Home Racconti, Articoli, Diari, Reportage di Viaggi Racconti, Articoli, Diari, Reportage di Viaggi PATAGONIA: terra di armonie selvagge PATAGONIA: terra di armonie selvagge

PATAGONIA: terra di armonie selvagge


Inserito il: 30/12/2011 da Giorgio Mancinelli
Email: gioma46@hotmail.it
Sito web: http://www.larecherche .it
Letto 3241 volte

Nessuna immagine disponibile

Il gaucho, è figura mitica della pampa argentina, rispecchia quell'ideale di libertà incontrastata che è sempre presente nel popolo argentino. "E il popolo, vi è presente come problema aperto - scrive J. Luis Borges (14) - che non basta l'esistenza del gaucho e della pampa a spiegare la letteratura gauchesca, che si è formata quando uomini di cultura urbana si sono avvicinati a quel mondo, attraverso l'esperienza dell'indipendenza argentina e le guerre civili". È il caso di citare almeno un altro personaggio famoso della letteratura: "Santos Vega" (15), "al cui amore nessuna donna avrebbe resistito e nessun uomo ha mai vinto in duello". Narra la leggenda che un giorno, accettata la sfida lanciata da un misterioso cavaliere, rivelatosi poi il diavolo in persona, egli fu vinto e morì in seguito al combattimento. E aggiunge che, nelle notti di luna la sua ombra torna errabonda ad attraversare la pampa: "Tu alma puebla los desiertos, / y del Sud en la campaña / al lado de una cabaña / se eleva fúnebre cruz; / esa cruz, bajo de un tala / solitario, abandonado,/ es un simbolo / venerado / en los campos del Tuyú" .

La tua anima popola i deserti, / e del Sud nella campagna / di fianco ad una capanna / si alza funebre croce; / quella croce, sotto di un bosco / solitario e abbandonato, / è un simbolo venerato / nei campi del Tuyú" .

Bartolomé Mitre fu il primo che fissò per iscritto il motivo di "Sacra Pianura", ispirato nella tradizione orale dello stesso. Il poema "A Sacra Pianura, payador argentino" fu scritto nel 1938 e raccolto in libro di Rime nel 1954. Questo poema sottolinea la tradizione orale della poesia e la permanenza dei versi di "Sacra Pianura" nel paese e nella natura, oltre il passo del tempo. Qui si sente riferito il posto dove Sacra Pianura sarebbe stato sepolta: sotto un bosco, nei campi del Tuyú. Ma non è solo per questi poemi maggiori della letteratura gauchesca che il fenomeno è importante, in tutto il Sudamerica i proverbi e le canzoni legate alla figura del gaucho, tra cui spicca una ballata popolare conosciuta come: "Milonga del solitario", il lamento triste di un gaucho rimasto solo che il poeta e narratore Atahualpa Yupanqui (16), ritenuto "l'anima stessa dell'Argentina", ha raccolto e fatto conoscere al mondo intero:

"Toda la noche ho cantado / con el alma estremecida. / Que el canto es la abierta herida / de un sentimiento sagrado. / A naides tengo a mi lado / porque no busco piedad. / Desprecio la caridad / por la verguenza que encierra. / Soy como el leon de mi sierra: / vivo y muero en soledad" .

"Tutta la notte ho cantato / con l''anima scossa. / Che il canto è l''aperta ferita / di un sentimento sacro. / Nessuno tengo al mio fianco / perché non cerco pietà. / Disprezzo la carità / per la vergogna che rinchiude. / Sono come il leone della mia catena montuosa: / vivo e muoio in solitudine" .

La figura del gaucho arrivata fino a noi è impastata di popolare saggezza, di esperienze complesse anche importanti, che hanno fatto di lui un essere completo. E questo significa non solo che egli continuerà a vivere fin tanto che continuerà ad esistere la pampa, il mondo che condiziona e determina la sua esistenza, ma significa, anche che egli continuerà ad essere idealizzato e continuerà a suggestionare l'uomo moderno proprio sulla scia della tradizione poetica, narrativa e spirituale della Pampa, la "tierra del silencio", com'è anche chiamata dalle numerose voci popolari, e descritta in questa canzone di gusto gauchesco, di Atahualpa Yupanqui: "Vidala del silencio" (17)

"Cierta vez en la manana de un pais de montanas azules, / miraba yo esas nubes pequenas, que suelen quedar como / prendidas de las piedras en la mitad del cerro. / El aire, ausente. mas arriba, un cielo azul, abajo,la tierra dura, y calida. / Alguien me dijo unas raras palabras refiriendose a esas / nubecitas blancas, quiza lejanas ya, que embellecian el paisaje.... / Eso que usted està mirando, no son nubes, amigo. / Yo creo que son vidalas olvidadas, son melodias, esperando que alguien / comprenda su silencio, entienda su palabra, intuya su canciòn. / Poco tiempo después de ese momento que no se puede / traducir cabalmente, porque esta màs allà de nuestro / entendimiento, asì poco tiempo despues / naciò la vidala del silencio" .

"Una certa volta nella mattina di un paese di montani azzurri, / io guardavo quelle nuvole piccole / che normalmente rimangono come / agganciate delle pietre nella metà del dorso. / L''aria, assente. ma sopra, un cielo azzurro, abbasso, / la terra dura, e calda. / Qualcuno mi disse alcune rare parole riferendosi a quelle / piccole nuvole bianche, chissà lontane già che abbellivano il paesaggio.... / Quello che lei sta guardando, non sono nuvole, amico. / Io credo che siano vidalas dimenticate / son melodie / sperando che qualcuno / comprenda il suo silenzio, capisca la sua parola, / intuisca il suo cantare. / Poco tempo dopo quello momento che non si può / tradurre perfettamente, perché va al di là del nostro / intendimento, è così che poco tempo dopo / nacque questa vidala del silenzio" .

Un tempo le terre della Pampa erano abitate esclusivamente da tribù indios autoctone che popolavano la grande pianura anch'esse chiamate "pampa", da cui il nome dato in seguito alla terra che le ospitava. Tra queste vi erano i Queranoi e i Puelches che vivevano a grande distanza le une dalle altre e che di tanto in tanto si riunivano per lo scambio di merci e manufatti, oltre che per combattere, e forse - ma questo non è stato appurato - per festeggiare insieme particolari riti e cerimonie di fratellanza. Festività nelle quali gli indios s'intrattenevano con canti e danze facendo uso di particolari strumenti ancora oggi in uso fra le popolazioni autoctone delle Ande. Tuttavia, il ceppo più antico, sembra fosse lo stesso per entrambe le popolazioni, delle quali, pur con tutte le riserve del caso, si conoscono solo pochi e dubbi esempi di musica strumentale diversamente distribuiti nelle varie regioni. Ognuna di esse possiede ritmi, e qualche volta anche strumenti diversi, nonostante la chitarra spagnola si ritrovi dappertutto. La musica del sud, che include Buenos Aires e la Pampa, riflette fedelmente le melodie, spesso malinconiche e talvolta appassionate, tipiche della cultura "gauchesca", suonate alla chitarra, a differenza delle regioni del nord dove si usa il charango, una sorta di mandolino ricavato dal guscio dell'armadillo. Così come nella regione del nord-est, in prossimità del Paraguai, l'armonica rimpiazza la fisarmonica .

Tutte le regioni dell'ovest, o Cuyana, confinanti con il Chile risentono di una reciproca influenza, per cui sono molto simili per l'uso costante degli stessi strumenti, dal charango, ai differenti tipi di flauti. Ma è senz'altro nelle regioni del centro che la musica non rassomiglia a quella di nessun altro paese sudamericano, ed è qui che si scoprono i ritmi argentini più originali e gli strumenti più conosciuti, come: il bandoneon, alcuni tipi di violini, il piano e il contrabbasso. Inutile ricordare che esistono una grande varietà di danze popolari, come la zamba e la chacarera, il tango e il carnavalito; e diversi tipi di melodia e di canto, come la tonada, la milonga, la coplas, la vidala; nonché modi diversi di narrare, come l'homenaje, la nostalgia, la baguala .

Un altro strumento tipico denominato o-thara, è ricavato dall'arbusto di una pianta originaria dell'altipiano andino, di cui non si conosce l'eguale, ad esso si affida il "popolo della terra" così detto dei Mapuche, conosciuto come il più grande gruppo indigeno ancora oggi esistente in Sudamerica, che vive nella regione confinante detta "la frontiera" o Araucania prossima al Chile, di cui pure è conosciuta la cultura musicale, ricca di numerosi canti infantili e d'amore. Sempre ai Mapuche si deve il trutruka, uno strumento non bene identificato, ricavato dal seme di una pianta assai rara, o forse anche dal nocciolo di un frutto essiccato, nel quale si soffia all'interno attraverso una stretta fessura praticata in orizzontale che emette un effetto acustico particolare, così che all'ascolto fa pensare a un suono arcaico, quasi "mistico", come può esserlo un suono emesso dalla medesima natura del luogo .

Dalla Pampa all'estrema punta della Terra del Fuoco c'è un lungo cammino da intraprendere e il viaggio non è certo dei più facili. A renderlo impervio, a meno che non si raggiunga Ushuaia in aereo, è il vento che giunge da tutte le parti e che talvolta spira a forte velocità, ora sferzante e gelido, ora più tiepido quasi graffiante, che ulula nelle orecchie e lascia frastornati. Ushuaia è il punto di partenza della nostra spedizione via mare verso la penisola di Valdés, ed anche della nostra ricerca etnologica dei suoni della natura e delle voci degli animali che la abitano. È una piccola città costruita nai primi del '900 dai coloni, per lo più inglesi e tedeschi che vi si stabilirono all'inizio del secolo per ragioni di studio. In minoranza vi si incontrano francesi e italiani accomunati da una stessa scelta di vita, per lo più pescatori o cacciatori, qui giunti, insieme ai tagliaboschi e agli estancieros, una sorta di guardie forestali governative, a popolare questi territori ricchi di fauna e di altre ricchezze naturali. E che, dopo la scomparsa degli indios Tehuelche (tribù originaria della Terra del Fuoco) che un tempo stanziavano sul territorio, popolano ormai questa terra affascinante quanto inospitale .

La vita sociale a Ushuaia rispecchia quella di una qualunque città di mare dove la gente parla più o meno delle stesse cose riferite alla pesca, all'andare per mare, alle imbarcazioni, ai motori, forse con meno entusiasmo per la rigidità del clima. Per lo più si lasciano cadere i discorsi e gustare lunghi sorsi di malto d'importazione, o ascoltare la radio che trasmette di tanto in tanto, interrompendo il programma di musica moderna, il bollettino del mare. Il resto del tempo lo si passa a osservare il moto dell'Oceano. Qui si ha la netta sensazione di essere proprio giunti alla fine della strada, poiché la tempesta non cessa mai di urlare e le onde, si abbattono rabbiose contro le coste. Ma basta una giornata meno burrascosa del solito che tutto, per così dire, si rianima. L'intero paesaggio muta d'aspetto. si può anche fare una passeggiata per le stradine del centro commerciale e fare piccoli acquisti di souvenir da portare agli amici increduli e le necessarie calzature di pelo di foca per ripararsi i piedi dal gelo. Tanto da sembrare quei patagones che Magellano, il grande navigatore portoghese, incontrò durante il suo primo viaggio proprio qui, i quali, avevano in uso di indossare attorno ai piedi pelli di guanaco, da sembrare autentiche zampe di animale, da cui il nome spagnolo pata-gones .

Ovviamente, di quelli che un tempo furono gli autoctoni, neppure l'ombra, e forse, le rare fotografie di inizio secolo e i disegni che li ritraggono, insieme a piccoli utensili per la caccia e la pesca in mostra nel piccolo e interessante museo di Ushuaia, appartengono a un tempo davvero molto lontano che nessuno ricorda più. Le notizie che li riguardano, raccolte dalle diverse spedizioni succedutesi a partire dalla seconda metà del '700, sono per lo più riportate nei diari di bordo dei navigatori spagnoli e inglesi che vi presero parte, e dalle rilevazioni geografiche dei missionari salesiani di cui padre Alberto Maria De Agostini (18) esploratore, fotografo e presbitero italiano, famoso per le proprie esplorazioni della Patagonia e della Terra del Fuoco, fu uno dei fautori. Ordinato sacerdote salesiano, padre De Agostini scelse di diventare missionario nelle zone meridionali dell''Argentina e del Cile, dove i salesiani fin dal 1875 operavano la loro missione a favore degli indios delle etnie Alakaluf, Ona e Yamana dei quali descrisse la vita e le tradizioni. Tra il 1912 e il 1945 affiancò alla propria attività pastorale una nutrita serie di viaggi esplorativi in Patagonia meridionale e nella Terra del Fuoco, avendo come base logistica Punta Arenas, sulla costa settentrionale dello Stretto di Magellano. Realizzò un''accurata cartografia della Patagonia meridionale e della Terra del Fuoco colmando così varie lacune presenti nelle carte del tempo. Da ricordare il suo contributo alle scienze naturali e all'antropologia: raccolse minerali e fossili, contribuì alla classificazione di numerose specie vegetali, approfondì le conoscenze sulla morfologia glaciale delle zone esplorate. Nei suoi libri, infatti, si trovano riferimenti oltre che agli usi e i costumi, notizia dei diversi idiomi usati e dei caratteri somatici degli aborigeni che li diversificavano dagli europei .

Dalla "Cronaca di Bordo" della spedizione guidata dal navigatore Alessandro Malaspina (19) del 1789, apprendiamo che: "Il giorno 3 di dicembre, avendo saputo dal comandante Pena di varie tribù che erano state avvisate del nostro arrivo, si fecero trovare vicino alla spiaggia. Immediatamente che scendemmo a terra, si presentò sull'alto di un monte poco distante dalla spiaggia, un patagone capo di tribù, e con segni di amicizia che gli facemmo, si avvicinò, senza avanzare però troppo; assicurato poco dopo, per mezzo di altri segni amichevoli, sulle nostre intenzioni pacifiche, si avvicinò comandando un indio che lo seguiva a grande distanza, che lo accompagnasse, e ciascuno presentò al nostro comandante un guanaco, alla cui dimostrazione corrispose con un abbraccio e vari regali di valore. Soddisfatto, il capo chiamò tutta la sua tribù e vennero in numero di 60 persone, 20 erano uomini e gli altri giovani, donne e bambini. Tutti si presentarono a cavallo con più di 40 cani, e dopo essere scesi a terra ci fecero segni di sedersi sopra l'erba, ciò che essi fecero immediatamente. Seguirono poi i regali fatti a ciascuno indio senza escludere le donne e i bambini che apprezzarono in particolare i relicari (reliquari) con nastro di seta rossa, che si misero al collo, e su tutto manifestavano la loro approvazione" .

La "Cronaca" ci relaziona inoltre sui caratteri somatici del tipo indio e del suo modo di vivere: "...i lineamenti generalmente rotondi e con denti proporzionati e larghi, narici ben fatte, poche sopracciglia e capelli neri, molta robustezza nei vecchi, si ungono il corpo con olio, nessun segno di ferite, né altra arma che le bolas per la caccia, fabbricano i loro costumi, i cappelli, e una specie di stivaletti di pelle di guanaco, ballano e cantano in diverse occasioni rituali" (20). Nulla ci dice degli strumenti musicali usati, se ve ne fossero stati di particolari e sulla qualità della musica prodotta, solo "cantano e ballano", nessun'altra notizia a riguardo, ad esempio, su come cantassero e quali fossero i ritmi e i passi delle loro danze. Tuttavia siamo portati a pensare che la musica presente in questa regione non sia del tutto avulsa da una stretta concomitanza con la natura che l'ha prodotta e che in qualche aspetto conservi ancora aspetti dei suoi caratteri originali, in questo caso specificamente tribali, residuali della più arcaica tradizione. Non è affatto impossibile che caratteri della musica tribale di queste regioni siano perpetrati, in qualche modo, nelle espressioni della musica prodotta oggigiorno, e proprio per la ineluttabile possibilità che, seppure cambiano gli strumenti e le tecnologie, in fondo è di per sé, lo stesso l'uomo a governarne il suono, a liberarlo e farlo vivere nel cosmo delle vibrazioni, con i suoi modi e i limiti della sua creatività .

Gli esempi rintracciabili nell'odierna discografia sono molteplici ed eclatanti, a incominciare dal noto sassofonista jazz argentino Gato Barbieri (21) anche detto "el pampero" e ai suoi recuperi etnici, in qualche modo legati alla sua terra di provenienza, l'Argentina, se non altro per la scansione rallentata del tempo, per il raggruppamento onomatopeico delle varianti allungate delle sue sonorità, come ad esempio nella sua "Vidala triste", un "canto d'amore alla vita" appartenente al folklore sudamericano, in cui vengono espressi i desideri contrastanti dell'anima del gaucho. Ma è forse nell'andamento malinconico, dolente di inespressi ricordi che trovano luogo nell'estrema e sconvolta eredità degli avi, che meglio si riesce a ravvisare lo spirito arcaico dell'indio. La comparazione musicologica ci porta a un altro esempio, un poema sul mistero dell'esistenza narrato da Atahualpa Yupanqui (22): "A quel llaman distancia", con quello ancora più antico dal titolo "Atqashp", ovvero la narrazione di un mito in cui - ricordate - si faceva riferimento alle lontane origini tribali dei Qawashqar, entrambi musicalmente contenuti sulla stessa cadenza ritmica, tipica della narrazione andina. L'equivalenza è evidente, Athaualpa di fatto scandisce con il canto la propria narrazione, mentre l'anonimo narratore qawashqarigno adatta il contenuto semantico del racconto, al ritmo che l'accompagna o che si vuole creare, e che è forse il solo, conservatosi, all'interno di queste culture d'altura .

La differenza fonetica della vidala è sostanziale, anche se all'orecchio dell'ascoltatore disabituato ciò non arriva, entrambe sembrano due narrazioni dalla stessa identica assonanza, corrispondente di una diversità naturale dei due dicitori. Non è così, più semplicemente si chiama effetto di sostituzione, riguardante il trasferimento di un fatto emotivo personalissimo, all'interno di una sonorità della voce che finisce per contraddistinguere entrambi gli esecutori che si trovano a improvvisare su una sorta di rituale che solo loro conoscono, e mai codificato. Fatto esclusivamente fonografico riguarda la nota composizione della più nota "Misa Criolla" di Ariel Ramirez (23), espressione di un sentimento religioso che riguarda il Sudamerica tutto. Tale è l'intraprendenza dell'animo indio che l'autore ha sentito di impostare la Misa sull'andamento cadenzato e processionale della vidala nel Kyrie di apertura per poi lasciar esplodere l'emozione mistica che essa tramanda al ritmo del carnavalito tipico della tradizione andina. Per restare ai nostri giorni potremmo porre uno di fronte all'altro due esempi di una danza popolare: la milonga, che ha conosciuto numerosissime esecuzioni e interazioni non solo di genere musicale, quanto di stili di epoche diverse, e che rappresenta una vera e propria tipologia di canto .

Originariamente conosciuta come ballo di strada già nei primi anni del XIX secolo, la milonga possiede elementi della musica africana nella sua struttura ritmica e influenze di danze creole ed europee importate dai colonizzatori spagnoli, a imitazione del portamento e l'andamento nel camminare, nonché nell'atteggiamento macho degli uomini che ostentavano il potere. Subito accalappiato al lazo dal gaucho la cui figura ormai mitica, ne faceva uno stereotipo di rudezza e di grande fascinazione. L''origine precisa è incerta e discussa. Si sa, tuttavia, che arrivò nella regione di Buenos Aires attraverso vie diverse, come fenomeno popolare detto "de ida y vuelta" per via che i generi viaggiavano dall''America all''Europa e viceversa acquisendo trasformazioni e adattamenti in ogni regione specifica. Ha somiglianza con altri ritmi come la chamarrita, il choro, il candombe e la habanera definitesi in altre aree geografiche. Si presume che la milonga apportò elementi al tango, che più tardi prese la forma originale della milonga propriamente come sottogenere .

L'esempio non è casuale e riguarda una stessa musica suonata dalle migliori orchestre del mondo e cantata dalle voci più efficaci della comunicazione musicale e canora, divenuta patrimonio dell'umanità. Poniamo due esecuzioni a confronto: un tango argentino eseguito da Astor Piazzolla (24) e la sua esecuzione reinterpretato dai Gotan Project (25). La differenza sembrerebbe abissale, mentre invece quasi non esiste, sebbene le due versioni siano davvero molto distanti tra loro, coprendo uno spazio temporale l'una dall'altra non indifferente: vuoi per la grande modernità dell'interpretazione dell'uno, vuoi per il recupero a effetto del nuovo gruppo che ripropone, attraverso tutte le interazioni accettate nel tempo, le sonorità di una milonga snaturata nei suoni e tuttavia riconoscibile, apprezzabile nella sua nuova veste musicale, tale da rinnovarne il successo popolare, esteso a un pubblico sempre più ampio, vasto quanto l'universo mediale .

Accompagnati dal suono cadenzato di una vidala che non ci solleva dalle preoccupazioni di carattere meteorologico, ci imbarchiamo al porto di Ushuaia e affrontiamo la traversata del canale detto di Beagle, dal nome del famoso brigantino che un tempo condusse Charles Darwin e Robert FitzRoy (26), nelle loro prime spedizioni al Polo Sud. Il paesaggio alquanto aspro è qua e là coperto di foreste di lenga, un albero tipico di questa regione la cui crescita lentissima è misurabile con lo scorrere del tempo che passa e di cui non ci si accorge, se non per il continuo passaggio instancabile delle nuvole. Da qui, circumnavighiamo per un tratto la costa, per poi immetterci nel Parque Nacional de Hornos, una manciata di piccole isole che segnano il punto cruciale di Capo Horn. L'impressione è quella di andare incontro all'ignoto, oltre l'imperativo vincolante della mente di voler tornare indietro, a sostegno degli appunti di viaggio di C. Darwin che nel 1832 in proposito, così scriveva: "Navigando sullo stretto (di Magellano) avevamo l'impressione che i lontani canali conducessero al di là dei confini del mondo" .     continua "PATAGONIA: terra di armonie selvagge"

Torna indietro

Per Votare/Commentare chiudi questa finestra e clicca Ti è stato utile (ti è piaciuto) questo contributo? Votalo

CARTACEO-SANGREAL.jpg

I Top LIKE...
Le destinazioni
Viaggi Oceania Viaggi Africa Viaggi Europa Viaggi Nord America Viaggi CentroAmerica Viaggi Caraibi Viaggi SudAmerica Viaggi Asia Viaggi Medio Oriente Clicca sul Continente Viaggi ZONA_ITALIA