Nel cuore del grande Rift


Inserito il: 07/11/2007 da Antonio Biral
Email: cobra@antoniobiral.com
Sito web: http://www.viaggiatorionline.com/profile.asp?id=Antonio+Biral
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Scavavamo con foga, senza pensare al pericolo che si nascondeva sotto quelle croste d’argilla. Ancora una volta il motore spinto alla massima potenza ruppe il silenzio intorno. Con un urlo rabbioso, che superava il frastuono, gridai incitando tutti a un unico sforzo – dai via, ora o mai più, daiii…– Il camion dopo un sussulto sembrò muoversi. – Forza…, ancora, daiii… forzaaa! – Nel gruppo tutti avevamo fin troppo chiaro che dovevamo farcela ad ogni costo, che non ci sarebbero state altre possibilità. (...)

Così siamo usciti.

Non contenti abbiamo riprovato ancora a raggiungere il nostro obiettivo, il Lago Logipi, ma ormai c’era poca determinazione e la stanchezza ci aveva sopraffatto. Con alcuni, quelli che per la prima volta si trovavano, sfortunatamente, a far parte del nostro gruppo, si era innescata un’accesa discussione sul da farsi, tanto da dover mettere la decisione finale ai voti. La maggioranza votò per il ritiro e così ci siamo definitivamente arresi, anche in considerazione che alcuni non ce la facevano proprio più, ma non eravamo ancora sulla via del ritorno che già meditavo la rivincita. La mia idea di ritornare ad affrontare la Suguta Valley non era più con i mezzi meccanici, ma a piedi, con una carovana di dromedari. Gli unici animali in grado di affrontare le temibili condizioni ambientali di quelle terre, ritenute, a ragione, le più difficili del continente africano. Percorrere l’intera valle fino al Lago Logipi, oltrepassare la barriera vulcanica, raggiungere il Lago Turkana e ancora avanti, fino all’oasi di Loyangalani, al termine di un cammino di oltre duecento chilometri. La grande incognita era il superamento della barriera vulcanica che divide il lago Logipi dal lago Turkana. Non vi era certezza che i cammelli avrebbero trovato un passaggio per valicare la nera catena di rocce arroventate dal sole che, in quel punto, si eleva oltre i 1100 metri. La decisione fu rinviata a quando saremmo stati sul posto. Solo lì avremmo potuto valutare il da farsi. (...)

Come e cosa dire ai familiari? Quali i motivi? E i perché?

Dire che era solamente una sfida? Una sfida nata dalle parole di un indigeno Samburu incontrato per caso sul lago Turkana due anni prima? Era proprio così, una sfida dettata dall'orgoglio ed eravamo determinati a vincerla. E nonostante tutti gli interrogativi che affollavano la mente, l’euforia per questa nuova avventura prevaleva su tutto. Eravamo impazienti di partire anche sapendo che doveva trascorrere ancora un anno. E un anno dopo, l’appuntamento con gli uomini e gli animali fissato per il giorno venticinque febbraio nello stesso punto dove eravamo stati costretti ad abbandonare, precisamente a 1°44' Lat. Nord e 36°21' Long. Est, siamo partiti. Eravamo in dieci, sette uomini e tre donne, otto dei quali avevano già partecipato alla precedente e sfortunata spedizione. Ci sentivamo pronti sia sul piano psicologico che su quello fisico. Tutti avavamo studiato a lungo le mappe ed ognuno aveva bene impresso nella nella memoria il percorso. Non dovevamo fallire (...)

SUGUTA VALLEY - Seconda spedizione - Stralci dal diario

21 FEBBRAIO - 1° Campo verso il Lago Baringo.
Nel pieno della notte, strani rumori mi svegliano di soprassalto. Spalanco gli occhi e vedo, nel controluce lunare, un’ombra scura appena di là del telo della tenda. "Ippopotami!" dico a Ross, mentre un brivido di paura mi raggela il sangue. Un branco di questi grossi pachidermi va aggirandosi tra le tende del nostro accampamento. Alcuni così vicini da percepirne l’umido e violento soffio che esce dalle larghe narici. Rimaniamo immobili, bloccati senza respiro. Sappiamo che il minimo rumore o movimento (...)     continua "Nel cuore del grande Rift"

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