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Marocco. Nei dintorni di Zagora


Inserito il: 19/11/2007 da Mauro Morelli
Email: maumorelli@virgilio.it
Sito web: http://www.viaggiatorionline.com/profile.asp?id=Mauro+Morelli
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La strada asfaltata che collega Zagora a Tamegroute è interrotta per un completo rifacimento e quindi dobbiamo viaggiare per una decina di chilometri sullo sterrato laterale: paesaggio arido e pietroso, qualche dromedario che pascola alla ricerca di arbusti da mangiare, bambini che offrono - pieni di speranza - piccole biciclette costruite con lattine schiacciate, traffico limitato a qualche grand-taxi che circola carico di persone. Giungiamo a Tamegroute, importante centro religioso ed educativo sino a poco tempo fa, una serie di ksour collegati l’uno all’altro e racchiusi entro una piccola cerchia di mura.

Lasciamo l’auto in un ampio spiazzo terroso fuori della porta principale della cittadina, animato da venditori ambulanti, e scortati dal fedele – fedele alle provvigioni! – Abdul II, e subito presi in consegna da una guida locale, iniziamo la visita. Interessante una importante biblioteca ove vengono conservati, in semplici armadi protetti da ante a vetro, preziosissime edizioni del Corano risalenti al XIII secolo, impreziosite da stupende miniature raffiguranti, come al solito, solo motivi geometrici, calligrafici o floreali. Poi ci addentriamo nelle sue strette e misteriose stradine interne, luminose quelle a cielo aperto e buie quelle coperte da un soffitto in canne e rami di palma mescolate a terra rossa . Incontriamo un gruppetto di giovani donne, vestite interamente di nero, che appena si accorgono delle nostre macchine fotografiche pronte a colpire, fuggono coprendosi elegantemente gli occhi.

Completamente affascinati e storditi da tutto quello che ci circonda, osserviamo due mamme in un vicoletto buio, sedute per terra mentre stanno allattando al seno i loro bambini, lo scuro interno di un ambiente, che chiamare casa è impossibile, dove un bambino di tre anni, attaccato da un nugolo di mosche attirate dal suo muco nasale, piange disperatamente rotolandosi sul pavimento di sconnessa terra battuta mentre la sorellina, di poco più grande, cerca di consolarlo distraendolo con un fiammifero acceso, un continuo avvicinarsi di bambini scalzi e sporchi, gli immancabili ceri che colano dal naso, che chiedono con insistenza un dirham, un bon-bon o una stilò. In questi frangenti meglio non accontentare nessuno perché, in caso contrario, la voce si spargerebbe e ci vedremmo improvvisamente assaliti da altre decine di richieste che non saremmo in grado di esaudire. Quindi tiriamo avanti dicendo che non abbiamo niente da dare. Solo quando siamo certi di non essere visti, ci lasciamo andare e regaliamo la caramella o la moneta che ci ormai ci stanno scottando le taschi all’ultimo bambino rimasto, quello più cocciuto- o disperato - che fino all’ultimo, non avendo niente da perdere né da fare, riesce a sperare in qualcosa.

Usciamo da quell’intrico di vicoletti e visitiamo una cooperativa di vasai. Alcuni operai, costantemente avvolti da un denso fumo nero, alimentano con grosse fascine di foglie di palma un rudimentale forno in terracotta,. Cinque ore a 1200 gradi producono le piccole e lucide mattonelle verdi utilizzate per la copertura di tetti e sporgenze varie. Ci ritroviamo tutti nello spiazzo d'arrivo, antistante la porta della cittadina, spiazzo che funge anche da piazza principale e luogo di ritrovo degli uomini e, dopo aver telefonato dalla solita, immancabile ma graditissima Teleboutique, e aver assistito ad uno stupendo cielo rosso dietro la silhouette di alcune palme, risaliamo sul nostro pulmino e torniamo a Zagora.

Il giorno successivo si va a sud, fino a M’hamid, a circa 90 chilometri da Zagora. Ripercorriamo il tratto di strada fino a Tamegroute e poi continuiamo per una zona desertica pietrosa; la strada sale poi per attraversare una serie di colline caratterizzate da alcuni picchi scoscesi curiosamente formati da strati di terra alternati a rocce squadrate simili a palizzate; superato il passo, segnato da una infantile porta ai lati della strada, attraversiamo una serie di vasti altopiani deserti, punteggiati qua e là dal verde delle oasi e dei palmeti. Il traffico è scarso, e la strada tanto stretta tanto da non consentire il transito a due mezzi contemporaneamente. Poche auto, qualche vecchio bus, scarso movimento di persone a piedi, in bicicletta o su qualche asino: evidentemente in Marocco la popolazione è statica e quelli che lavorano non hanno bisogno di spostamenti giornalieri. Attraversiamo piccole cittadine tutte con un lungo porticato sui lati della strada sotto il quale fanno sfoggio della loro merce decine di botteghe. Arriviamo a M’hamid nel mezzo della mattinata. Il paese dà l’impressione dell’ultimo avamposto della civiltà prima del deserto.     continua "Marocco. Nei dintorni di Zagora"

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