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Etiopia. Più vicini alla morte che alla vita


Inserito il: 07/11/2007 da Antonio Biral
Email: cobra@antoniobiral.com
Sito web: http://www.viaggiatorionline.com/profile.asp?id=Antonio+Biral
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Nell’estate del 1993, solo pochi mesi dopo l’incredibile esperienza vissuta nella Suguta Valley, avevo tra le mani il libro di Ludovico Nesbitt "La Dancalia Esplorata", del 1928, che Rossana, una compagna di tanti viaggi, aveva trovato cercando nella Biblioteca Comunale di Como. Ho letto e riletto quelle pagine per rilevare ogni posizione e inserire tutti quei dati geografici - nomi di monti, vulcani, pozze, deserti - che mi avrebbero permesso di costruirmi una mappa, altrimenti inesistente. Verificare sul posto se esistevano ancora quegli stessi villaggi, quelle pozze dalle acque saponose e mineralizzate che, se bevute, ti spaccano le budella, e rivedere gli orizzonti disegnati allora su quel quaderno di viaggio, e confrontarli con la realtà di oggi, incontrare gli Afar - che significa liberi - un popolo, si pensa, di origine araba che anticamente approdò sulla costa occidentale del Mar Rosso e occupò quel territorio oggi chiamato Dancalia, è stato emozionante. Provare a rivivere quelle emozioni, un viaggio nel viaggio.

Alla fine di gennaio del 1995 ci siamo riuniti a Bergamo per fissare gli ultimi dettagli e per confermare l’adesione alla spedizione nell’infuocata Depressione Dancala. Ci conoscevamo quasi tutti per aver condiviso le peripezie della Suguta Valley, anzi da prima. Sapevamo abbastanza di noi, delle nostre reazioni in situazioni estreme.

Potevamo partire per una nuova avventura.

Per affrontare la durezza del clima e l'inaccessibilità dei luoghi, si richiede ad ogni individuo una severissima autoselezione sulle proprie condizioni fisiche e psichiche, e una grande capacità di sopportazione e di adattamento a situazioni di grande difficoltà - fatica - stress - disidratazione - scarsa alimentazione - lunghe marce su terreni difficili (lava, fanghi, deserti, distese di sale) - rettili velenosi - pericolo di attacchi da tribù molto ostili e imprevedibili, ecc - NON SI TOLLERANO NEGLIGENZE

Così presentavo la spedizione in Dancalia. Ne nacque qualche contestazione, subito placata dalle mie precisazioni. Non ci sono Dancalie sconosciute, ma la determinazione di verificare con il viaggio. Tutto era chiaro come mostravano le mappe. Al contrario della Suguta, avremmo trovato camminamenti frequenti e la presenza dell’uomo. Questo sarebbe stato il nostro vero problema.

"Se dobbiamo discutere di banalità in Dancalia ci andate voi, perché io ci sono già stato." Ho ripensato più volte a questa mia affermazione. Volevo trasmettere le vere difficoltà ai miei compagni. Tutti abbiamo detto di sì. "Più vicini alla morte che alla vita" così Nesbitt aveva definito le condizioni in quelle terre. Avevo adottato questo motto non sapendo che in seguito avrebbe creato innumerevoli polemiche tra coloro che non ne conoscevano la provenienza, pensando che fosse la nostra incoscienza a dettarci tali parole. Tuttavia eravamo consapevoli e ben preparati quando, in sordina e senza alcuna pubblicità, abbiamo fissato la data della partenza per il giorno sei marzo. In quel periodo avremmo avuto la luna favorevole per marciare anche nelle ore notturne.

Dopo i preparativi, il gruppo formato da otto uomini e tre donne, le prime bianche nella storia a sfidare, a piedi, le torride immense distese della Dancalia, chiamata anche la Terra del Diavolo, si ritrova la sera del sei marzo all’aeroporto di Roma con tutto il materiale necessario. Destinazione Addis Abeba. Puntuale quella sera anche l’amico Danilo, arrivato per consegnarci trenta taniche della capacità di trenta litri ciascuna, creando scompiglio davanti al check-in dell’Ethiopian Air Lines e anche un certo interesse tra il personale, che, incuriosito, vuole conoscere lo scopo di quel materiale. Spieghiamo che dovrà servirci per il trasporto della nostra scorta d’acqua in Dancalia. Un funzionario dell’aeroporto si avvicina meravigliato e ci racconta che un suo parente aveva partecipato alla spedizione italiana guidata da Raimondo Franchetti, che nel lontano 1929 esplorò quel territorio da est ad ovest, precisamente da Beilul sul Mar Rosso a Maccallè sull’altopiano. Noi avremmo intersecato quel percorso nei pressi del lago Afrera. Avevo una copia della mappa di quella spedizione e alcune fotografie scattate allora nella zona del lago nel marzo del 1929. Anche quelle saranno confrontate con la realtà di oggi. In attesa dell’imbarco spieghiamo quindi i motivi e gli obiettivi del nostro viaggio, attraversare con una carovana di cammelli la più vasta depressione esistente sulla terra, centoventi metri sotto il livello del mare, una delle zone più difficili e selvagge d’Africa, circa duecento chilometri in dieci tappe, ma ancora non sappiamo se con le macchine possiamo arrivare al punto prefissatodi partenza, il lago Afrera, dove avremmo trovato un numero di cammelli sufficienti per caricare le trenta taniche d’acqua, i viveri e il materiale. Meraviglia e sorpresa spono le stesse già altre volte suscitate.     continua "Etiopia. Più vicini alla morte che alla vita"

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