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Perché proprio la Thailandia?


Inserito il: 28/11/2007 da Stefano Rossi
Email: stefano@imolanet.com
Sito web: http://www.viaggiatorionline.com/profile.asp?id=Stefano+Rossi
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Entrammo. Non c'era nulla, solo un tavolo e quattro sedie al centro della stanza. Il Boss ci offri della coca-cola spiegandoci come funzionava il tutto, anche se capivamo ben poco. Poi ci accompagnò in una stanza accanto dove vi era una tribunetta in legno con una quarantina di ragazze urlanti. L'imbarazzo fu totale, e aumentò quando ci fece fare un giro sulla tribunetta. Tra il grido "sexi man" e le palpate delle ragazze, la situazione era davvero imbarazzante. L'unica cosa che notai è che le ragazze erano davvero brutte. Il boss chiese allora cosa avevamo deciso. La tentazione era quella di andarcene, ma qualcuno suggerì che, vista la situazione, forse era meglio non contrariarli. La mia sensazione era condivisa, e "ONLY MASSAGE" fu la risposta all'unisono.

Il giorno dopo rivivemmo quei momenti in tono goliardico, raccontandoci la pochezza tecnica di quello che doveva essere un massaggio. Solo XXX rimase in disparte leggendo e rileggendo un biglietto che aveva fra le mani. Non lo notammo finché, al momento di andare al Palazzo Imperiale, non ci comunicò che lui non sarebbe venuto. Aveva lo zainetto in spalla, le scarpe da ginnastica e la piantina in mano. A quanto pareva, aveva avuto l'indirizzo della massaggiatrice ed aveva strappato un mezzo appuntamento. Deciso a rispettare l'impegno, partì a piedi in una impresa che per noi era dovuta al caldo del primo pomeriggio. Non avemmo sue notizie per più di tre giorni, ed eravamo preoccupati e decisi ad andare alla polizia quando una mattina comparve improvvisamente a colazione. Fu accolto da un ovazione. XXX sposò quella ragazza cinque anni dopo.

Era facile allora andare a casa della gente, sembrava la cosa più naturale di questo mondo. Una sera ero a casa dalla famiglia di Chan. Mi aveva promesso un giro a Thomburi, ma io fui folgorato dalla televisione Tailandese. La sua famiglia sparecchiò in men che non si dica. C'era qualcosa di strano nell'aria, un brivido di eccitazione aveva travolto l'ambiente tanto che anche il vecchio cane sembrava accorgesene. Spostarono divano e sedie, la cucina diventò salotto. Solo allora notai la televisione. Non dava molta fiducia. Il capofamiglia la avvicinò. Con rito liturgico sistemò con cura il piedistallo, alzò con delicatezza l'antenna, inserì la spina e spinse l'interruttore. Attimi di tensione. Lo schermo rimase nero per qualche secondo, poi ci fu un bagliore improvviso. I colori diventarono sempre più nitidi e le immagini sempre meno traballanti. Si era accesa. Trasmettevano un film dell'orrore tipo anni trenta, dove gli effetti speciali erano le strida di un vecchio grammofono e la capacità interpretativa degli attori era disarmante, ma ogni cambio di scena e ad ogni salto di pellicola nella piccola stanza echeggiavano urla di terrore, le mani coprivano gli occhi e ci si rannicchiava sempre di più dietro quel sofà color lilla.Nessuno vedeva più nulla, ma il sonoro in crescendo faceva aumentare esponenzialmente le urla. Mi immedesimai molto in quella scena già vissuta da piccolo, quando con mio padre vidi il film Gianni e Pinotto contro l'uomo lupo.

Pucket era allora già nota, ma Patong Beach sembrava solo un villaggio cresciuto in fretta. Vi erano hotel e ristoranti, ma soltanto una quindicina di bar tra cui, naturalmente, il "Banana". Appena fuori Patong le spiagge di Kata erano deserte e senza strutture, le strade sterrate e le indicazioni in Tailandese. Non c'era molto da fare se non vita di mare, così un mattino decidemmo di andare all'imbarcadero e prendere il primo traghetto che portasse in qualche isola vicina. Il traghetto, o quel che era, faceva rotta su un piccolo arcipelago dal nome curioso Phi Phi. Raggiuntolo, non potevamo credere ai nostri occhi. Il mare si confondeva con il cielo e pareti rocciose si ergevamo maestose, coperte di vegetazione. Davanti alla spiaggia di Ton Sai rimanemmo incanti. La sottile lingua di spiaggia candida che costeggiava l'isola brillava alla luce del sole e le palme sembravano disposte ad arte. Non vi erano altre imbarcazioni e compreso l'equipaggio, eravamo solo una quindicina di persone sul battello. Tutto quel paradiso era esclusivamente per noi. Non aspettammo che il battello attraccasse, non potevamo resistere al richiamo di quel paesaggio e ci tuffammo.

L'acqua era calda, brulicante di pesci colorati per nulla spaventati dal nostro arrivo. Una volta sull'isola, ci meravigliò il silenzio. Sembrava di essere approdati in altra dimensione. Non so se fosse suggestione, ma ci sentivamo dei novelli Robinson Crusoe. Fu una sorpresa scoprire che l'isola non era disabitata, ma che all'interno vi era una piccola comunità di pescatori e che c'erano anche dei bungalow, sette per la precisione. Erano in legno, arredati in modo spartano ma non impersonale, e naturalmente senz'acqua corrente - sostituita da una tinozza con un mestolo - ma avevano una graziosa veranda ed erano all'ombra delle palme. Non ci facemmo pregare, e mai decisione fu così unanime all'interno del gruppo. Affittammo due bungalow tramite un ragazzo dell'equipaggio e, non essendoci portati niente, facemmo i nostri acquisti in un improvvisato shopping center gestito dagli abitanti dell'isola, fornito di prodotti locali.     continua "Perché proprio la Thailandia?"

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