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Il deserto di Lawrence d’Arabia


Inserito il: 12/12/2007 da Adriano Socchi
Email: adrimavi@alice.it
Sito web: http://www.viaggiatorionline.com/profile.asp?id=Adriano+Socchi
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I beduini sono soliti venire fin qui a rifornirsi di acqua. Sono una popolazione nomade che vive di pastorizia e si sposta in cammello. Le loro tipiche tende, coperte con lana nera di capra, sono sempre aperte ai forestieri. Qui l’ospite è sacro. Il turista, per tanto, è sempre il benvenuto. All’ingresso della tenda Imhilah, una giovane ragazza, con in testa uno chador nero, è indaffarata a cuocere il pane, per l’intera famiglia. Veniamo invitati ad entrare. L’intero perimetro della tenda è coperto da tappeti. Ci sediamo per terra e, come a casa di Selim, il capo famiglia ci offre del tè, anche qui con il latte. Si discute e basta. Dico questo poiché da un momento altro ci aspettavamo che qualcuno sbucasse a venderci qualcosa e invece questo non accade. Le domande sono le solite: da dove arriviamo, come si vive nel nostro paese, che lavoro facciamo.

Proseguiamo per il "Canyon di Kazali" e quando arriviamo il sole splende ormai alto sul Wadi Rum. Com’è diverso il deserto ora che è giorno rispetto alla notte. Nel canyon si possono vedere dei graffiti risalenti all’età della pietra, molto ben conservati grazie alle favorevoli condizioni atmosferiche della regione. E’ sufficiente inoltrarsi per un centinaio di metri per godere della visione dei disegni incisi nella roccia, da chissà quale preistorico artista. Vi sono raffigurati per lo più animali, e vien da chiedersi come è possibile dato che guardandosi intorno non c’è altro che roccia e sabbia. Evidentemente in quell’epoca lontana il luogo doveva essere assai diverso, cosparso di verdi prati e innumerevoli animali.

Da qui, dovevamo continuare per il "Grande Arco di Burdah", ma Selim ci avverte che è troppo lontano per il tempo a nostra disposizione e suggerisce la visita ad un altro arco, più vicino, meno grandioso, ma altrettanto suggestivo. Il paesaggio che attraversiamo è all’apparenza tutto uguale: sabbia, megalitici torrioni di arenaria e granito, i cespugli di acacia... eppure se si osserva attentamente è sempre diverso. La guida è difficoltosa perché si svolge interamente su piste di sabbia, tant’è che in più di un’occasione rischiamo di restare insabbiati. Le 4 ruote motrici sono indispensabili. Sulla strada, incontriamo il mitico "Ristorante di Lawrence", a dire il vero molto fatiscente, un cumulo di pietre e niente di più. Tuttavia è impossibile non emozionarsi, nel vederlo, se si è letto il libro "I Sette Pilastri della Saggezza".

Da questo punto in poi, imbocchiamo la via del ritorno, del nostro giro circolare, passando nuovamente per la "Grande Duna", sulla quale eravamo stati all’alba. Ora la sabbia è meno rossa, il cielo meno blu. Dalla cima le cupole di roccia e gli scenari di sabbia, che avevamo visto illuminati dalla luce spettrale della luna, sono infuocati dal sole cocente del mezzogiorno. Fa’ caldo, e dire che siamo a novembre. In estate, dice Selim, le temperature sono insopportabili e per un tour come il nostro bisogna necessariamente rientrare a Rum, per non essere sorpresi nelle ore più calde della giornata nel bel mezzo del deserto. Nel tardo pomeriggio rientriamo, dopo aver girovagato in lungo e in largo per il deserto, passeggiato a piedi per gli ampi pianori di sabbia, arrampicato su alcuni dei tanti costoni rocciosi sopra ai quali ammirare sempre nuovi panorami.

Proprio alle porte di Rum incrociamo due pittoreschi agenti della Desert Patrol, la famosa polizia del deserto, diventata tale per via dell’insolito mezzo di trasporto: il cammello. Fino a non tanto tempo fa tutti questi poliziotti, addetti a pattugliare il deserto al confine con l’Arabia Saudita per scoraggiare il contrabbando di droga, si servivano dei cammelli per spostarsi. Oggi sono soltanto più pochi quelli che utilizzano l’animale simbolo del deserto, ormai sostituito da potenti e veloci fuoristrada.

Tutto a Rum evoca le gesta di Lawrence d’Arabia. Perfino nell’unico "supermercato" del villaggio, un piccolo negozio in cui si vende di tutto, si trovano i poster del mitico ufficiale inglese, che ormai tutti associano al viso dell’attore che ne ha interpretato il film. La nostra avventura è finita e ci congediamo da Selim, che a dispetto della giovane età ci è sembrato un uomo maturo e consumato dagli anni. Veste nella maniera tradizionale, cioè indossando una tunica rigorosamente bianca lunga fino ai piedi, con in testa il kafiyyeh, il tipico fazzoletto arabo, fissarlo al capo dalla ‘iqal, la tipica corda nera. E’ pure lui consapevole di essere una rarità perché i giovani, e in realtà la società tutta, negli ultimi anni si è modernizzata, sulla scia di una politica disponibile ad aprirsi verso l’occidente.

Il deserto del Wadi Rum, seppur facilmente raggiungibile, non ha aperto le porte al turismo di massa. Infatti, a Rum, l’unica sistemazione rimane per ora la rest house e l’attiguo campeggio. Per tanto fin quando non saranno costruiti dei lussuosi alberghi l’intera area di questo deserto, passato alla storia prima per essere stato il teatro delle imprese di Lawrence d’Arabia e dopo per la riconosciuta bellezza dei suoi paesaggi, rimane un luogo tranquillo e riservato. Ci si rende conto di quanto penetri nell’animo non appena lo si lascia.

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