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Algeria. Sahara per tutti, o quasi...


Inserito il: 09/11/2007 da Dimensione Avventura
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Il Deserto del Sahara per la sua immensità e purezza fa sicuramente parte del bagaglio che ogni viaggiatore porta con sè in fondo alla valigia. Ci sono determinati momenti ed immagini che vorremmo sempre dentro di noi perchè rappresentano i nostri ideali di libertà ed evasione. Per tutti questi motivi noi di Dimensione Avventura siamo finalmente tornati in Algeria, terra dei fieri Tuareg, Paese con i confini persi nel nulla del Sahara.

L'ultima volta che avevamo visitato l'Algeria era stato nel lontano1991 in sella a vecchie Yamaha XT 600 con pochi ricambi ed una grande sete di avventura. Poi il lungo periodo buio dell'integralismo islamico, con i suoi delitti e guerre intestine, ha spinto l'economia turistica del paese nel baratro. Dal 1998 però il nuovo Presidente algerino riesce a sedare la rivolta interna, con metodi piu' o meno leciti, ed ecco che allora il turismo sahariano si riaffaccia in questo paese e può riprendere a godere di quella natura incontaminata e straordinaria che il Sahara cela gelosamente e mostra solamente al vero viaggiatore e non al turista "mordi e fuggi".

Il 27 dicembre 2000 siamo presenti con cinque quipaggi in 4x4 alla dogana algerina, subito dopo l'ultimo avamposto tunisino, per espletare le normali pratiche doganali. In passato non le abbiamo mai superate con meno di sei ore di attesa, ma questa volta siamo fortunati e presto siamo già in marcia, in direzione della prima oasi algerina di El Oued. In questo piccolo villaggio facciamo il primo cambio "In nero" e gustarci il primo couscous, a dir poco delizioso. La gente, stanca del lungo isolamento inflitto dalla guerra civile, è curiosa di parlare con lo "straniero", di sapere come è la vita fuori dai patri confini. Abbiamo una continua riprova in ogni luogo toccato durante il nostro itinerario che il popolo algerino è giustamente famoso, persino tra gli stessi, ospitali, arabi, per la sua gentilezza ed ospitalità. Siamo sempre ben accetti in qualsiasi situazione e luogo, e invitati continuamente e personalmente in casa da coloro che contattiamo.

Ad Hassi Messaoud, centro che trae la vita dal petrolio e dal gas su cui "galleggia" tutto il deserto circostante, entriamo in un immenso cantiere dove hanno la base tutte le piu' grandi compagnie petrolifere del mondo. Il villaggio non è altro che un enorme dormitorio per gli operai europei che lavorano nelle suddette basi e che trascorrono turni di lavoro di sei mesi ininterrotti prima di tornare a casa per qualche settimana di ferie. Il tempo di ottenere dalla locale Stazione di Polizia il permesso di circolazione per il sud del paese e ripartiamo velocemente verso il nostro grande appuntamento: l'incrocio dei "4 Chemins".

Da qui inizia la nostra grande avventura. Subito ritroviamo i chiari segni che la grande crisi turistica degli anni 90 ha lasciato dietro di sè. Era una vecchia pista molto usata, sia dai locali che da turisti, per dirigersi verso sud ed evitare il noioso asfalto della transahariana, ma allo stato attuale si stenta ad intercettarla proprio per il "disuso" degli ultimi anni. Per procedere, ricorriamo al GPS e alle ottime cartine topografiche russe. Ogni tanto incrociamo un vecchio bidone arrugginito o una qualche carcassa di auto orami irriconoscibile, testimonianze del copioso traffico del passato. Attraversiamo l'ampissima pianura che si stende a perdita d'occhio senza confini e riferimenti. Praticamente viaggiamo nel nulla più assoluto per un giorno intero fino ad arrivare ad un passaggio obbligato delle gole di Amguid. Si tratta di un piccolissimo villaggio di zeribe con una postazione militare, stretto fra una catena di dune alte più di 200 metri e una falesia rocciosa altrettanto elevata con un intrigante canyon dentro il quale inizia una vecchia pista diretta a est. Ci accolgono vocianti bambini e gentilissimi militari presso i quali svolgiamo le indispensabili operazioni di registrazione del gruppo. Cominciamo a regalare i giocattoli e i vestiti che ci siamo portati appositamente per queste occasioni. La gioia dei piccoli è palpabile, e ne nasce una festa spontanea. Ci congediamo, ma senza fretta, e cerchiamo poi di recuperare il tempo perduto nella sosta visto che ancora 400 chilometri ci separano ancora dall'unico passaggio che ci permetterà di scavalcare i primi contrafforti della catena montuosa dell'Assekrem.

Si susseguono ore di navigazione pura senza ombra di tracce precedenti, cercando sul suolo i punti giusti in cui passare. La sabbia ha lasciato il posto a impegnativi passaggi fra enormi massi ed altrettante spianate di fech fech… ossia sabbia impalpabile, subdola e pericolosissima. Incontriamo numerose gazzelle e dromedari, unici abitanti della desolitassima zona. Scopriamo anche un vero e proprio cimitero di alberi secolari, fusti completamente secchi, bruciati dal sole, disposti su collinette di sabbia alte circa quattro metri, testimonianza dell'erosione. Dopo un travagliato procedere di valle in valle, giungiamo all'imbocco del lungo oued sabbioso che ci porterà oltre l'enorme montagna di oltre 2000 metri che ci sbarra il passo. La salita su uno strato molto morbido di sabbia, seguendo un tipico andamento di montagna con tanto di tornanti, è impegnativa. Molte rocce affiorano assieme ad alberi e sbarrano spesso la traiettoria migliore. Su un tratto di pista più sassoso possiamo prendere un sospiro di sollievo, ma la fretta di uscire dallo oued ci porta ad imboccare una pista secondaria che ci conduce nel bel mezzo di un micro-villaggio abitato solamente da donne e bambini. Dopo i primi secondi di imbarazzo e stupore reciproco, avviciniamo la più anziana. Ci accoglie davanti alla sua capanna, con un sorriso. Mentre, parlando la vecchia lingua dei Tuareg, il Tamanghesh, ci spiega l'andamento della pista principale tracciando ipotetiche traiettorie sulla sabbia, regaliamo indumenti ai più piccoli. Le informazioni ricevute ci permettono un grande taglio sul percorso e raggiungiamo la vetta dell'Assekrem (2400 metri slm) con un giorno di anticipo. Questa vetta e' famosa per la bellezza del paesaggio circostante costituito dalle cosiddette "canne d'organo". Al tramonto, i pinnacoli di roccia si vestono di arancio-fuoco, unospettacolo unico nel suo genere. Ma non solo: sull'Assekrem si trova l'eremo di padre Focault, eremita di inizio secolo che era riuscito a guadagnarsi la stima ed il rispetto dei Tuareg che abitavano nell'area.

Scendiamo la pista spettacolare in direzione Tamanrasset, antica oasi e centro carovaniero che sulla spinta del grande turismo di fine anni ottanta ha perso un po' del suo antico fascino in nome delle comodità e del progresso, ma qui possiamo finalmente godere di un po' di confort (traduzione: doccia calda ed un pasto presso un tipico ristorantino locale). Il souk ha mantenuto la sua antica fisionomia. Certo l'argento degli monili è rimpiazzato da leghe "meno nobili", ma comprare un gioiello o una croce del sud nel mercatino è un piacere che acquisterà un valore inestimabile una volta ritornati in Italia.     continua "Algeria. Sahara per tutti, o quasi..."

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