Tibet: una strana messa


Inserito il: 28/12/2007 da Camillo Vittici
Email: cvittici@alice.it
Sito web: http://www.viaggiatorionline.com/profile.asp?id=Camillo+Vittici
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Saliamo sulla rampa che conduce al "Potala", il grande Tempio che fu la residenza del Dalai Lama, il capo spirituale del Tibet. E’ un imponente costruzione che s’erge colossale nel centro della città. E’ impossibile non notarla nei suoi diciassette piani. Maestosa, solenne, mero miracolo di antica architettura. I passaggi sono mirabilmente affrescati e colorati; anche qui ristagna l’odore del grasso di Yak che brucia nelle ciotole dei mille altarini. Si passa da un piano all’altro salendo ripide e strette scalette buie che solo con l’aiuto delle provvidenziali torce elettriche che ci siamo portati si riescono a trovare. Schiere di pellegrini fanno interminabili file per sostare davanti alle statue delle divinità. Attendono diligentemente e pazientemente il loro turno, senza affrettarsi o accalcarsi tenendo in braccio i bambini o sorreggendo i più anziani. E’ un dedalo di corridoi e di stanze in cui è probabile, o meglio, è sicuro perdersi senza una guida esperta. La nostra, al contrario, è rappresentata solamente da un libretto affidatoci all’hotel e, per di più, scritto a caratteri cinesi. Ci fidiamo dell’istinto che non tarda a tradirci. Infatti al quarto piano perdo le tracce dei compagni. Continuo da solo, seguendo la teoria dei pellegrini. Sono guardato come si guarda una strano animale allo zoo: il mio abbigliamento non è certo quello delle grandi occasioni. Semplicemente un paio di blue jeans e un pullover rosso. Quello che attira maggiormente la loro attenzione è la catena che porto al collo con un medaglione d’oro che racchiude un grosso topazio giallo. Molto probabilmente, ai loro occhi, deve rappresentare uno strano e misterioso amuleto vista la curiosità e l’interesse con il quale lo toccano, come fosse un feticcio capace di chissà quali prodigi o stregonerie. Ne approfitto per superare le lunghe file che sostano davanti agli altari e rendere, così, più spedita la mia visita che ormai si protrae ben oltre il previsto. Un po' per concedermi una pausa in questo itinerario da un piano all’altro, un po' per togliermi dalle narici l’odore nauseabondo del grasso di Yak, giungo, finalmente, su una balconata. I pellegrini si prostrano con una serie continua e infinita di inchini davanti al tempio, cantilenando in continuazione le loro preghiere. Sono giunti a gruppi dalle strade impervie e disastrate, poco più di mulattiere, che s’innestano da ogni direzione nelle vie poco più larghe della città. Indossano vestiti colorati. Le donne hanno il capo adorno di foulards di lana d’un intenso azzurro e i capelli acconciati in vistose trecce raccolte come corone attorno al capo, arricchite da bande di tessuto ornato da pietre ove spicca più evidente il verde dei turchesi. Grossi medaglioni di metallo pendono da catene di ambra e di perle di fiume che vengono riesumate dai cassetti del "tesoro" di famiglia per le grandi occasioni. L’abito scuro mette in risalto un drappo di strisce colorate a mo’ di grembiule. Le casacche degli uomini sono più sobrie, ma , tuttavia, il tutto viene vivacizzato da giri di pietruzze attorno al collo. Nubi d’incenso d’un profumo acre e penetrante si levano da tutto il piazzale ed il tutto è sopraffatto dal suono dei corni che giungono dall’interno. Poi, come ci si inoltra nel vasto cortile, sembra di entrare in un film in tecnicolor e cinemascope: una schiera di monaci dai caratteristici mantelli rosso scuro danno periodicamente fiato a lunghe trombe di metallo lucente che emettono un lungo suono che fa vibrare le pareti di legno del tempio cesellate di figure d’ogni colore, alternando lunghe orazioni cantilenanti in un coro declamato ad alta voce. "Om Mani Pedme Hum". La preghiera dai mille e incerti significati che mette la volontà umana in contatto con l’energia pura del Dio, l’essere che si è purificato e svestito di ogni difetto sino ad ottenere una mente illuminata da perfetto amore, compassione e saggezza. Il tempio è rivestito di migliaia di immagini sacre d’ogni dimensione, dipinti straordinariamente ricchi di forme e di colori in cui si mostrano le tante divinità che personificano il perfetto compimento di particolari qualità innate in ciascun genere umano, dall’Amore alla Saggezza, dal Coraggio all’Energia illuminata. Infine la statua grande del Buddha che occupa la Sala centrale. La fila dei fedeli sembra non finire mai; davanti al Dio depongono e monete e fiori e aggiungono grasso di Yack agli innumerevoli contenitori dei lumi che ornano l’altare a scopo votivo. L’odore del grasso aleggia in tutto il tempio con intensità tale da procurare una profonda nausea, ogni legno e le scale ne sono impregnate e gli abiti ne portano il "segno" anche dopo molte lavature.     continua "Tibet: una strana messa"

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