Viaggio lungo il Mekong


Inserito il: 11/12/2007 da Adriano Socchi
Email: adrimavi@alice.it
Sito web: http://www.viaggiatorionline.com/profile.asp?id=Adriano+Socchi
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Accanto ai mercanti tradizionali, e a quelli che vendono non ben identificabili insetti, vivi, rinchiusi in piccole buste di plastica di cui la gente fa incetta, ce ne sono alcuni che trafficano illegalmente oppio. La zona della macelleria è raccapricciante per via dei pezzi di carne sanguinante esposti. Ragazzi col kalashnikof portato noncurantemente in spalla, o alla mano, s'aggirano per il mercato.

Riprendiamo la navigazione sul Mekong salpando con una slow-boat, una chiatta lunga e lenta, tutta per noi. E' di qui che assistiamo e scopriamo lo svolgersi della vita sul Mekong. Osserviamo l’inestricabile foresta monsonica arrampicarsi su picchi scoscesi e ripidi, i differenti tipi di piantagione di cui riconosciamo solo quelle di banane, uomini impegnati nel lavoro e bambini sguazzare in acqua, canoe usate come traghetto per spostarsi da una riva all’altra o da villaggio a villaggio, imbarcazioni che trasportano merci. Il ponte della nostra barca è un punto d’osservazione unico, privilegiato. Sostiamo in alcuni piccoli villaggi che, forse, non hanno neppure un nome, case su palafitte di legno dai tetti di paglia e foglie di palma raggiungibili soltanto via fiume. Notiamo, con stupore, micidiali bombe a grappolo usate nella guerra del Vietnam riciclate come come sostegno delle case e per canalizzare l'acqua alle risaie. Pur appartenenti ad etnie diverse, la vita nei villaggi pare svolgersi identica. Qui la gente non vive sul fiume, ma del fiume. Non vi è niente di moderno: niente strade, niente auto, niente televisori e tanto meno antenne paraboliche, nessuna radio, niente elettricità. La pesca è l’attività principale insieme alla coltivazione del riso. Gli orti sorgono fitti sulle rive. L’ospitalità è identica in tutti. Quelle stesse popolazioni che in Thailandia sono, purtroppo, diventate un penoso spettacolo a pagamento per i turisti qui sono socievoli, quasi imbarazzate dalla nostra presenza, ma desiderose di comunicare. Non ci pensano proprio a chiedere soldi. Si tratta di popoli non ancora contaminati dal turismo e relativi indotti, che vivono ancora secondo le tradizioni. Dopo tanto girovagare per tanti paesi, mi sembra per la prima volta di far parte di uno di quei documentari della National Geographic.

La stessa lentezza che ci ha permesso di osservare e comprendere un po' di più quale mondo viva sul Mekong trasforma il pomeriggio in una noia interminabile. L’immobilità coatta dell’imbarcazione abbandonata alla calma placida delle acque del fiume, sulle quali scorre a fatica, ci fa di tanto in tanto rimpiangere la speed-boat mentre penetriamo nel cuore del famigerato Triangolo d’Oro, la regione tristemente famosa per via della coltivazione d’oppio, il cui commercio attraverso i confini di tre stati divenne particolarmente remunerativo tra gli anni sessanta e settanta quando gli americani s’intromisero ampliandone gli sbocchi su scala mondiale. L'oppio divenne per la Cia il mezzo per finanziare le operazioni di guerra in Indocina. Nel Triangolo d’Oro termina la nostra avventura sul Mekong.

Huay Xai è una città che corre in fretta verso l'opulenza proiettata da onnipresenti schermi televisivi. Non c’è apparecchio che non sia sintonizzato su canali o onde radio della vicina Thailandian, che si estende oltre la riva opposta del Mekong, dal posto di confine di Chiang Khong. Il progresso non si farà attendere, come dimostrano i falsi rolex e i primi telefono cellulari presenti sulle bancarelle accanto al pesce e alla frutta. Prima di entrare in Thailandia, visitiamo alcuni tipici villaggi nei dintorni Huay Xai. Sono addossati uno sull’altro, con diverse etnie che convivono tanto pacificamente tra loro che è difficile distinguerle. In uno di etnia Thai Lu osserviamo le donne intente al lavoro su rudimentali telai, in un altro alcune persone, con ampi e convincenti gesti, c’invitano a seguirle. Perplessi, ci ritroviamo in una piccola chiesa cattolica costruita da un prete francese. In un villaggio Akha scorgiamo un’anziana donna fumare una pipa d’oppio a conferma che sono tradizionalmente gli anziani a trovarvi un sostegno. Il mercato dell'oppio è oggi circoscritto tant’è che, ufficialmente, i due terzi della produzione non esce dalle province in cui è stato coltivato. L’anziana signora ci indica di seguirla e ci accompagna in una casa dell’oppio, ossia uno di quei luoghi dove gli uomini si riuniscono per fumarlo. Osserviamo, ma non entriamo. Visitiamo, infine, un villaggio di Lao Huay, curioso perché gli abitanti vestono tutti di blu scuro e le donne si distinguono per la caratteristica moneta (una piastra indocinese) appesa ai lunghi capelli lisci.

Il Laos è il paese più singolare della penisola Indocinese dove, più che altrove, si percepisce l'atmosfera del sud-est asiatico di una volta, la gentilezza di un intero popolo, la fierezza di volti e di visi, e modi di vita tradizionali che un viaggio sul Mekong permette di vivere e centellinare all’insegna dell’avventura.

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