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Asia. Piccolo resoconto di un grande viaggio


Inserito il: 13/11/2007 da Pier Felice Finocchi
Email: staff@viaggiatorionline.com
Sito web: http://www.gioiellietnici.com
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Non mi considero un viaggiatore nel senso stretto del termine, ma una persona che ha avuto la fortuna e la voglia di viaggiare molto. Pur essendo affascinato dai viaggi in genere ed in particolare da quelli nelle regioni del Medio Oriente e del Centro Asia, raramente riesco a portare a termine la lettura di resoconti di tali viaggi. Articoli più o meno volutamente romanzati, ma vissuti e sicuramente onesti, personalmente non mi coinvolgono, non mi danno la voglia di continuare la lettura. Forse che sono invidioso nel vedere altri riuscire in imprese che ho sempre sognato e non attuato? Forse...

Come raccontare quindi questo mio viaggio? Ho fiancheggiato l'Indo, attraversato la catena del Karakorum, il Pamir, parte dell'Asia Centrale, il deserto del Karakumy, la catena dei monti Kopet che divide il Turkmenistan dall'altipiano iranico, ho attraversato il massiccio dell'Elburz che fiancheggia la depressione caspica e mi sono sentito a casa ai piedi del monte Ararat in Turchia, dove dopo aver oltrepassato l'altipiano anatolico e la catena del Tauro sono giunto in Grecia e poi qui. Ho sognato di fare quello che stavo facendo, e sogno ancora. Un'esperienza di questo genere ha per me un inizio ma non certo una fine. E allora non riesco a scrivere quello che ho vissuto parlando con Zulfiqar, impiegato alle poste di un remoto villaggio nelle montagne pakistane con tre figli e la casa a trenta chilometri di mulattiera, alto, calmo, curioso ma discreto, elegante nei gesti come chi fa parte realmente del suo mondo, una tessera consapevole dell'insieme e quindi della necessità e dell'importanza dell'essere tessera e, ho quasi paura a scriverlo, un uomo felice. Non riesco a scrivere di Toi-Ho, cinese deportato ai margini del Taklimakan, regione a netta maggioranza Tagika e Yugura (turca per dirla all'europea), che vive con moglie e due figli vendendo sigarette preparate con carta di giornale. O di Zamira, un'uzbeka con i capelli più neri del nero che ho mai visto, con un figlio, Timur (Tamerlano) che ogni giorno aveva un livido nuovo, regalo del marito, ex volontario in Afghanistan, ora condannato a vodka perpetua. Non riesco a raccontare di Mehran, laureato di Tehran, che da mesi si tortura il cervello sul restare nel suo paese che ama profondamente o provare l'avventura europea della quale conosce benissimo i limiti. Non vi posso raccontare la gioia dei bambini quando regalavo loro piccoli giocattolini appositamente messi da parte da me per un anno intero, o il terrore negli occhi di altri (questo nelle città) quando semplicemente li chiamavo. Allora mi potreste dire: perché presentare questo scritto su di un giornale che fa dell'estremo e del limite il suo pane? (nda: questo scritto è stato pubblicato su No Limits World n° 71 del marzo 1999 ). Ma il limite non è solo fisico. Il limite è anche vedere come si è dopo un'esperienza di questo genere, il rendersi conto di quanto abbiamo rispetto ad altri e di quanto spesso siamo noi i primi a crearci problemi dei quali poi lamentarsi. E allora sotto, si comincia...

Tra una firma ed un'altra per poter sdoganare la moto, spedita per via aerea a 2.200 lire per chilo, passo due giorni ad Islamabad. Poi parto per Peshawar e il monsone scarica in buona parte la sua potenza. Piove, ma piove veramente, e chi l'ha vista sa cosa è una pioggia monsonica: cascate d'acqua, fango e buio, la visuale ridotta sì e no ad un metro.

SHANGLA PASS (Nord Pakistan). Percorro 260 chilometri in 9 ore, ma son sembrati molti di più. Stanno rifacendo lunghi tratti di strada per cui saltano tutti i sensi di marcia (che qui sarebbe a sinistra). Biciclette, camion, automobili, animali, vanno tutti insieme in tutte le direzioni. In alcuni lunghi tratti il fango invade completamente la strada, in altri corsi d'acqua l'attraversano trasversalmente, in altri ancora la strada non esiste più, sparita sotto un canale di fango impetuoso. Ciottoli grossi come zucche cadono dalle pareti della montagna, a destra c'è lo strapiombo. E' qui che ho pensato di avere esagerato. Completamente fradicio non posso fare altro che provare ad andare avanti. L'acqua picchia forte sugli occhi. Le buche, voragini, sono nascoste dal fango. Arrivo al passo viaggiando attraverso nuvole nere. Inizia la discesa: dopo un'ora sono completamente asciutto. L'altra valle non risente del monsone. Clima e panorama sono completamente cambiati. Caldo, tanto, ma secco: montagne aride fatte di sabbia e rocce. Strada di sassi come una ferrovia, strada di polvere simile a borotalco, alta fino a metà ruota. Oggi vorrei un po' dell'acqua di ieri... PASSU (Nord Pakistan) Non c'è nessuno! Vento e silenzio Di notte le stelle. A 3000 metri, al posto principale per la dogana di Sost, fa freddo e piove. Vado avanti, in strade che corrono in mezzo a gole strettissime e poi ampie. In alcuni tratti pare di essere in una galleria per quanto sono inclinate le pareti rocciose. La strada si stringe fino a diventare quasi parte del fiume che a tratti costeggia. Viaggio tra sassi e massi, guadi e fango, e tornanti su tornanti salgo da 3000 a quasi 5000 metri in un attimo. Gli spazi gradualmente si allargano, sono quasi in cima, fa freddo, ha nevicato da poco. Poi le guardie rosse e la discesa verso il Pamir. L'acqua e le rocce restituiscono spazio al verde, a cammelli dal pelo lungo, a cavalli liberi e a ... yurte. Sono immerso nel mio sogno. Per quanto strausato, abusato e inflazionato, il nome sale spontaneo alle labbra: Marco Polo.

TASKORGAN (Cina) La sera assisto in un piccolo teatro a recite e musiche Tagike con interprete per i pochi cinesi che vivono sul posto. Un paio di militari cinesi, troppo ubriachi, cercano inutilmente di rovinare la festa. Al mattino, faccio il pieno: il barile di benzina è sulla bilancia, il tubo va in bocca e poi nel serbatoio. Qui, la benzina si vende a peso. LAGO KARA KULL È segnato su pochissime carte e viene sempre confuso con uno, leggermente più ad occidente e in Tagikistan, che porta lo stesso nome. "Kara" in turco vuol dire nero, e l'aggettivo viene spesso usato in molti luoghi geografici sparsi per tutta l'Asia centrale perché il nero è pure sinonimo di "fortuna". VERSO KASHGAR Un fiume di fango e massi piomba sull'unica strada per Kashgar. Mi fermo. Attendo. Si allunga la piccola fila di automezzi inermi. Cerco di pensare cosa fare. Semplice. Da alcune automobili escono le pale e si comincia a levare il fango, a rimuovere grosse pietre da quella prima era la strada, ma sembra non servire a niente. Altra terra si accumula e altri massi rimpuazzano quelli appena rimossi. Si ricomincia. Il sole brucia, ma cerchiamo di riformare la strada. Quattro o cinque ore dopo proviamo a passare. Una jeep si rivolta, e con la moto riesco a lasciarmi tutto alle spalle. Le montagne sono rosse. Quaranta chilometri dopo, succede la stessa storia. E' quasi buio, ma stavolta è solo fango e non c'è modo di arrangiarsi. Ci provo e, incredulo, preoccupato, la moto fumante, e col fango a più di metà ruota, riesco a superare i circa trenta quaranta metri di ostacolo. KASHGAR Immenso bazar a cielo aperto, file interminabili di pioppi, carretti tirati da somari e biciclette e biciclette ancora. Sembra di essere in Turchia. Alcuni poliziotti cinesi cercano di sciogliere l'assembramento di decine e decine di persone che si son fermate a guardare me e la moto di fronte alla moschea principale. Parto per il passo Tourugart tra Cina e Kirgizia, (ex URSS), circa 200 chilometri di sterrato. Sulla cima del passo, a 4000 metri, tra valli e montagne che sfiorano i 5000 metri, a perdita d'occhio solo natura, un immenso arco segna il confine come un Arco di Trionfo. Al di là, dopo una ventina di chilometri di terra di nessuno c'è la Kirgizia. Sembra di avvicinarsi ad un lager: torrette di controllo, filo spinato, doppio cancello tipo "tocca e rimarrai fulminato." Al ritorno avrei saputo che la zona è in gran parte minata. Devo riconsegnare la targa cinese. Mi avvicino ma le guardie chiudono il cancello. E' l'ora del rancio. Le ore diventano due. Intorno solo natura stupenda, cavalli allo stato brado ed un camionista kazako che come me non può fare altro che aspettare. Il posto di frontiera dà l'idea di un passato ben diverso dell'attuale: è colossale. I militari con le vecchie uniformi dell'armata rossa sono concreti. In breve sono al di là, sulla statale A365 che porta in Kazakistan, ma di asfalto nemmeno l'ombra. Mi meraviglio che il bauletto posteriore regga ancora. Quando arrivo a Naryn è notte.

LAGO ISSYK KUL (Kirghizia) Incontro Vidhea, maestro Sufi. Assisto al tramonto sul lago. Passo una notte nella yurta e in un'alba, dopo circa 650 chilometri di cui una metà asfaltati, un tunnel interminabile che sembra una miniera e una strada che sembra non uscire mai da gole e montagne, mi portano a Os. Nei bazar frutti, verdure e vestiti provenienti da Cina e Turchia. FERGANA (Uzbekistan) Ho conosciuto Shams, uno studente russo che fa la guida nella città vecchia. Giro della città alla ricerca di benzina. Il prezzo varia dalle 300 alle 500 lire al litro e dipende sia dalla qualità sia da chi la vende perchè i benzinai non ne hanno e piccole autobotti fungono da distributori ambulanti oppure nei cortili di periferia compaiono taniche e bottiglioni colmi del prezioso liquido.     continua "Asia. Piccolo resoconto di un grande viaggio"

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