Perù. Perù 2002


Inserito il: 09/11/2007 da Marco Ciccone
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Un Viaggio non comincia nel momento in cui si sale su un aereo. E' quello che credo, ed è quello che sto pensando mentre sto cercando in internet le ultime informazioni prima di partire. E’ la mia prima avventura in solitaria, e forse per questo motivo la sto preparando con maggior cura. Da diversi mesi sono immerso nella cultura Inca, nella storia e nell'evoluzione di questa civiltà precolombiana, ma non ho trascurato la società attuale, le incongruenza di un tipico Stato Sudamericano, diviso e legato a doppio filo all’economia e alla politica degli Stati Uniti come alle lotte rivoluzionarie dei movimenti filo-marxisti. Partirò con tanti dubbi, perplessità e perché no, paure che si mescolano con la voglia di conoscere una nuova cultura, genti diverse, luoghi magici, col desiderio di mettermi alla prova e la consapevolezza di tornare arricchito da nuove esperienze. E' la filosofia di ogni viaggio.

I pensieri attraversano velocemente la mia mente quando l’aereo sta per atterrare a Lima. Credo di immaginare cosa mi aspetterà oltre la dogana: tassisti e procacciatori di clienti mi "assaliranno". Lungi dall'essere infastidito, spero proprio che le indicazioni lette su Internet siano veritiere. Tutto bene, persino meglio di come me l’aspettavo. Poco prima dell’uscita, sulla destra sono presenti una serie di banconi, un cambia valute, un servizio taxi e … Urbanito, l’agenzia di shuttlebus che per 6 USD accompagna i turisti in ogni albergo della città (8 USD per Miraflores). Salgo senza pensarci. L’hostal in cui sto dirigendomi me ne aveva chiesti 8 per il taxi e 3 per la persona che sarebbe dovuta venirmi ad accogliere all’aeroporto. Alle 19 poso lo zaino, e un attimo dopo sono già in strada.

Sono partito con l’idea e il pregiudizio che Lima non fosse una città in cui soggiornare. La pericolosità con la quale viene dipinta sulle guide turistiche, mi ha indotto a credere che devo far di tutto per allontanarmene al più presto. Voglio arrivare sulle Ande, però in strada mi tranquillizza. Non mi sento in pericolo, anche perché sono in una zona con tantissimi edifici pubblici e un numero incredibile di poliziotti e militari li presidia costantemente. In pochi minuti arrivo in Av. Quilca, una traversa di Av. Bolivia, al terminal della Cruz del Sur (non è solo in AV Javier Prado Este) dove acquisto un biglietto per la prima corsa mattutina diretta a Nazca (ore 9.30, costo 25 soles).

Che dire di Lima? Il cielo non si vede a causa dello smog, amplificato dall’umidità. Impressionante l'affermazione del barista da cui ho fatto colazione …"E' inverno, il sole non c’è." Sinceramente, la credevo più frenetica. Gli edifici, spesso lasciati a metà, perdono colore a causa del garua e degli scarichi fatiscenti delle auto. Nell'insieme, Lima ha un’aria triste e malinconica, comunque attraente. Mi chiedo continuamente se non avrei dovuto fermarmi di più. Si nota una calma incredibile nel fare le cose, ma più di tutto un’approssimazione caotica, forse tipica di noi latini: se c’è qualcuno che deve fare qualcosa, altri cinque si occupano di organizzarla, creando una confusione tale da obbligare altre dieci persone a fermarsi per attendere che sia finita.

Mi trovo sulla Carrettera Panamericana. Il paesaggio è monotono, il deserto interrotto da piccole oasi di verde o piccolissimi agglomerati di baracche in adobe, entrambi apparentemente scevri da ogni presenza umana. Sull'altro lato, ci accompagna la vista sul Pacifico. Sono in compagnia di due ragazze svizzere, conosciute al terminal. Abbiamo deciso di fare un pezzo di viaggio insieme per dividere le spese. Finalmente arriviamo a Nazca, la città delle Linee. Superiamo decisi i pochi procacciatori perché avevamo già deciso il pernottamento. Dopo cena, ho girato città. Ho trovato uno spettacolo in piazza. Sembra una recita scolastica. C'è tantissima gente e le mie paure sulla pericolosità di un viaggio solitario cominciano a dissolversi. Quasi mi dispiace passare inosservato da tutti, tranne che qualche timida ragazza che mi sorride. Al mattino si vola. Il decollo è facile, i problemi cominciano a nascere in volo, quando il vento fa sobbalzare nell’aria il piccolo aereo o quando il pilota vira a destra e a sinistra per farci fotografare meglio le linee. E’ qualcosa di meraviglioso vedere quei segnali messi lì chissà per quali motivo, il Colibrì è il più visibile, ma l’Astronauta, le Mani e i Trapezi fanno una certa impressione, questi ultimi poi sembrano delle piste di atterraggio. Lo stomaco ha resistito fin quando le figure sono terminate. Una siesta risolve la nausea e trascorro il pomeriggio a passeggiare per Nazca. Non c’è molto, e ne approfitto per raccogliere i pensieri. In piazza c'è tantissima gente: studenti che vagano senza meta, adulti che chiacchierano spensieratamente sulle panchine... Solo il rumore delle auto ricorda che qualcuno si sta muovendo, chissà per dove. Ripartiamo per Arequipa, dove sicuramente dovrò rallentare i ritmi, col pulman notturno. Spero di non patire freddo sull’autobus.

Mi sono risvegliato dopo una buona nottata e per la prima volta ho visto le Ande sotto il sole. Di nuovo solo, dopo un breve riposo decido di passare la prima giornata ad Arequipa passeggiando senza meta, per ambientarmi. Ho pranzato in un banchetto vicino al mercato, una paparellena e un soltenos, più una pepsi per meno di mezzo dollaro, e ho ripreso il cammino. Arequipa è attraente, ma molto caotica e rumorosa. Il calore invernale del sole la rende molto viva, molto diversa da Lima o Nazca. Impressiona lo spettacolo canoro nella chiesa de la Compana, un canto simile ai gospel, ben strano per una chiesa cattolica, tra l’altro decorata con colori molto vivaci.La mattina seguente visito i sobborghi di Arequipa. Mi sono fatto coraggio e ho fermato per strada uno dei tanti bus collettivi con la scritta Cayma e sono giunto nella piazza di questo paesino pronto a per visitare la chiesa di San Miguel Arcangel. Oltre al chiostro e il bellissimo mirador, c’è un’interessante pinacoteca con dei dipinti cuzqueni del XVI secolo, oltre che le stanze in cui ha alloggiato Simon Bolivar e dei libri autentici dell’epoca, maneggiati però con poca cura. Dalla cima della chiesa osservo un gruppetto di palme: è Yanahuara, un altro sobborgo della città. Ci arriverò a piedi. Sulla strada del ritorno verso Arequipa, sempre a piedi, mi sono fermato al museo della Recoleta (ingresso 5 soles), un luogo piacevole e tranquillo, in cui più che gli animali impagliati, meritano la visita la biblioteca e gli oggetti precolombiani (tra cui una mummia).

Al Museo Santuarios Andinos, conosco Juanita, una Vergine del Sole allevata dagli Inca secondo rigidi insegnamenti. Mi dico che forse proprio per questo, quasi che sia consapevole e onorata della fine cui è stata infine destinata, che non si legge nessuna smorfia di dolore o sofferenza sul volto mummificato. Il museo, piccolo, è molto interessante, ricco di oggetti preziosissimi ritrovati nelle tombe dei giovani sacrificati alle divinità Inca. Finisco la giornata passeggiando per mercatini e centri commerciali.

L’escursione al Canyon del Colca l'effettuo con una agenzia. I turisti vengo raccolti in un pulmino unico per diverse agenzie, quindi gli operatori offrono pressappoco gli stessi servizi, varaiandoli a seconda del pernottamento o dei pasti, più o meno inclusi. Sono accanto ad una ragazza giapponese in viaggio in Centro e Sud America da diversi mesi, e chiacchieriamo mentre ammiravamo paesaggi stupendi, tra cui il passo a oltre 4800 metri. Chivay, dove infine giungiamo, è il prodotto di di un turismo in grossa espansione, ma credo si possa ancora trovarvi qualche angolo di vero Perù. Ad esempio, nella chiesa principale si può vedere la statuetta di un conquistadores. Prima di giungere in albergo, faccio in tempo a notare che diversi mezzi pubblici fanno spola con Arequipa, il che dimostra che è semplice arrivare qui in maniera economica, anche se in un tempo ovviamente maggiore. Chivay o Yanquee sono in ogni caso le basi di appoggio per visitare il Cruz del Condor. Si rimane in estasi ad ammirare quegli uccelli planare e fendere l’aria, immersi nel silenzio del luogo, rotto dal suono del vento che attraversa il Canyon. Accade una cosa strana. I numerosissimi turisti che affollano le rocce osservano silenziosamente, nella speranza di disturbare il meno possibile questi stupendi animali che già gli Inca onoravano quale simbolo di conoscenza infinita (il paradiso Inca è simboleggiato dal Condor, Mallku in lingua quecha, da cui il nome del primo Re Mallku Kapac, traslato in Manco Capac).

Non so se lo faccio per uscire dagli itinerari turistici, vissuti fin troppo al Colca, ma credo di avere voglia di immergermi nel Perù ancora poco contaminato dai gringos, di incontrare la gente vera delle Ande, di conoscere qualcosa in più su questo paese chi mi ospita. Per questo, e per appagare la mia curiosità e la mia voglia di "viaggiare" e combattere le mie paure, il mattino seguente al ritorno ad Arequipa mi dirigo verso i Petroglifi di Toro Muerto. Chi intendesse visitare il sito archeologico di Toro Muerto, la Transporte del Carpio - presente nel terminal - è la compagnia di bus pubblici che effettua il servizio giornaliero verso Corire (circa tre ore), e che ferma anche ad una località che si chiama Punta Colorada poco prima del capolinea, da cui si raggiunge il sito a piedi. Già sull’autobus mi rendo conto che difficilmente incontrerò degli occidentali. Il mezzo è semivuoto. Spero che non aspetti di "fare incasso" per partire. Dopo poco scopro il mistero: salendo al Terminal si paga una tassa i 0,5 soles, troppo per i peruviani, che attendono il bus sulla strada a poche decine di metri dalla uscita dello stesso.     continua "Perù. Perù 2002"

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