Ghibli, vento assassino


Inserito il: 28/12/2007 da Camillo Vittici
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Sito web: http://www.viaggiatorionline.com/profile.asp?id=Camillo+Vittici
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Qual'è l'incontro migliore che tre persone accaldate e stanche, chiuse in una scatola vestita di sabbia fra le dune d'un deserto possano desiderare? Sicuramente di gettarsi nello stagno d'argento coronato di palme e tanti uccelli che volano intorno che scorgiamo qualche chilometro proprio nella nostra direzione. Acceleriamo la corsa e già ci togliamo le canottiere sudate pregustando il tuffo. Calcolare le distanze in un deserto è un po' come valutarle al mare. Siamo in marcia di avvicinamento da più di due ore, ma il laghetto è sempre là. Tre ore, tre ore e mezzo, ma la distanza pare immutabile. Ci arrestiamo quando incontriamo un cammelliere solitario. Per fortuna capisce il francese e quando gli chiedo notizie dello specchio d'acqua ancora ben visibile scoppia in una fragorosa risata. "C'est un mirage!". Accidenti, allora è proprio vero: quel maledetto miraggio ci ha rubato ore di strada e ci ha regalato una figuraccia evidenziando tutta la nostra ingenuità. Una piccola oasi segnata a malapena dalla carta delle piste ci ospita per la notte. Ci sediamo in un localetto dalle sedie sgangherate e dai tavoli che si sorreggono a malapena sulle gambe già da troppo tempo digerite da tarli voraci e sorseggiamo avidamente le birre che escono fresche da un frigorifero alimentato dai pochi watts che un generatore asmatico si ostina a fornire con un fracasso che disturba con violenza l'atmosfera placida del luogo. Le mie carte, tuttavia, son più dettagliate delle loro e son segnate anche le piste più piccole e remote. In un mattino di sole accecante (non può essere che così, dato che da queste parti la pioggia si conosce solo sfogliando un'enciclopedia) ci rimettiamo in moto. Dopo circa un'ora di corsa fra le dune che non finiscono mai si leva noioso un venticello che infastidisce la guida e, a volte, nasconde e confonde la pista. Ormai siamo già usi a folate del genere, ma quella di oggi insiste prepotentemente e sembra aumenti di minuto in minuto. Ora non si vede più nulla, perdiamo il contatto visivo con l'ambiente che ci ospita e ci circonda.

Il vento diviene bufera e la Pegeout è investita da una grandinata di sabbia. Sembra d'impazzire a quel ticchettio assordante che di minuto in minuto si muta in un terribile rumore di scroscio. Le ruote slittano paurosamente sull'impalpabile polvere che nasconde il tracciato che ormai non si può più distinguere. Urlo a Beppe, che è alla guida, di proseguire ad ogni costo. Dal pallore del suo volto mi accorgo che il suo timore si confonde con la nostra paura. Quel maledetto ghibli che avevamo sempre sperato di non incontrare ora ci sta attanagliando e si sta imponendo con tutta la sua forza, la sua violenza e la sua rabbia. Con la luce interna accesa sfoglio la carta e mi accorgo che a poca distanza si stacca dalla pista che stiamo percorrendo o che, almeno, crediamo di percorrere un ramo secondario che porta ad una stazioncina militare. Ne sono sicuro poiché il cerchietto segnato in rosso è contrassegnato col nome di "Presidio". Eccola, la deviazione è qui a destra. Beppe pigia più forte l'acceleratore per non rimanere insabbiato. E' l'istinto che ci guida e la speranza che ci sostiene. Scorgiamo davanti a noi la sagoma scura di una piccola costruzione. Ci diamo grosse pacche sulle spalle: ce l'abbiamo fatta! Scendiamo dall'auto con la bocca ben serrata e gli occhi semichiusi e ci ritroviamo sotto una elementare tettoia che ci protegge. Lo sbattere di una porta accompagna l'uscita di un militare che ci fa entrare. Una stanzetta di due metri quadrati ci sembra il paradiso.

Ci richiamano in una stanza più grande e ci troviamo di fronte a una grossa teglia di kuskus. Tutti assieme mangiamo a mani nude. Carlo e Beppe si coricano sui sedili della Pegeout. Io mi sdraio all'esterno su una branda con la sola rete e mi mi avvalgo di una coperta per ripararmi dalla tempesta che pare tuttora scatenata. Mi sveglio sotto un peso assurdo: nella notte la sabbia si è posata sopra il mio corpo addormentato in uno strato di una trentina di centimetri. C'è già chiaro; l'aria attorno è tranquilla e il sole torna a dipingere un cielo sereno. Attendiamo un giorno intero che un cingolato tracci una nuova pista. Lo seguiamo a velocità ridotta come il pulcino segue la chioccia. Si riparte,cosi', verso questa stupenda ed esaltante avventura.

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