En los Altos de Chiapas: Seconda Parte

Ciò che colpisce maggiormente visitando questi villaggi e in particolare San Juan Chamula è la religiosità peculiare di questa gente: mille parole sono già state spese, soprattutto a scopo di richiamo turistico, sulla chiesa di Chamula, con il suo pavimento ricoperto di aghi di pino, le candele di ogni colore e dimensione, i fiori, i riti con le uova e le galline, le bottiglie di Coca-Cola e le statue dei Santi con lo specchio sul petto per respingere il male. Ma la cosa più bella è che la loro fede si basa su un dialogo diretto con Dio, senza intermediari né celebranti, dove ciascun fedele si accovaccia a terra e trascorre un lungo tempo in conversazione con Dio, dopo avere ingerito una speciale bevanda ricavata dalla canna da zucchero, che li porta in uno stato quasi di trance in cui perdono contatto con la realtà circostante. .

Anche il rapporto con i loro defunti è più sereno del nostro: infatti, loro credono che l’anima dei morti non viva con il corpo sotterrato (a ricordo del quale viene piantata una semplice croce in legno colorato), ma si unisce a questo solo nell’anniversario della morte o in occasione della festa dei defunti. In quei giorni è costume trascorrere l’intera giornata al cimitero portando a chi non c’è più le cose che aveva maggiormente gradito in vita (cibi, tequila, musica, fiori…), il tutto in un’atmosfera festosa e conviviale. .

Lasciando San Cristòbal per scendere verso Palenque bisogna percorrere altre quattro ore di curve attraversando la selva Lacandona: l’impatto con la natura è davvero notevole in quanto si passa dai boschi di conifere a una vegetazione via via sempre più tropicale e rigogliosa, con alberi enormi e verdissimi, foglie talmente larghe da potere essere utilizzate all’occorrenza come ombrelli, fiori coloratissimi e – ahimè – un’umidità davvero soffocante. .

Man mano che si scende verso la pianura cambiano anche le caratteristiche delle comunità indigene: infatti, sugli altipiani le abitazioni hanno i muri in adobe, materiale in grado di isolare il freddo, mentre più in basso le case hanno le pareti di legno e il tetto di foglie di palma secche e gli abiti tradizionali sono in tessuto più leggero e hanno colori vivaci. Dalla strada si possono anche notare un paio di municipi autonomi zapatisti che ospitano, tra l’altro, una gran quantità di sfollati cacciati dalle loro terre dalla repressione paramilitare. .

Sulla strada abbiamo fatto l’immancabile sosta alle cascate di Aqua Azul, dove è anche possibile fare il bagno nelle pozze più grandi ai piedi delle cascate; questo luogo è molto frequentato dalle famiglie messicane che organizzano picnic sulle rive e ne approfittano per rinfrescarsi dalla calura appiccicosa. La cosa particolare è che i messicani hanno l’abitudine di fare il bagno indossando magliette, gonnelle e pantaloncini sopra il costume, in parte per pudore, in parte – sostiene qualcuno – in quanto non amano abbronzarsi per non essere poi scambiati per indios (che di natura hanno la pelle più scura). .

Ultima tappa chiapaneca: Palenque! Il sito ha davvero una bella atmosfera perché è completamente immerso nella selva maestosa e lussureggiante, in cui riecheggiano solo i “ruggiti” delle scimmie urlatrici, e gli imponenti templi e palazzi, che il paziente lavoro degli archeologi tenta costantemente di strappare a fatica dalla furia divoratrice della foresta, acquistano una colorazione quasi madreperlata e luccicante. In questa zona della selva l’antico sapere sciamanico ci ha offerto un’utile lezione di medicina alternativa: infatti qui cresce un albero dalla corteccia rossastra che si spella in strati sottilissimi; questi, applicati sulle tempie, sono un ottimo rimedio contro febbre e dolori in quanto – è poi stato scoperto – contengono paracetamolo (principio attivo della nostra Tachipirina!).

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