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Birmania. Il popolo sorridente


Inserito il: 09/11/2007 da Felice de Paoli
Email: staff@viaggiatorionline.com
Sito web: http://digilander.libero.it/felice
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Ci aggiriamo un po' spaesati per l'aeroporto di Yangon quando una piccola ma graziosa fanciulla ci avvicina e si impadronisce dei nostri documenti di viaggio, dandoci in pegno un ombrellino di carta. Siamo in quattro: Sergio e Maria, una coppia svizzera, Franco, l'amico che mi ha trascinato in questo viaggio ed io. Ci guardiamo perplessi, siamo in un paese straniero del quale non conosciamo nè la lingua nè lo strano alfabeto e non abbiamo più i biglietti per il ritorno. Con sollievo, vediamo tornare la ragazza. Restituisce tutto il malloppo aggiornato e si presenta. Si chiama Mya-Mya, un nome doppio di moda negli anni '60. E' una guida ufficiale dello stato ed è incaricata di accompagnarci durante la nostra permanenza in Birmania.

Andiamo in albergo con una macchina pubblica che ci carica, con tutti i bagagli, sul cassone posteriore scoperto. Durante il tragitto Mya-Mya spiega che il cambio ufficiale di 5 kiat per un dollaro si può facilmente eludere e che chiunque è ben contento di darci da 90 a 130 kiat per un dollaro. Grati per l'interessante notizia, le affidiamo una discreta somma e lei personalmente provvede rifornendoci di banconote birmane da 90 e 45 kiat. Simili importi rendono i conti complicatissimi. Pur essendo in uno dei migliori hotel della città, l'alloggio è molto modesto ma mi stendo subito sul letto prima dell'alba abbiamo l'aereo che ci porterà a Pagan. Purtroppo Franco, appena visitata la camera, comincia a dare segni di squilibrio mentale. Dice che porterà avanti la "gravidanza" per tutto il tempo necessario perché si rifiuta di lasciare parte di se negli orribili cessi birmani.

Dell'antica capitale Pagan rimane solo una vallata cosparsa di un'infinità di antichi templi. A causa delle piogge che hanno fatto straripare l'Iravadi non possiamo proseguire il viaggio e siamo costretti a prolungare il soggiorno a Pagan. Una sera, mentre prendiamo una bibita in riva al fiume alcuni bambini si avvicinano. Non appena offriamo loro da bere compaiono i genitori preoccupati. Sono dipendenti dell'albergo. Constatata la nostra buona fede, ci invitano nella loro casa e ci offrono caramelle di zucchero di canna e quanto altro prevede l'ospitalità birmana. Noi contraccambiamo con alcuni pacchetti di biscotti e di sigarette. L'abitazione è costruita in legno, sollevata da terra tipo palafitta. Le pareti interne mobili permettono di cambiare a piacere la suddivisione degli ambienti. Qui viene custodita anche la bicicletta di famiglia. Si tratta di un bene prezioso, ci spiegano. Loro non sono ricchi come nella capitale dove alcune famiglie possono permettersi persino due o tre biciclette.

Il giorno seguente in una pausa durante le visite dei templi, ai quali si accede solo senza calzature, per la gioia dei nostri morbidi piedini, entriamo in un villaggio. Un mulino macinano semi di ricino per ricavarne olio grazie al lavoro di un bue. Mentre filmiamo il mulino, si avvicina un maestro.     continua "Birmania. Il popolo sorridente"

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