Il bambino dello Chegrouni


Un episodio toccante, e formante, accaduto in Marocco, allo Chegrouni di Marrakech: i viaggiatori di ritorno, un bambino, un padre. Parole di Alighiero Adiansi

Il bambino dello Chegrouni Sito o fonte Web: web.tiscali.it/alitour/ L'atmosfera è quella di un viaggio che finisce: risate, ricordi, nostalgie e progetti. In piazza, i turisti colorati e vocianti si raggrumano attorno alle bandierine delle guide. Allo Chegrouni si finiscono i dirham mangiando come veri routards, contando le monetine col timore di non starci e la sicurezza di poter pagare in franchi. Il bambino entra incerto e spaesato. Ha occhi grandi e neri, capelli ben pettinati, vestiti puliti e piedi nudi nei sandali gommati GoodYear. Stringe forte la mano di suo padre.

L'uomo ha baffi lunghi sotto un naso da pugile suonato, occhi tristi e un maglione largo abbastanza da farlo apparire grosso. Si guarda in giro e sceglie l'angolo più buio del ristorante. I due passano davanti al cuoco ignorando le pietanze fumanti e saporite allineate sul banco e siedono al tavolino vuoto, tra la sala interna e la terrazza. Si guardano negli occhi, non parlano. Il cameriere, indaffarato a distribuire pietanze, sbuffa e brontola perchè i due ingombrano il passaggio. Loro si alzano, aspettano in un angolo e quando tre biondi e voluminosi turisti decidono di andarsene li sostituiscono al tavolo che si affaccia sulla piazza. Sul tavolo, sono rimaste un paio di bottiglie, quella di Coca Cola ancora piena per metà. Il bimbo guarda il cameriere, il cuoco e infine suo padre poi versa la bibita in un bicchiere, lo stringe tra le mani, lo fissa a lungo, beve piano. Ad ogni sorso, chiude gli occhi e si passa la lingua sulle labbra poi li riapre e sorride a suo padre.

L'uomo osserva la gente sulla piazza con una tristezza infinita negli occhi. La fronte, solcata da una ragnatela di rughe, racconta una vita disperata mentre tutto intorno continua la sarabanda di risate e spiedini, omelettes e patatine fritte, soldi da finire, da buttare, da regalare, camicie colorate e t-shirt false, cazzate per gli amici, regali che finiranno in un cassetto e poi nella spazzatura, strombazzate di clacson, fumate puzzolenti di grandi bus e piccoli taxi, Nikon e lettori di CD, guide EDT e facce abbronzate. Il cameriere pulisce il tavolo senza degnare i due di uno sguardo o di una domanda. L'uomo e il bambino rimangono a guardarsi davanti al tavolo vuoto e al mondo pieno. Elio consuma gli ultimi spiccioli comprando una fetta di torta, torna al suo posto passando davanti al bambino col dolce in bella vista. Io non riesco a staccare gli occhi da quel tavolino, il bambino dalla fetta di torta, il padre dal suo bambino.

L'uomo ha con sè una borsa di stoffa dello stesso indefinibile colore del maglione. Comincia a frugare, toglie un fagotto di stracci poi affonda di nuovo le mani, rimescola, cerca e ricerca finchè porta alla luce una manciata di terra e foglie secche. Soffiate via la polvere e le foglie sul palmo gli restano un paio di monete. Le stringe nel pugno, e con l'altra mano ripone gli stracci nella sacca e la rimette a tracolla. Si alza, va verso il bancone interno, quello dei dolci, sceglie una fetta di torta margherita spolverata di cacao e la fa tagliare in due. Il bambino segue i piattini che nelle mani incerte del padre attraversano tutta la sala, li guarda con gli occhioni spalancati. Incredulo, avvicina il piattino, piega ordinatamente il tovagliolo di carta e aspetta che suo padre cominci a mangiare. Fissa il dolce come se potesse sparire da un momento all'altro, come un sogno, poi finalmente lo gusta, piano piano, attento a non soffiare via il cacao, a non far cadere le briciole. Alla fine, pulisce le mani e la bocca col tovagliolino e di nuovo, guarda suo padre. Quello sguardo è il mio ricordo di Marrakech, anno 2000. Questa volta non è il tramonto dal Glacier, non sono gli incantatori di serpenti, i giocolieri, gli acrobati, gli stregoni, le maghe, non è il cielo infuocato dietro alla Koutoubia e al Med. Carico le valige sul taxi, poi sull'aereo. Torno a casa, a casa mia, alla mia vita piena di pioggia e di fretta, ai miei bambini pieni di vestiti, di dolci, di giochi. Mi chiedo se avranno mai, per me, uno sguardo così pieno di gratitudine, di orgoglio, di fiducia, lo sguardo che aveva il bambino di Marrakech mentre usciva dallo Chegrouni stringendo la mano di suo padre. (Pubblicato il 17 marzo 2004)