Italia. La Val d'Ultimo


Inserito il: 02/11/2007 da Alberto Angelici
Email: albe@iol.it
Sito web: http://www.viaggiatorionline.com/profile.asp?id=Aziza
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Amo il mare da sempre e conosco le Alpi fin dai miei primi mesi di vita. Mare e montagna sono per me differenti facce di un unica realtà: da un lato una natura irrequieta e dinamica, mai silenziosa, in costante evoluzione, dall'altro la solennità di grandi masse immote.

Quando mi ci trovo davanti, provo ad immaginare gli immani cataclismi, le forze immense che ne sono l'origine. Utopico viaggiatore del tempo mi vedo spettatore unico di quegli sconvolgimenti. Colossali amalgama rocciosi che tra boati ed altissime colonne di fumo e polveri si squarciano e si fendono innalzandosi in un cielo di fuoco, spinti da inconcepibili forze sotterranee. Picchi e lastroni immensi laddove prima erano voragini senza fine o sterminate pianure o mari tempestosi.

Con gli occhi della fantasia vedo bufere ed uragani plasmare le cime e mitigare creste e costoni e fiumi in piena alternarsi a sterminati ghiacciai per modellare valli, canaloni e gole fino al miracolo d'infinita bellezza ed armonia che è oggi.

L'aria sottile e asciutta sa di resina e fieno falciato ed è pervasa di un tenue riflesso verde. Verde come i pascoli, vividi e fosforescenti quando il sole li inonda. Verde come le intense boscaglie, scure fin a sembrar nere. Sono pini e larici e abeti e castagni e querce, betulle e ontani. Ombre dentate come seghe di giganti ne segnano il limitare quando il tramonto è vicino e luccicano i rivi come paillettes. Allora sembra che la natura si prepari per una serata di gala, come una gran dama che allo specchio controlla ogni piega, ogni ricciolo perché siano esattamente come e dove vuole che siano.

È lì, in quel punto del tempo e dello spazio che vorrei fermare tutto, come in un'immensa moviola. Spostarmi a mio piacere, solo essere in movimento sul grande schermo immoto, e guardare e scrutare e godere senza timore che qualcosa sfugga alla delizia dello sguardo. Ad ogni curva del sentiero gli occhi si riempiono di un diverso panorama e la prospettiva sempre variabile fa scaturire dal nulla un canalone o una cengia che un istante prima non c'erano.

VAL D'ULTIMO. L'Honda è carica. Borse, valigie, zaini e bastoni da montagna. Il tempo di quest'ultima parte di agosto, variabile e poco prevedibile, obbliga a un guardaroba vario, sia estivo che autunnale. Eccitazione, tanti programmi per la testa, il timore di dimenticare qualcosa di importante, la voglia di evadere, di cambiare aria... Letteralmente cambiare aria, perché l'attuale clima caldo e umidissimo della pianura, da lavanderia-stireria, è opprimente e insopportabile. Sogno l'aria fine della montagna, lunghe passeggiate nel fresco odoroso dei folti di pini e larici e, perché no, un piumone sul letto.

La Val d'Ultimo era nei miei pensieri da anni; il lavoro e le circostanze me l'avevano a lungo negata. Mesi fa, approfittando di un incontro di lavoro a Bolzano, son salito fin quassù per cercar casa e dopo ricerche e verifiche ho trovato un maso ai limiti estremi della valle, nella parte di vera e intatta.

L'imboccatura, appena dopo Lana, è angusta e sacrificata, fatta di pieghe, gibbosità e giogaie che stringono la strada in continue curve e controcurve. Il tutto fa pensare a ciclopiche fortificazioni di una invisibile città di titani. Erti pendii stipati di meli carichi all'inverosimile di frutti verdi e rossi. Basse vigne e case cosi' aderenti al fianco della montagna da sembrarne una naturale escrescenza. Nonostante tutto però il luogo ha dell'inquietante. Il nero delle gole, l'ombra del costone che incombe su di noi, lo scorcio di un castello in rovina, mi danno un senso di oppressione.

Tre gallerie in rapida successione ed è come passare in un altra dimensione. Finite le ombre dense come inchiostro, non più dirupi, anche l'aria pare differente e il sole si prende la rivincita sul buio. Attorno a noi morbidi declivi in cui pini, larici e pascoli via via sostituiscono vigne e meleti. Perfino le case hanno un aspetto ...come dire, meno arcigno, disteso. Non debbono più abbarbicarsi alla roccia con le unghie ma possono adagiarsi tranquille e godersi il sole e il verde circostante. Le finestre sembrano sorridere, mentre le altre, quelle "sotto", erano opache, lattiginose, spente.

E poi i balconi. Balconi che grondano fiori in cascate che arrivano vicino a terra. Gerani soprattutto e soprattutto rossi.

Passiamo San Pancrazio e il più piccolo dei laghi artificiali. I crinali si allontanano sempre più e la valle assume una fisionomia davvero alpina e senza tempo. Sembra la pubblicità della Lindt. Le insegne sono in tedesco e gutturali i bradelli di chiacchiere che ci arrivano dalla strada. Niente chiasso, nessuno che si agiti, nessuno che gridi, neppure i bambini piccoli, che, se proprio occorre, piangono sotto voce e per lamentarsi chiedono il permesso.

Corriamo tra steccati antichi, contorti come scheletri e color della pietra. Pascoli gonfi di erba ricamano intarsi verdissimi nello scuro dei sempreverdi. Vacche e vitelli esibiscono tranquilli la loro pigra indolenza, mentre i linguoni corrono senza posa a strappare la grassa erba fiorita.

Santa Valburga è una manciata di case e di negozi. Bellissima la panetteria, bakerei come la chiamano qui. Un trionfo di legno ma soprattutto una sinfonia di forme e di colori, dall'avena al farro, dall'integrale più nero alle focaccine con le noci o con i semi di zucca. e torte e ciambelle di ogni forma e gusto. Gentili e sorridenti le due signore al banco e comprensive per la mia evidente ignoranza della lingua e delle varietà dei loro prodotti. Se capitate da quelle parti nessun timore: la troverete semplicemente alzando il naso al vento. Due o tre gli alberghi, sommersi anch'essi, inutile dirlo, da cascate di fiori.

Mentre ripartiamo una vecchietta esce sul terrazzino della casa di fronte e con movimenti cauti ma che sanno di amata routine, visita ad uno ad uno i vasi dei gerani. È cosi' minuta e diafana nelle mani come nel viso come nei capelli bianchissimi e raccolti a chignon che pare fatta di carta di riso e zucchero filato. Colpetti lievi, amorevoli come carezze. Uno qui a sistemare un gambo, uno lì a carpire un frammento secco per farlo scomparire nel cestino che porta con sé. Anna mi dice andiamo ma io indugio sulla messa in moto.

Esce silenziosa ma ricompare con un innaffiatoio rosso. Passa da una pianta all'altra come una fatina con la bacchetta magica. È piccola e la sua immagine compare e scompare a me che sono in basso, coperta a tratti dall'esuberanza dei suoi gerani. Ho l'impressione che le labbra si muovano. Forse è un tremito senile ma mi piace pensare che stia conversando con loro.

Manca poco a San Nicola, dove finisce il viaggio e inizia la vacanza. Ai lati della strada mini-funivie portano a valle i bidoni del latte dai masi più alti. Ogni mattina una scintillante autocisterna inox passa e li svuota, lasciando a vol e scatole di yogurt e formaggi. Li lascia lì, accanto ai bidoni vuoti. Chiunque potrebbe prenderli, ma non succede     continua "Italia. La Val d'Ultimo"

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