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Brasile. Viaggio nel tempo. Gli Assurinì


Inserito il: 13/11/2007 da Nicola Ferrulli
Email: titina@tin.it
Sito web: http://www.viaggiatorionline.com/profile.asp?id=Nicola+Ferrulli
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Da Altamira, risaliamo lo Xingu con un battello in alluminio di 6 metri e potente fuoribordo, messici a disposizione, con il timoniere, dalla Funai, alla volta degli Assurinì di lingua Tupì-Guaranì. Lo Xingù è un fiume di 2.100 Km che si forma nel Mato Grosso e confluisce nel Rio delle Amazzoni in prossimità della foce. Nell'ultimo tratto, per la portata e per i paesaggi che lo accompagnano, ricorda il Niger. Di tanto in tanto, improvvise rapide costringono il timoniere a calcolate acrobazie. La sua conoscenza di ogni centimetro del fiume ci evita secche e pericolose rocce sommerse a pelo d'acqua. Dopo quattro ore, facciamo tappa presso l'abitazione di un personaggio che risponde al nome di Aloisio. Personaggio eccezionale, ma non unico, da questa parti: 47 anni, di cui 41 passati in foresta, ora ammogliato con 3 figli, vive isolato con la sua famiglia sui bordi dello Xingù, a 200 Km da Altamira. Ci accoglie da amici e parla, parla, parla. Parla delle sue avventure con puma e coccodrilli, delle trappole per catturare il puma che stava insidiando le sue galline e la sua tranquillità, di quel maledetto coccodrillo che, approfittando della sua caduta in acqua, gli aveva addentato il polpaccio, ma che aveva fatto secco con una freccia al punto giusto.... Poi ci ha poi mostrato orgogliosamente le sue coltivazioni di batata, che ha voluto farci assaggiare appena strappati dal terreno, e il suo campetto di calcio. "Per farci che?" "Ma per giocarci con i miei figli!" E mentre parlava, sbucciava e ci offriva un'arancia dopo l'altra, ci dava da bere. Quando siamo partiti, ci ha voluto a tutti i costi regalare un pesce: il più grosso che aveva, di "appena" cinque chili. Gli abbiamo lasciato qualche camicia e qualche pantaloncino e siamo ripartiti.

Caldo umido sui 35-40° e alle tre del pomeriggio arriviamo sotto il villaggio abitato dagli Assurinì sulla riva destra della Xingù, nell'area indigena Koatinemo. L'accoglienza è fredda, freddissima. Non c'è un cane ad accoglierci. Dopo un po' arrivano due suore francesi che, facendo voto di povertà, vivono fra gli Assurinì come gli Assurinì e senza privilegi o diritti di primogenitura da far valere. Sapremo che stanno scrivendo una grammatica Assurinì: interessante. Ci accompagnano alla piccola baracca che ha funzionato da scuola fino al 4 giugno, giorno in cui l'ultima maestra aveva abbandonato il villaggio per non farvi ritorno. Montiamo le nostrre amache mentre qualcuno continua a fare ciò che stava facendo senza degnarci di uno sguardo. A Tromso, sembra di essere a Tromso, nel nord della Norvegia. Si cena nel silenzio e si va a dormire. Il sonno è profondo.

Alle sei ci alziamo per un giro di perlustrazione del villaggio. Al contrario del villaggio Arawetè, vitale e coinvolgente, qui sembra di vivere una realtà che nasconde qualche mistero di morte. Pochi i bambini, pochi gli uomini, le donne passano come fantasmi intenti alle loro attività. Dai loro movimenti traspare una grande dignità che incute immediato rispetto. Tutti hanno il corpo dipinto: chi in parte, chi per intero. Gli Assurinì... ma chi sono costoro? Stiamo parlando di un gruppo formato attualmente da 72 individui che possiede riti, arte, relazioni sociali, cosmogonia e mitologia del tutto originali. Al contrario degli Araweté "il cui immaginario prolifera nella parola e nel canto", ed in cui l'essenziale è nell'aldilà, per gli Assurinì l'essenza non è altrove: è qui e adesso, è in ciò che si fa, è negli oggetti nelle varie forme, è nei corpi decorati, nei mille segni lasciati dal frutto verde del jenipapo. Il mistero della loro tristezza esistenziale è, però, nella loro storia, in un continuo calo deomografico dovuto prima al conflitto (1966) con gli Araweté e gli Xikrin, che li vide sconfitti, e poi al contatto con i bianchi (1971) per il diffondersi di malattie quali l'influenza e la malaria e, infine, tubercolosi. Negli anni '80, la comunità decise di praticare il suicidio culturale non riproducendosi e praticando quindi l'aborto collettivo. Grazie anche all'intervento della Funai, questo proposito è stato accantonato e a partire dalla seconda metà degli anni 80, vi è una lenta ripresa dell'incremento demografico, ma le passate vicende hanno lasciato un velo che, in qualche maniera, crea nell'estraneo un vuoto che bisogna superare. E' però in costruzione la Tavyve, la Grande Casa, un segnale di rinnovata speranza.     continua "Brasile. Viaggio nel tempo. Gli Assurinì"

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