Libano


Inserito il: 21/11/2007 da Simona Portaluppi
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I templi di Baalbek sono straordinari: con le loro gigantesche proporzioni dominano la valle della Beqaa e rientrano a giusto titolo tra le meraviglie del mondo antico. Già luogo di culto nel terzo millennio a.C., la città di Baalbeck subì in seguito influenze elleniche e egiziane. La costruzione del tempio di Giove, di cui ora rimane parte del colonnato e del cortile, ebbe inizio ad opera dei Romani nel primo secolo a.C. sotto Augusto, seguita da altri templi e corti. Il meglio conservato è il tempio di Bacco, costruito nel corso del secondo secolo d.C., così chiamato per via dei papaveri e di scene “bacchiche” scolpite all’interno. Pare infatti che all’epoca vino e oppio venissero utilizzate dai fedeli allo scopo di raggiungere l’estasi. Il che mi fa pensare che, tutto sommato, le cose non sono cambiate molto da allora. Nel corso dei secoli queste opere monumentali passarono sotto diverse dominazioni e dinastie, così come tutto il Libano, subirono i danni di numerosi terremoti e distruzioni, tuttavia si mostrano ora in tutto il loro splendore e in ottimo stato di conservazione. Alte 22 metri e sormontate da un cornicione con decorazioni che pare incredibile vedere così precise e dettagliate dopo tutta questa moltitudine di anni, le colonne del tempio di Giove sono in assoluto le più grandi mai edificate nei tempi antichi. Scattiamo una marea di foto. Da solo, il sito di Baalbek merita una visita in Libano. La cittadina non è nulla di speciale. Ci mangiamo qualche ottima falafel (frittella di semolino e verdure) mentre giriamo un po’ a zonzo.

A questo punto l’idea originaria era di proseguire per Bcharrè, ma non ci sono taxi. Ci tocca rientrare a Beirut. Il nuovo bus è anche dotato di un ragazzino scatenato che fa da buttadentro urlando “Beirut! Beirut!” a tutti i passanti. Conosciamo un tizio che in ottimo spagnolo ci racconta di avere vissuto molti anni in Venezuela. Ci parla della sua brutta esperienza in Italia, all’aeroporto di Fiumicino, e ci informa che possiamo ottenere il visto per la Siria direttamente a Tchaurra, in non so quale ufficio, mentre sulla mia guida sta scritto tutt’altro, ossia che è necessario essere in possesso di visto emesso dall’ambasciata siriana in Italia per poter varcare il confine. Ci piacerebbe visitare Damasco, ma non è il caso di fidarci molto delle sue informazioni. Il tipo sembra un po' strano. Attacca bottone con tutti i passeggeri e non smette un attimo di parlare... Alla Cola troviamo subito una coincidenza per Tripoli (Trablos). Risaliamo la costa verso nord. Non ci sono spiagge, solamente scogliere. Un’ora e 2500 llb dopo siamo a destinazione, un po’ spaesati. Senza nemmeno chiederlo, un ragazzo si ferma e ci offre il suo aiuto. Sono veramente allibita dalla gentilezza di questa gente: c'è sempre qualcuno che si ferma a indicarci la strada, senza doppi fini.

Tripoli è decisamente di gran lunga più araba di Beirut. Il suq è vivace, colorito, pieno di negozietti di oro, abiti e saponette che scopriamo essere ampliamente prodotte da queste parti. Su tutto, si erge la cittadella fortificata che al buio però non vediamo. L’illuminazione è scarsa, l’elettricità viene e va a causa del fatto che le centrali elettriche libanesi sono state più volte bombardate dagli israeliani. Ceniamo con shwarma e hommos in un take away, passeggiamo e notiamo che ci sono molti più musulmani che a Beirut, che le donne sono più coperte. Tripoli è una città più integralista, i giovani però ci salutano, ci chiedono di dove siamo e quando sentono “Italia” esultano richiamando nomi di calciatori. Tutto il mondo è paese...

Un martello pneumatico a pochi metri dalle orecchie ci dà il buongiorno. Il proprietario si scusa per i lavori di ristrutturazione che sta facendo, vabbè... però ci fa trovare una bella colazione a base di nescafè, uva e mele, croissant caldi al cioccolato e formaggio, e questo gli vale il perdono. Belli rimpinzati, siamo pronti a partire per Bcharrè con un altro bus collettivo. Il percorso è molto bello. Saliamo verso le montagne e raggiungiamo la valle di Kadisha che si trova come in un canyon. Le giriamo intorno fino ad arrivare a quasi duemila metri d’altitudine. L’aria si fa più fresca e la vegetazione più brulla, attraversiamo bei paesini di case in mattoni di pietra e tetti rossi. Qui la guerra non è arrivata o comunque non ha lasciato tracce. Finalmente vedo un po’ di cimiteri... non che mi piacciano, ma mi chiedevo dove fossero. Siamo nella zona abitata esclusivamente da cristiani maroniti. Ci sono molte coltivazioni di alberi di mele, sembra di stare in Trentino, o comunque a mille miglia da Tripoli.

In un’ora e mezza siamo a Bcharrè, dove troviamo un taxista che ci porta alla foresta di Cedri per 15000 andata e ritorno. Il costo è sproporzionato considerando che si tratta di 5 o 6 chilometri, purtroppo di taxi collettivi non ce ne sono, non nella stagione estiva almeno. Il taxista dice che d’inverno il paesino si popola di sciatori, che le piste attirano spesso anche famosi campioni europei. Mi permetto il beneficio del dubbio. Non ho mai sentito parlare di gare famose in Libano, ma non oso replicare visto che, oltretutto, ci offre delle ottime mele. La visita è deludente. Il bosco è proprio piccolo e sono ben pochi i cedri sopravvissuti a un passato di fama e qualità. Il Libano era una sterminata foresta di cedri, ma una volta scoperto quanto quel legname fosse forte e pregiato lo sfoltimento divenne inevitabile. Alcuni alberi superstiti hanno millecinquecento anni. Sono imponenti e hanno quella classica forma, che ricorda un enorme bonsai e che è il simbolo del Libano. Appare infatti sulla bandiera... Una associazione di “amici della foresta dei cedri” sta cercano di riparare ai danni causati dalla natura e dagli uomini, ripulendo la zona da detriti e legni morti e ripiantando piccoli cedri. Nei legni morti vengono intagliati tutti i piccoli souvenir in vendita all’uscita dal parco su una dozzina di bancarelle, o almeno questo ci viene detto. In attesa del bus, compro un nastro della più celebre cantante libanese del momento, faccio quattro chiacchiere con il ragazzo che me lo vende. Racconta storie sul bosco dei cedri e mi chiede se sono sposata. Non è la prima volta che mi pongono questa domanda ed io, di nuovo, non oso dire la verità, temo che altrimenti ci caccino dal paese a malo modo e invochino l’ira del Signore su di noi che viviamo nel peccato... L’autista del ritorno è un pazzo spericolato. Praticamente corriamo sul filo della scarpata e non oso guardare fuori, ma almeno arriviamo presto a Tripoli, ci facciamo un giro nel suq, e vediamo un paio di moschee veramente belle. Peccato che noi donne non siamo ammesse! Gianni per solidarietà non entra nemmeno lui.

La sera ci facciamo portare da un taxi ad Al Mina, a circa 3 chilometri, è la parte sul mare di Tripoli, c’è una Corniche più piccola di quella di Beirut e neppure troppo viva, con poche gelaterie qua e là. Andiamo a farci un bel frullato in un localino gestito da Ziki, è strasimpatico e purtroppo per noi parla solo arabo. Cerco di fargli capire che vorrei che mi frullasse un guava, ma alla fine ci capiamo solo sul mango. Appena scopre che siamo italiani fa un sorriso smaliante, ci fa capire che Libanesi e italiani sono amici e alla fine ci offre i frullati. Dobbiamo ringraziare, per questo, i soldati italiani arrivati in Libano per missioni di pace. A dar retta al comportamento di Ziki, devono essere stati davvero molto apprezzati e benvoluti. Sono senza parole. Mi piace questa gente. Normalmente, rifiutare i soldi non fa parte della cultura araba (dopo essere stata in Tunisia e Turchia ne saprò ben qualcosa!) ma qui sembra tutto diverso. La popolazione libanese sembra più orgogliosa, difficilmente accetta l’elemosina. Solamente i taxisti cercano a volte di cavarti qualche 1000 llb in più del dovuto, ma in fondo sono così pochi soldi. Vicino al mare ci sono tanti piccoli ristoranti che cucinano pesce, ma tutto è scritto in arabo il che renderebbe difficile capire che cosa dovremmo mangiare. Ci portiamo così nel vialone centrale, ci sono molti negozi di scarpe, tra l’altro estremamente economici, parrucchieri, pasticcerie, ma tutto continua ad essere scritto in geroglifici. Alla fine ci mangiamo un polletto arrosto con patatine in un localino che sprizza carenza di igiene da tutti in pori. Tutte le guide consigliano sempre di stare molto attenti a ciò che si mangia, e soprattutto a dove si va a mangiare, ma come sempre accade si ignorano i buoni consigli in nome di non so quale convinzione di essere indistruttibili. Gianni si pentirà amaramente di aver intinto pezzi di pollo nella salsina rancida di yogurt e aglio che accompagnava la pietanza…

E' il giorno di Byblos (Jbeil in arabo), circa 40 chilometri da Beirut. Si tratta, leggiamo, di una tra le città più antiche del mondo, abitata continuativamente dall’epoca della sua fondazione, circa settemila anni prima di Cristo fino ai nostri giorni. Si presenta come un miscuglio di modernità e tradizione. Il castello e le vecchie case coabitano con edifici moderni ed è bello addentrarsi nelle viuzze costellate di negozietti di souvenir fino a giungere alla zona degli scavi dove si trova il castello medievale. E’ veramente un bel posto, rifatto si, ma rispettando le fattezze originali. Ci sono persino dei bagni pubblici abbastanza puliti... Byblos è la prima città che vediamo definibile come “turistica” . Anche il vecchio porto è pittoresco, con qualche barchetta e il molo. C’è un ristorante di pesce che pare essere uno dei più celebri di tutto il Libano, in cui negli anni '70 gente famosa veniva a godersi il cibo e il panorama. Proseguiamo a piedi lungo la spiaggia, ne troviamo una bellissima gestita da un hotel e, di seguito una libera e abbastanza pulita. Trascorriamo parte del pomeriggio distesi sotto il sole cocente, tuffandoci in acqua di tanto in tanto a sfidare le onde. Sarà poi faticoso risalire verso la strada principale. Rientriamo a Beirut, nello stesso albergo dell'arrivo già bloccato per altre tre notti prima di andarcene. Tornare in un ambiente conosciuto è piacevole, un po' come tornare a casa. Gianni non si sente al meglio. Lo stomaco, o meglio quella parte che sta sotto allo stomaco, gli sta dando alcuni problemi, così anzicchè il solito shwarma andiamo al Pizza Hut.     continua "Libano"

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