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Il Turkmenistan nell’era del Ruhnama


Inserito il: 03/07/2005 da Adriano Socchi
Email: adrimavi@libero.it
Sito web: http://www.adrimavi.com
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Dopo il pauroso terremoto del 6 ottobre 1948 e gli anni bui del regime sovietico, oggi Ashgabat rivive e giorno dopo giorno cerca una sua nuova identità, almeno agli occhi dello straniero, a discapito, però, della popolazione. La città cambia continuamente volto per via delle tante opere fatte costruire. Le aree demolite per far spazio a queste grandi opere sono costate la distruzione di centinaia di case e il conseguente sfratto di migliaia di persone. Oggi ad abitazioni quasi in rovina si alternano edifici nuovi o in via di costruzione, alcuni dei quali hanno anche un certo fascino architettonico, come può essere “l’Arco della Neutralità”. Sulla sommità si trova una statua di Niyazov, ricoperta d’oro, alta 12 metri e con le braccia tese verso il sole, che gira in base al percorso dell’astro. Cosa dire, poi, dei palazzi di piazza dell’Indipendenza tra cui svetta quello di “Turkmenbashi”, con la cupola d’oro, e della “moschea di Azadi” ad imitazione della moschea Blu di Istanbul? L’insieme che ne scaturisce è qualcosa di anacronistico. Fanno quasi tenerezza i bellissimi hotel e palazzi di marmo bianco del surreale “quartiere di Berzengi” completamente vuoti. Il luogo comune di città in mezzo al deserto resiste malgrado le infinite fontane fatte costruire e i tanti verdissimi giardini, oggi un segno indelebile all’interno del paesaggio cittadino. Ad Ashgabat si trova la fontana più grande del mondo una vera e propria piramide alta 70 metri sui cui fianchi precipitano fragorose cascate. Chi allora verrà per la prima volta ad Ashgabat sarà costretto a ricredersi in quanto non troverà una città in mezzo al deserto. In alcuni periodi dell’anno si possono addirittura ammirare le cime innevate del Kopet Dag al confine con l’Iran. Una chicca, proprio dietro il nuovo Teatro Nazionale, su di un plinto tipicamente centro-asiatico troneggia ancora, nel centro della piazza, una delle ultime statue di Lennin rimaste in piedi dopo lo smembramento dell’Unione Sovietica. …fino a quando? Chissà?

Prima di lasciare Ashgabat cerchiamo invano di cambiare, ma le banche chiuse ci costringono a servirci del cambio in nero. Troviamo in un giovane, dallo sguardo furbo e spavaldo, l’uomo che fa per noi. Costui entra nel cortile di un palazzo e a un suo semplice fischio vediamo volare da un balcone un sacchetto pieno zeppo di mazzette di manat. Nei quartieri periferici, infine, i palazzi sono tutti uguali e assomigliano a tanti alveari, per via della moltitudine d’antenne paraboliche montate sui balconi o alle finestre. Il motivo è semplice: ad Ashgabat non esistono i cinematografi allorché Niyazov ha dichiarato i films non facenti parte dell’arte Turkmena, La vita notturna è quasi inesistente. I pub di tendenza si contano sulle dita di una mano e sono ravvivati solo in rare occasioni, quando suona qualche complesso locale, ma alle undici tutto finisce. I locali chiudono. Per quanti vogliono continuare la serata, non resta che infilarsi in una delle tre discoteche della città che dispongono di particolari licenze per tirare avanti fino all’alba. Ecco la scorza, a nostro parere, di questa megalomane capitale che potremmo enfaticamente definire un guasto alla modernità e che conserva per certi versi molti aspetti del suo passato sovietico.     continua "Il Turkmenistan nell’era del Ruhnama"

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