South Australia e Uluru


Inserito il: 09/11/2007 da Diana Atlante e Roberto Fiume
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Uluru...

E' tutta una questione di aspettative. Nelle cose di viaggio le aspettative sono legate alle foto ed ai miti collegati. L'Empire State Building è come te lo aspetti, le foto gli rendono giustizia. Il Grand Canyon soverchia le aspettative perchè nessuna immagine può effettivamente renderne l'idea. Uluru frantuma qualunque aspettativa ti puoi essere fatta. Si comincia a vederla a una ventina di chilometri di distanza, una roccia isolata in mezzo al niente. Non è così grande e lo sai, ma nel vuoto che la circonda già ti emoziona. Più ti avvicini, più ti sconcerta.... Sembra che la terra abbia deciso di buttar fuori una parte di sè in modo che tu possa vedere come è fatta. Il colore rosa-viola-rosso-arancio e i milioni di anni che l'hanno arrotondata, negano ad Uluru l'aspetto di una semplice roccia. Sembra una massa non definita di un qualche gigantesco essere. Uluru è oscena, perchè l'assoluta assenza di alberi o cespugli la fa sembrare nuda, ed è imbarazzante stare a guardarla.

Trascorriamo tutto il pomeriggio al Visitor Centre, per ottenere il permesso per le foto. E' una pratica lunga e complicata, ma non ci dispiace. "Lei" è lì, e noi non siamo ancora pronti. Dal Visitor Centre sono ancorea pochi chilometri. Ci avviciniamo lentamente. Vista da vicino è molto peggio. La sensazione che sia parte di un essere vivente è accentuata dai segni di battaglie che ne deturpano il corpo. Fratture di decine di metri, grotte che paiono come morsi di un mostro incomprensibilmente grande, i segni dell'acqua evaporata, i buchi simiili a leggere ditate impressi da giganti, frane, sfregi... qui secondo l'immaginario popolare ci sono state battaglie quando gli elementi naturali presero una forma tangibile. Uluru ne porta i segni, divenuti altrettanti luoghi sacri. Camminiamo tra questi, ora visitabili, quelli delle vicine Kata Tjuta, "Le molte teste", altrettanto impressionanti, anche se meno compatte, ma quasi totalmente inaccessibiloi al turismo. Tutto è ciclopico, epico. I panorami cambiano ogni dieci passi. Numerose sono le Songlines, le Vie dei Canti, che s'incontrano qui. Tutto è emozionante, forte, estremo e drammatico. Ne paghiamo le conseguenze. Un tremendo mal di testa ci attanaglia il secondo giorno, e dobbiamo imbottirci di aspirina.

Il terzo giorno ce la prendiamo più comoda, ma le emozioni non diminuiscono. Un temporale rende tutto ancora più mitico. Tra i rumori di tuoni che le roccie rifrangono in mille echi, giungiamo alla conclusione che questo non è un posto da uomini, non è il nostro posto. Non possiamo stare qua, accanto ai resti di una titanica battaglia. Non siamo aborigeni. Ci allontaniamo-scappiamo per e l'alito del mostro, il peso di un'emozione difficile da sopportare, di un ridimensionamento che ci ha schiacciato, cessa.

C'era una spiaggia, in California, dove un fiume crea una laguna prima di finire il suo corso, che la marea la riempie e svuota in continuazione. Era il posto preferito dagli indiani americani per godersi un po' di relax, un posto forte in cui essi stessi si guardano bene dal sostare troppo a lungo perchè, dicono, causa la pazzia. Uluru ci ha fatto lo stesso effetto. Siamo contenti di esserci venuti, e siamo contenti di essercene andati. Giungiamo ad una Roadhouse. Finalmente qualcosa di comprensibile, di umano, di semplice.

One beer, please...

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