Liguria tropicale...


Inserito il: 11/08/2006 da Alberto Angelici
Email: albe@iol.it
Sito web: http://www.viaggiatorionline.com/profile.asp?id=Aziza
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Ogni porta, ogni finestra mostra il vuoto seghettato di vetri sfondi e grandi reti da calcestruzzo impediscono l'ingresso ai non addetti. Nei locali polverosi mucchi di vecchi arredi sfasciati, una scrivania ancora con la targhetta metallica dell'inventario, tipica dell'ufficio pubblico, bidoni bisunti, un paio di panche da sala d'attesa di seconda, casse sfondate e, in un angolo, un mucchietto di targhe gialle: agganciate ai vagoni, ne indicavano ai viaggiatori lla destinazione finale.

Un carretto portabagagli di color grigio punta le stanghe al soffitto e i solidi cerchioni pieni sembrano avere ancora tanta voglia di lavorare. Ricordo i facchini in tenuta del medesimo grigio, il berrettuccio nero e la massiccia tracolla di cuoio pure nero che reggeva il borsino dei soldi. Li vedevo alla stazione di Bologna, ogni volta che con mia nonna andavo verso Cesenatico dove la mia famiglia aveva la casa per l'estate. Ne ammiravo la solidità, i gesti sicuri e misurati con cui caricavano bauli e pesanti valigie sui vagoni. Ma forse la loro era solo noia e la mia fantasia s'inventava il resto.

è buffo, surreale, guardare una stazione fantasma, completa di tutto ma del tutto priva di binari e di viaggiatori e di personale. Non manca neppure la fontanella, tonda ma secca, dove di sicuro in estate i passeri andavano a bere, davanti a quella che forse fu l'abitazione del capostazione. Sopravvive un giardinetto due metri per due, con l'aria feroce e disperata di chi da un momento all'altro tirerà i remi in barca.

Non mancano i respingenti al termine del binario morto, anzi traslato. Il cadavere infatti, traversine e binari, non c'è più, scomparso assieme ai suoi fratelli un tempo vivi e lucidi per il passaggio dei convogli. In alto, sulla facciata, i bracci decò della pensilina di ghisa. Gli stessi che per oltre un secolo hanno protetto le acconciature delle eleganti dame sbarcate al sole della Riviera dalle umide contrade del Regno Unito ora incorniciano le effusioni di due cani che insistono a voler garantire un futuro alla loro improbabile stirpe.

Attorno a noi è ormai buio e il crinale boscoso dietro il paese si accende di lucine sparse, altre lampade specchiano in mare e danno vita e luce a una risacca sempre più debole. In alto, striscia, bianco e rosso, il traffico silenzioso del viadotto autostradale. Tutto questo, inclusi noi e il camper, mi appare per un attimo come la ricostruzione in cartapesta di un presepe postmoderno: manca soltanto un balordo che freghi l'agnello in spalla al pastore verso la grotta e in cielo un quadrigetto a mò di cometa. Al suo posto, c'è una gran luna che fa risplendere come lastre d'argento le lunghe serre della floricoltura sui gradoni della collina, le stesse che negl'anni, assieme al turismo, hanno reso ricca la zona.

Fu nei primi decenni dell'Ottocento che la cultura anglosassone scoprì questi luoghi, per merito di un oscuro scrittore ligure che, fuggito in Inghilterra ai tempi dei primi moti rivoluzionari, pubblicò un romanzo che aveva come protagonista la storia amorosa di una tal Mary, londinese, con un medico o farmacista ospedalettese. L'opera fu un successone e da quel giorno frotte di inglesi sciamarono fin qui, incuriositi ed estasiati dalle descrizioni di un luogo dove la vegetazione era quella dei tropici e ogni estate pareva tutt'uno con quella successiva.     continua "Liguria tropicale..."

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