Cose turche


Inserito il: 12/12/2007 da Adriano Socchi
Email: adrimavi@alice.it
Sito web: http://www.viaggiatorionline.com/profile.asp?id=Adriano+Socchi
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Grazie alle buone indicazioni stradali e alla disponibilità della gente non è difficile orientarsi e raggiungere Pammukale. Una forte impazienza ci assale quando i segnali indicano ormai solo più pochi chilometri. Abbiamo tanto desiderato raggiungere questo posto che siamo sicuri di non restarne delusi. Intanto, attraversiamo un angusto complesso con case, alberghi, ristoranti, negozietti di souvenir e numerosi scavi in corso. Nulla lascia presagire il paesaggio strabiliante che di li a poco vedremo. Parcheggiata l’auto e la moto, proseguiamo a piedi ed iniziamo ad intravedere un luogo fiabesco e magico costituito da rocce di un bianco abbagliante.

Ancora qualche passo e davanti ai nostri occhi si spiega, lungo tutto il fianco della montagna, una fantastica formazione di castelli pietrificati, stalattiti e cataratte d'acqua calda che creano delle piccole piscine di colore azzurro e verde. Viene spontaneo svestirsi, bagnarsi e trascorrere tutta la giornata all’insegna del relax. Tanto più che queste acque hanno proprietà curative. Vale la pena fermarsi fino al tramonto per vedere il bianco accecante delle rocce, del mezzogiorno, trasformarsi via, via in un bianco più tenue fino all’arancio e al rosa del calar del sole. Alla sera, scherzando con i proprietari della pensione che ci ospita, io e Ciocio veniamo trascinati a forza in piscina e con noi anche i nostri marsupi. Morale: trascorreremo la notte a stendere nelle rispettive camere ben 30 milioni di banconote turche.

Il giorno seguente, durante la colazione, che per tutti i quindici giorni consisterà in formaggio fresco, pomodoro, cetriolo, olive, uova sode, confetture di frutta (scadute) e l’immancabile tè alla mela, avvertiamo una leggera scossa di terremoto che alcuni vivono quasi con divertimento, ma altri con molto spavento. Riprendiamo il viaggio risalendo una valle laterale del fiume Vandalas, verso Afrodisia. La giornata è calda così usufruiamo più di una volta delle docce per le auto che si trovano presso i benzinai o sui cigli di qualche piazzola lungo la strada. Sono messe apposta perché i conducenti possano rinfrescare le lamiere della macchina e rendere sopportabile la temperatura all’interno dell’abitacolo. Impieghiamo più tempo del previsto poiché, in tutte quelle che incontriamo, non ci fermiamo a bagnare solo l’autovettura …

Sulla strada incrociamo un’infinità di venditori di olive, ma ad attirare i nostri palati sono i bambini, degni di essere giocolieri in un circo, che tengono dei grossi vassoi in testa, pieni di deliziose ciambelle di pasta di pane, ricoperte da semi di sesamo. Queste ciambelle, che ricordano quelle che si mangiano all’Oktober Fest, sono buonissime e ne mangeremo a volontà nonostante la colazione consumata da poco. Raggiungiamo quindi Afrodisia, città consacrata alla dea della bellezza e dell’amore. Si respira tutt’altra atmosfera rispetto a Efeso. Qui siamo i soli a visitare le rovine, si ha tempo e modo per godersele.

La costruzione più importante è l’Ippodromo, dalla pianta rettangolare allungata, con le estremità arrotondate, con 22 ordini di gradini e 30 mila spettatori di capienza. Fu costruito nel I secolo dC ed è uno dei più belli e meglio conservati del mondo. Notevoli sono pure il Teatro, l’Odeon e soprattutto il Tempio di Afrodite, in posizione isolata rispetto al resto delle rovine. Non vi dico a cosa servissero questi templi, credo che possiate benissimo immaginarlo da soli.

Calpestando le innumerevoli vestigia della penisola, dell’antica Asia Minor dei Romani, non si può dimenticare che gli Italiani, secondo la mitologia figli di questa terra: Enea, un troiano - oggi diremo un turco - approdò dopo varie peregrinazioni nelle terre del Lazio e dalla sua stirpe nacquero Romolo e Remo.

Alla sera in una lokanta di un piccolo e sperduto paese della Caria, ci abbuffiamo di borek, il classico pane arabo. La peculiarità di questa trattoria in cui ci siamo fermati sta nel fatto che lo servono appena sfornato. Potete immaginarne la bontà. Ordineremo non so più quanti cestini di borek, che accompagneremo con semplici bocconi di petto di pollo, naturalmente ben speziati. Il proprietario, meravigliato e allo stesso tempo soddisfatto dei nostri apprezzamenti verso il suo pane, alla fine della cena ci accompagnerà in cucina dove due donne, con il chador in testa, sono impegnate ad impastare la pasta. Accanto a loro, un uomo provvede ad infornare il borek.

Ci stiamo ritirando, a piedi, presso la casa della famiglia che ci ospita per la notte, sistemazione trovata dopo essere stati avvicinati dal figlio che pattugliava l’entrata del paese per accaparrarsi gli stranieri in arrivo, quando diventiamo involontari protagonisti della preghiera serale del venerdì. In Turchia il venerdì equivale alla nostra domenica. Non si lavora e i negozi sono chiusi. Assistiamo allo spettacolo dal cancello di una moschea il cui cortile è pieno di fedeli raccolti per la funzione. Vediamo soltanto uomini, aventi in testa un copricapo bianco ricamato.

Sono trascorsi già tre giorni dal nostro arrivo in Turchia e, tra una visita e l’altra, ora architettonica, ora paesaggistica, e ora culinaria, aoltanto ora percepiamo le prime differenze con la nostra società e cominciamo ad intuire quanto maggiori saranno mentre ci infileremo nell’interno del paese, allontanandoci dagli itinerari battuti dai turisti.

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