno di loro estrae di tasca un piccolo sacchetto di plastica colorata. Il sacchetto passa di mano in mano, e ciascuno, con incredibile calma, ci ficca dentro il naso. E', aurolac: vernice. La droga dei poveri: "coca delle fogne", così la chiamano. Marija fa finta di non vedere. Il treno riparte.

Al tramonto, eccoci a Timisoara. Scendiamo in stazione. Con un poco di commozione, salutiamo i nostri compagni di viaggio. Marija ci abbraccia, e scrive su un foglio il proprio indirizzo. Promettiamo di scriverle.

Timisoara è la "little Italy" della Romania. Vi abitano circa 10.000 italiani, c'è la Geox più altre 1.200 aziende a capitale tricolore. Esiste anche una mafia locale, tutta di origine nostrana, e piuttosto attiva. Non sono rari - pare - i conflitti a fuoco. “La colonizzazione del Banato prese il via dieci anni fa – scrisse nel 2001 il quotidiano "Evenimentul Zilei" -. I primi italiani giunsero qui spinti dalla disperazione. Fuggivano da un fallimento, o da un matrimonio infelice: si trovarono bene. Poi, fu la volta degli avventurieri, attratti dalle leggende sui casinò e sul sesso a basso costo. Infine, arrivarono gli imprenditori. Al loro seguito, giunsero pure i mafiosi”. continua "Cinque giorni in Romania: da Cutici a Costinesti" (Pubblicato il 29 marzo 2007)