Sudafrica. Il mio Sudafrica


Inserito il: 31/10/2007 da Claudio Montalti
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Il bush è il suo regno, e si vede. I posti sembrano tutti identici, e io mi sentirei subito smarrito nella mia inadeguatezza di cittadino, per cui indosso i pannidell'umiltà e mi affido a lui con fiducia. Mi lascio guidare. Non sarei sorpreso se a questo punto mi dicesse che quella savana è da sempre il regno della sua famiglia. Da come si muove, mostrando questo e ora quel particolare, sembra nel salotto di casa sua. Non pensavo poi che potesse essere così istruttiva una passeggiata a piedi nella savana: Tobias ci insegna come è possibile procurarsi uno spazzolino da denti o come utilizzare alcune foglie grandi e morbide a mo' di carta igienica, le ceneri dei gusci delle lumache diventano il rimedio per il male d’orecchi, e l'acqua si può ricavare, anche se solo in quantità necessarie alla sola sopravvivenza, nei luoghi più impensati, persino in rami solo all'apparenza rinsecchiti. Sulla nostra strada incontriamo di tanto in tanto avvoltoi, appollaiati su canonici alberi secchi e privi di foglie. Da lontano osserviamo grossi mamba neri che si arrampicano sui rami, pericolosissimi a passarci sotto. Di tanto in tanto spuntano i lunghi colli delle giraffe, animali molto tranquilli, mentre non si contano gli impala o le altre antilopi che ci scappano davanti. Tutto questo in un solo giorno, anzi in un solo mattino. Era da poco passato il mezzogiorno quando Tobias ordina il più assoluto silenzio. Ci ha guidato a non piiù di venti passi da un rinoceronte: fantastico! In quel momento ho dimenticato la lunga camminata (eravamo un marcia da ormai sette ore, e altrettante ne mancavano alla tappa serale), il caldo.

La sera mi sembrava impossibile avere ancora energia per cenare, ma gli occhi si erano subito illuminati nel vedere i fuochi attorno al boma, e un cuoco degno del più grande ristorante - o almeno così mi è sembrato - aspettarmi con le sue delizie. Attorno al fuoco che scalda e fa luce (alle 18 era già buio e freddo), mangiamo affamati e terminiamo con un buon tè caldo mentre ci raccontiamo le emozioni vissute, che non hanno potuto trovare spazio durante il giorno. Prima di dormire, ancora le storie delle stelle e degli uomini del bush, che Tobias racconta con lo stesso entusiasmo e trasporto con cui guidava, la fannoda padrone. Nei due giorni seguenti, abbiamo fatto i Rambo che guadano i fiumi pieni di coccodrilli e imparano la sopravvivenza nel bush finché non ci siamo trovati davanti a un enorme elefante. Non importa quanti documentari o zoo abbiate visto, quante cose vi abbiano spiegato, perché nulla può davvero preparare al faccia a faccia col più grande mammifero vivente sulla terra, l'elefante africano. Ho lo stomaco sotto sopra. Sarà a non più di venti metri e prego davvero che sia miope come tutti quelli della sua razza. Avvertendo la nostra presenza, egli agita nervosamente le orecchie, ma Tobias fa cenno di non temere.

Avverto l'odore fortemente acido del grande 'animale. E' così forte nella calura che mi gira la testa. Mi sembra di essere in una pagina di Wilbur Smith ma la cosa non mi rende per nulla felice. Mi sentivo una formica osservando quella montagna alta oltre tre metri alla spalla, le zanne spesse come una mia coscia, pesante parecchie tonnellate. Mi sento una formica spiaccicata se solo pensavo che quello poteva prendersela con me da un momemto all'altro. Per lunghi attimi pare non succedere nulla. L'elefante succhia con la proboscide aria da tutt'intornose e se la soffia in bocca dove possiede una ghiandola cpace di afferrarne le uste. Se nella sua lunga vita egli ha avuto un solo spiacevole incontro con l'uomo, e sembra proprio probabile che sia così, e avverte la nostra presenza siamo in pericolo. Dopo averlo visto spaccone e preopotente, smargiasso se solo poteva, vedo Tobias arretrare lentamente perché a questo servivano la saggezza e l'istinto inimitabile, a sapere perfettamente quando era il caso di tornare indietro, in silenzio. L'ho imitato e, tranquillizzato, l’elefante ha continuato per la sua strada finché non è scomparso in una macchia d'alberi.

"'Gesù, oh Gesù, merda!" sono state le prime parole di Tobias. Non ho mai saputo se era stato tutto preparato o meno, ma nulla toglie che le palpitazioni sono state fortissime. Tuttavia, la scena che mai dimenticherò ha avuto luogo la sera seguente, ultima tappa del particolare safari. Il campo è stato montato nei pressi di un povero villaggio, ma sinceramente non ci ho fatto caso finché non mi accorgo che un gruppo di bambini si è avvicinato e divora con gli occhi il cibo in preparazione su pentole e fuochi. Stanno in silenzio, senza chiedere nulla, ma quando arriva il mio piatto, nonostante la fame non riesco proprio a mangiare con loro davanti che mi guardano insistentemente ma anche candidamente, mani infilate nei pantaloni, occhi sbarrati e bocche schiuse. Già mi era succcesso di non finire il cibo per distribuirlo a chi, in quel momento, si trovava vicino a me. Da sempre, i miei “avanzi” andavano allla gente che incontravo, che forse mi si avvicinava spinta dalla speranza di ricevere appunto qualcosa. Era una situazione assolutamente normale, ma non pensavo che mi sarei mai trovato davanti ad una scena tanto disarmante. Consapevole che non sarebbe in ogni caso servito a molto, ho chiesto a Tobias se poteva preparare qualcos'altro, offrendomi di rimborsarlo. Il mio gesto, seppure quasi in incognito, non è passato inosservato e dopo cena due uomini hanno chiesto con insistenza la mia presenza al villaggio. E' una serata come tante, alla luce del fuoco, ma non ho mai visto tanti bambini tutti in una volta, davvero. Distribuisco i pochi regali - matite colorate, caramelle, un paio di calzetti e persino il dentifricio - che ho rimasto, anzi li affido a quello che sembra il più grande e rispettato, poi li guardo. Basta poco per rendere felice un bambino in Africa, lo potevo ben vedere dai loro giocattoli: nessuno ha una bambola, un pallone, una paletta, ma fionde, palle di stracci legati con lo spago, ossa e persino un modellino di aereo realizzato con il fil di ferro e pezzi di gomma, perfetto fin nei minimi particolari. Porto con me i loro sorrisi, gli occhioni bianchi, i denti candidi, le lingue e le mani rosee, nella vivacità di qualche ora vissuta senza dovere ascoltare il brontolio dello stomaco.

E' con malinconia che m'accorgo di avere rimasto solo due giorni. E' tempo di scendere lungo la Garden Route, che unisce l’Oceano Indiano all’Oceano Atlantico. Protetta da una lunga catena di montagne la cui presenza garantisce le piogge necessarie per conservare una vegetazione lussureggiante e coloratissima, l'itinerario riserva stranezze come il noce più alto del Sudafrica, il ponte sul fiume Storms - un arco teso lungo 192 metri su una gola profonda oltre 130 metri, progettato da un italiano - il Karoo colorato da distese di luppolo, forme arboree mai viste, le grotte calcaree delle Cango Caves, allevamenti degli struzzi con oltre 250.000 unità (la carne “colesterol free” sta diventando sempre più richiesta, ed è ottima. Una curiosità: ci vogliono 24 uova di gallina per fare una frittata grande come quella realizzata con un solo uovo di struzzo). Lunghi attimi di meditazione davanti ai due oceani, tutto quel che mi era stato concesso dal Bus-Buzz, nella fermata di Capo di Buona Speranza, sono sufficienti per sentirmi davvero all’altro capo del mondo, e poi sono a Cape Town.

Da un pezzo non era più Africa, ma America ed Europa al tempo stesso, il tutto allietato dai colori, gli spazi, i profumi e i rumori dell'Oceano. Il porto leggendario non delude: gabbiani, marinai a piedi nudi con veri tatuaggi, il vento che soffia forte e la Table Mountain che sovrasta la città rigorosamente ricoperta della sua tovaglia di nuvole come in tutte le cartoline che si rispettano. Nemmeno il panorama della città dalla Table Mountain delude: è grandioso. Lo sguarda spazia fino al Capo di Buona Speranza e alla False Bay, si spinge per parecchi chilometri verso l'interno.

"Sudafrica, un mondo in un solo paese", canta lo scontato slogan dell' Ente del Turismo sud africano. E' pretenzioso ma è comunque così un viaggio nell'Africa della gente, un viaggio affascinante che personalmente mi ha permesso di scoprire il perché alcuni fotografi ritraggano solo persone. In Sudafrica vi è una tale mescolanza che si tenta subito di imparare ad individuare la provenienza di un nero. Naturalmente, per un europeo non è facile come individuare uno scandinavo o uno scozzese...

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